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Categoria: Venezia 2010

La vita senza Cleo

La vita senza Cleo

La vita di Johnny Marco, prototipo azzeccato del divazzo hollywoodiano, è presto detta : appartamento  allo Chateau Marmont sul Sunset Strip  – copia  conforme del castello di Amboise, un luogo a dir poco  terrificante –  ragazze,  feste, Ferrari nera, incontri, e manco a dirlo, noia mortale.

Tant’è che oramai nemmeno lo spettacolino  a domicilio  di lap dance gemellare riesce a strappargli  – e  ce ne vuole di crudeltà  – un sorriso, mentre sul più bello di prestazioni varie, regolarmente si addormenta.


Ovvio che in questo tran tran da privilegiati sull’ orlo della neuro, l’irruzione di una figlia adolescente – Cleo –  della quale prendersi cura qualche tempo, generi vivificanti (ed era ora ) scombiccheramenti esistenziali. Lui è impacciato, non sa da che parte incominciare ma sarà Cleo stessa a dirigere il rapporto, attraverso un recupero di gesti normali, quotidiani, in direzione di un’ affettività più vera.


Come fare un bel film – meritevole oltretutto di essere premiato – da una storia probabilmente già vista ( o vissuta), ce lo dice Sofia Coppola con la grazia che la contraddistingue e che invariabilmente  riesce a trasferire in tutto ciò che realizza  : rappresentare lo spaesamento attraverso sceneggiature asciutte ed immagini quasi minimaliste, ricorrendo, quando serve, alla inquadratura fissa all’interno della quale, pur  senza dialogo o azione, riesce a far succedere egualmente tantissimo .Comunque non interferendo mai nella storia con giudizi di qualsiasi natura.


Persino la sequenza che riguarda il mondo volgare, inutilmente variopinto e smargiassone dei Telegatti da cui padre e figlia  scapperanno a gambe levate, ci viene offerta in una visione  a distanza,priva di sbavature. Tanto bastano gli strilli della conduttrice, le onnipresenti nudità e lo sfavillio delle paillettes a mettere in rilievo come è ridotto il mondo dello spettacolo dalle nostre parti.


E anche se la beneducata Sofia, per non recarci troppa sofferenza, avverte che spettacoli trash sono anche in America – si certo, a Las Vegas – il confronto  tra i due diversi star system è talmente  stridente da far sembrare il castello d’Amboise rifatto, un cottage per le vacanze.


Dunque, un film nel solco della filmografia dell’autrice che diciottenne, s’era cimentata con argomento analogo, sceneggiando il divertente episodio di New York stories diretto dal padre Francis Coppola :  La vita senza Zoe . Come dire un precedente.


Lì però c’era un genitore musicista, una madre fotografa di moda e una bimbetta vestita Chanel spesso lasciata alle cure delle governanti e del personale del Plaza Hotel. Ancora solitudine nel lusso  ma con molta meno disperazione. I tempi sono cambiati.



Somewhere è un  film di Sofia Coppola. Con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Karissa Shannon, Kristina Shannon.Jo Champa, Alexander Nevsky, Laura Chiatti, Simona Ventura, Philip Pavel, Julia Melim, Brian Gattas, Nino Frassica, Taylor Locke, Alexandra Williams, Rich Delia, Valeria Marini, Alden Ehrenreich, Susanna Musotto, Paul Greene, Paul Vasquez, Robert Schwartzman, Caitlin Keats, Benicio Del Toro, Michelle Monaghan

Drammatico, durata 98 min. – USA 2010. – Medusa 



Da Venezia si vede Napoli

Da Venezia si vede Napoli

C’è il ragazzino del Vomero che vuole assolutamente  incontrare  i Roca Luce, gruppo Hip hop di Piscinola –  periferia nord della città ma come dire.. un altro mondo –


C’è il cassiere di Poggioreale – Carcere con una grossa voglia  sulla fronte e il  vizio del gioco, unica passione, almeno  fino all’incontro fatale con una ragazza cinese.


C’è il detenuto per stupro a Nisida che intrattiene una relazione epistolare con la sua giovane vittima nei confronti della quale ha  maturato, nel tempo, una sorta di ossessione amorosa.


C’è il ricercatore ovviamente precario che una volta licenziato cerca la raccomandazione di un politico e si trova coinvolto nell’inferno di una resa dei conti malavitosa.


Ci sono le donne dei carcerati che sperano in un permesso di Natale per i propri cari


C’è la storia di amicizia al femminile tra un’immigrata rumena e un ‘operaia di Melfi

C’è l’omaggio del regista Corsicato  all’arte di Luigi Ontani, punto riferimento ed ispirazione per la sua filmografia


E infine c’è  John Turturro che celebra la canzone napoletana come mai prima d’ora  – domanda (del giornalista) : perchè non ha incluso i neomelodici nel suo film? Risposta (di Turturro) perchè non mi piacciono.


Come dire manco per dovere di cronaca o tentazione sociologica.


Tutto qui  – manca solo Martone che merita un discorso a parte – il lavoro dei cineasti napoletani che hanno portato al Lido, tutti indistintamente, un cinema di buona qualità,  laddove per questo s’intendano storie, emozioni, accuratezza, cast al meglio delle proprie prestazioni, eccellenti direttori della fotografia.


