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Categoria: Musica

Il suonatore Jones

Il suonatore Jones

La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
– non parliamo di ingrandirle –
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolìo di un molino a vento – solo questo?
Mai una volta diedi mani all’aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiedesse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato –
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto

Fiddler Jones gli stava addosso come nessun altra identità , anche se dove finivano le sue dita cominciava una chitarra e non un violino (che per questioni di metrica poi diventò un flauto).Coltivare la propria visione del mondo oltre le cose era il suo tratto,il suo segno inconfondibile.Per questo,diversamente da un medico,un chimico ,un giudice ,non si tratta di un suonatore e basta.E’ proprio lui Jones, quello che dove altri vedevano siccità, faceva turbinare le gonne delle ragazze al ballo.E quel ridere rauco e ricordi e nemmeno un rimpianto è la risposta alla domanda inziale della Collina :

E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
Che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni.
Affrontando la tormenta a petto nudo.
Bevendo e piantando casino.
Senza mai un pensiero
Né alla moglie, né ai parenti,
Né all’amore, né al denaro, né al cielo?…

Da Spoon River Antology (1915) di Edgar Lee Masters traduzione di Fernanda Pivano

Il valzer della toppa

Il valzer della toppa

Il valzer della toppa – parole di Pier Paolo Pasolini, musica di Piero Umiliani-  cantato da Laura Betti. Pier Paolo Pasolini ha scritto altre due canzoni “Cristo al Mandrione” e “Macrì Teresa detta pazzia”. Laura, che parlava un romanesco piuttosto stento, riesce egualmente a conferire vivacità indemoniata a questa canzone grazie alle sue grandi qualità  d’interprete,cosa che invece Gabriella Ferri, che pure l’aveva in repertorio,non riesce a fare, probabilmente fuorviata da una lettura un po’ troppo melanconica del brano.La Toppa in romanesco è la sbronza leggera quella che regala un piccolo stato di ebbrezza,quanto basta per credere di essere felici.

Qui appresso invece  il necrologio della Betti scritto da Pasolini, per gioco, nel 1971.

Pioniera della contestazione? Si, ma anche sopravvissuta alla contestazione. Quindi restauratrice di uno stata quo ante. Dove c’era i! pieno (l’ordine borghese e l’opposizione ufficiale), si è avuto il caos; caduto il caos, quel pieno è apparso come vuoto, e chi c’era dentro, a fare il buffone della protesta, si è trovato come in una stanza di cui fossero scomparse improvvisamente le pareti.

I popoli antichi rievocavano artificialmente il caos per “rinnovarsi”, ricostruendo il momento inaugurale. Il caos non passa senza lasciare la necessità di rinnovamento. Invece del rinnovamento si è avuta la restaurazione, con le squadre fasciste. Quel pupazzo che nel «pieno degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta» si è trovato ad essere vivo, ma strettamente dipendente dal mondo che egli, in quanto pupazzo, contestava, è poi stato travolto e vanificato dal caos del biennio dal 1968 al 1970, col ritorno della normalità ha verificato in sé l’accadere di un fenomeno molto comune: l’invecchiamento. La persona di cui sto in particolare parlando non ammette nulla di tutto questo.

È invecchiata e morta: ma son sicuro che nella sua tomba ella si sente bambina. Ella è certamente fiera della sua morte, considerandola una morte speciale.

Inoltre pur ammettendo in parte di essere morta, appunto perché la sua morte, essendo speciale, può essere ammessa, essa, nel tempo stesso, non l’ammette: «la mia morte è provvisoria, è un fenomeno passeggero», essa par dire, con l’aria di un personaggio di Gogol’, di Dostoiewsky, o di Kafka, «in alto loco si sta brigando perché tale noiosa congiuntura venga superata e tutto torni come prima. Del resto, io non ho soluzione di continuità: sono ciò che ero. La mia possibilità di stupore non ha limiti perché io cado sempre dalle nuvole, e rido, con meraviglia fanciulla». (Contemporaneamente, là nella tomba, dice: «Io non son mai nelle nuvole, son sempre coi piedi a terra, niente mi meraviglia perché, da sempre, so tutto».) Ambiguità? No: doppio gioco. Ché essa, la morta, Laura Betti, non era ambigua, anzi, era tutta d’un pezzo: inarticolata come un fossile.