Hanno voglia i critici a dire che la città è un’inesauribile fonte d’ispirazione, manco fosse una sorta di caravanserraglio dal quale è impossibile non estrarre bozzetti divertenti o tragici che siano.

Qui siamo invece di fronte a talenti  e sensibilità contraddistinte da forte inclinazione al rinnovamento ovvero a cimentarsi con trame che pur strettamente connesse, per temetiche ed ambientazione  alla città, sono comunque in grado di travalicarne i confini.

Non è un caso che in ossequio alla vera essenza multiculturale di Napoli,  il tema dominante di molti lavori sia l’incontro/ scontro col diverso, in qualche caso rappresentato dallo straniero vero e proprio,  in altri ancora dalla distanza che si genera tra concittadini che vivono in  quartieri diversi tra loro.


E non è ancora un caso che la critica americana si sia particolarmente appassionata a L’Amore buio di Capuano o  al Gorbaciof di Incerti, sin lamentandone l’esclusione dalla Concorso Ufficiale.


E infatti a costo di sembrare autarchici o sciovinisti, valeva la pena di offrire la vetrina internazionale oltre che al bellissimo Noi credevamo, almeno ad uno dei lungometraggi di cui sopra. Ogni Cartellone ha la sua ratio, non si discute, ma forse la missione di una Mostra d’Arte non è precisamente quella di promuovere film che un minuto dopo l’anteprima vanno in circolazione nelle sale con centinaia di copie.

Ciò detto onore al merito della Film Commission Campana che in barba ai pettegolezzi su al Nord, ha ben lavorato finanziando l’uscita de L’Amore buio, di Passione di Vomero Travel e di Into Paradiso.

E se Ascanio Celestini è la rivelazione della Mostra i cineasti campani rappresentano a buon diritto una larga parte del  rinnovamento del Cinema Italiano. Non perdeteli.


Vomero Travel è un film di Guido Lombardi del 2010, con Luigi Vecchiarelli, Roca Luce. Prodotto in Italia.

Gorbaciof è un film di Stefano Incerti del 2010, con Toni Servillo, Nello Mascia, Geppy Geijeses, Salvatore Ruocco. Prodotto in Italia. Durata: 85

minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red.

L’amore buio è un film di Antonio Capuano del 2010, con Irene de Angelis, Gabriele Agrio, Luisa Ranieri, Corso Salani, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Anna Ammirati, Alessandro Baricco, Alfio Alessi, Alessandro Sansone. Prodotto in Italia. Durata: 109 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

Into Paradiso è un film di Paola Randi del 2010. Con Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo, Gianni Ferreri, Eloma Ran Janz

Shatzi Mosca Commedia, durata 104 min. – Italia 2010. – Cinecittà Luce

Il loro Natale è un film di Gaetano di Vaio del 2010. Prodotto in Italia.

Hai paura del buio è un film di Massimo Coppola del 2010, con Marcello Mazzarella, Alexandra Pirici, Erica Fontana. Prodotto in Italia. Durata: 90minuti. Distribuito in Italia da Bim Distribuzione.

Capo Dio Monte è un documentario  di Pappi Corsicato. Con Luigi Ontani

Passione è un  film di John Turturro. Con Mina, Spakka-Neapolis 55, Avion Travel, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri.


L’orrore della normalità

L’orrore della normalità

Eppure ad Ascanio Celestini, one men show  di fluviali  monologhi teatrali o televisivi, il cinema si addice moltissimo.

Superata l’impresa mai facile della trasposizione dei testi in immagini e in battute da film, risolto  abilmente persino il passaggio più ostico, quello  che segna la differenza tra narrare e mostrare, il suo La pecora nera è, almeno fin qui, la rivelazione più brillante della Mostra.


Sarà per la cifra fortemente evocativa del suo racconto o perchè la sua è di quelle sensibilità  che trascendono il mezzo, o per le collaborazioni importanti di cui si  avvalsa la sceneggiatura o magari per tutte queste cose messe insieme, fatto è che  il suo lavoro ha incassato apprezzamenti quasi unanimi.


Con l’unica eccezione, beninteso, dei soliti fogli che evidentemente pensano allo stigma del manicomio elettrico – elettrochock, violenza, segregazione a vita –  come ad un’idea strutturalmente di sinistra, quindi da ricusare con titoli strillati in vistosi caratteri di scatola .


In realtà Celestini, Mostra o non Mostra, oltre  aver realizzato un’opera di qualità,  è anche la prova provata che il nostro cinema quantunque sotto il tiro di feroci attacchi governativi, riesce egualmente a trovare idee, risorse, coraggio e spettatori per continuare ad esistere . Di qui, presumibilmente, il motivo dei titolacci al veleno.


Girato in parte al padiglione 18 del Santa Maria della Pietà di Roma, il  film è un racconto surreale e drammatico del manicomio attraverso la storia di chi, infermiere o internato,  ne  ha vissuto in prima persona l’insensata violenza.

Evitando accuratamente lo stile dell’inchiesta e rinunziando ad effetti facili o episodi eclatanti,  insiste sull’orrore della normalità con l’intensità e lo stile che gli sono congeniali, senza mai perdere il filo e  soprattutto quella particolare forma di leggerezza che rende Ascanio Celestini un artista sui generis.

Un’opera innovativa, meritevole di premio.



La pecora nera è un film di Ascanio Celestini. Con Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese.

Drammatico, durata 93 min. – Italia 2010.