Ella ha aderito alla sua qualità reale di fossile, e infatti si è messa sul volto una maschera inalterabile di pupattola bionda; (ma: «attenti, dietro la pupattola che ammette di essere con la sua maschera, c’è una tragica Marlene, una vera Garbo»).

Nel momento stesso però in cui concretava la sua fossilizzazione infantile adottandone la maschera, eccola contraddire tutto questo recitando la parte di una molteplicità di personaggi diversi fra loro, la cui caratteristica è sempre stata quella di essere uno opposto all’altro.

La sua grande fortuna è stata quella di avere evitato di vivere in uno dei tanti paesi dittatoriali che ci sono al mondo; e soprattutto di avere evitato di finire in uno dei tanti possibili campi di concentramento. Che terrificante vittima sarebbe stata! Ma in un necrologio non si dicono queste cose.

Facendo di lei un esame superficiale, molti le attribuirono in vita una volontà provinciale di degradazione degli idoli. No, non era soltanto il sadismo di una provinciale che giunta nel Centro dove abitano gli idoli, prova il piacere di profanarli e di dissacrarli: in questa dolorosa operazione c’era il suo bisogno di essere contemporaneamente “una” e “un’altra”, “una” che adora, e “un’altra” che sputa sull’oggetto adorato; “una” che mitizza e “un’altra” che riduce. Ma non era ambiguità, ripeto. Il suo gioco era chiaro come il sole.

Naturalmente, proponendosi prima di tutto, come una delle leggi-chiave del suo codice, di non fare mai, in alcun caso, pietà, essa, per il gioco dell’opposizione, ha anche sempre voluto e ammesso anche di fare pietà. Ma la pietà non è stata causata da una o dall’altra delle sue azioni o delle sue situazioni: no, essa è sempre stata causata dall’eccessiva chiarezza del suo gioco. Dunque è attraverso la pietà che essa è stata costretta a provocare verso la sua persona, che è venuta fuori la sua generosità: cioè qualcosa di eroico. Questo è infatti il necrologio di un’eroina. Bisogna aggiungere che era molto spiritosa e un’eccellente cuoca.

Pier Paolo Pasolini

Da “Vogue” Milano 1971

Piero litaliano (deh te, ma te perchè non ti ompri un sassofono?)

Piero litaliano (deh te, ma te perchè non ti ompri un sassofono?)

Ha tutte le carte in regola
Per essere un artista:
Ha un carattere melanconico,
Beve come un irlandese.
Se incontra un disperato
Non gli chiede spiegazioni…

Si accorge del fotografo ma non fa in tempo a sottrarsi e allora  l’unica espressione possibile diventa un “maddai no”. Lui è Piero Ciampi uno che è riuscito nell’impresa di NON diventare un mito nemmeno da morto benchè insieme a Gianni Marchetti, l’unico che riuscisse con le sue costruzioni musicali a domare i versi di Ciampi, abbia scritto alcuni capolavori,primo fra tutti “Tu no“. Le (scarne in verità) biografie, raccontano storie di fallimenti e di conflittualità con il mondo musicale,di fughe e vagabondaggi tra Parigi e Stoccolma,di alcolismo,abbandoni e sfuriate con amici e colleghi.Ma al di là delle canoniche suggestioni proprie delle storie che accompagnano l’ artista “maudit",Piero era un’anima scorticata,i molti perchè sono tutti nella sua poesia,nei suoi versi rotti nel modo così composto eppure così forte di porgerli.Amo molto questa registrazione contenuta nell’album Inediti e che risale al Premio Tenco del 1976.

Buio in sala e base registrata già partita, Piero non compare sul palco; è nel camerino a bere e a parlare con Amilcare Rambaldi. Alla fine arriva barcollando, parte qualche fischio e immancabilmente parte anche Piero..

Taci tu, parla quando te lo dico io perchè, scusami, se tu vuoi parlare vieni qua: io rischio, te no.” Subito dopo, però, com’era nella sua natura signorile e sollecita : “Però non te la prendere come un’offesa, prego”; seguono gli applausi. Ad un altro isolato fischio, interrompe la canzone e urla in puro livornese: “Dè, ma te perchè ‘un tìompri un sassofono?”.Poi canta la sua canzone,che poi è “Il giocatore” si stacca sorridendo dal microfono, fa un passo di lato e si inchina Così scompare Piero Ciampi; è la sua ultima esibizione davanti ad un pubblico

Io non ho lasciato il mio cuore
A San Francisco,
Io ho lasciato il mio cuore
Sul porto di Livorno.
Le luci si accendevano sul mare,
Era un giorno strano:
Mi rifiutai di credere che fossero lampare

 

Unusual

Unusual

unusual

Maria Antonietta Sisini, racconta di essere stata alla fine contenta dell’indisponibilità di alcuni cantanti a partecipare alla realizzazione di Unusual poichè il dieniego, l’ha obbligata a proseguire la ricerca in direzione di artisti più vicini al modo di intendere la musica di Giuni Il risultato infatti è pregevolissimo,assai diverso dal semplice duettare con una registrazione.
C’è Un’ estate al mare, del 1982, riproposto in una versione remixata da Megahertz, Toni Childs in Morirò d’Amore interpreta la passione e l’ammirazione per Giuni; riuscitissimo il remix  dell’estro colto e irriverente di Caparezza di Una vipera sarò, brano già all’avanguardia e geniale nel 1981; in Moro perché non moro è Lene Lovich che canta in italiano insieme  alla voce di Giuni. Con Franco Battiato, amico e autore di alcune delle sue più belle canzoni, si riascoltano il bellissimo Aria siciliana e La sua figura, in cui Battiato interviene con grande discrezione e rispetto sull’interpretazione originale. “Illusione” di Vladimir Luxuria “Giuni aveva un lato ironico che la gente non conosce”
Giuni ha da sempre desiderato cantare con altri artisti, lo considerava intelligente, divertente – continua Maria Antonietta Sisini, che ha curato e prodotto Unusual -. Da qui il mio totale impegno alla realizzazione di un desiderio che Giuni non ha ottenuto nella sua breve vita“.
Un anno di intenso lavoro per aggiungere questa opera alla discografia di Giuni. Il dvd allegato, con la registrazione di 11 brani, tra cui Lettera al Governatore della Libia, Nada te turbe, Vieni, L’attesa, va ad arricchire la documentazione video, già iniziata con la pubblicazione di Mediterranea Tour (settembre 2005)

A cimma

A cimma

fda cimma

Stanno in piedi anche senza la musica questi versi de  “A’ çimma” di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati. Sono uno degli esempi di musicalità intrinseca della parola, e delle parole combinate con altre parole. E’ una probabile caratteristica del dialetto che qui in aggiunta, consente ai versi di raggiungere una perfezione non solo metrica. Questi :

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

ne sono un esempio. C’è un lavoro puntiglioso dietro al  testo, quindici giorni “legati alla sedia” come Vittorio Alfieri, come ha raccontato Ivano Fossati .Poi accade che la musica di Mauro Pagani, non priva di forti accenti mediterranei e suggestioni greche (Ndelele, bouzouki ,Gironda, Derbóuka) concorra a determinare un’ atmosfera piuttosto particolare, da cucina placidamente stregonesca, tra preghiere invocazioni e riti scaramantici , il tutto per la riuscita della Cima, un “lavoro” che è fatto di passaggi delicati, di ripieni  di varie interiora, di pinoli, maggiorana e piselli da amalgamare, assistiti dall’alchimia ma anche dalla madonna che scaccia gli spiriti maligni dalla pentola in cui avviene il tuffo finale, il battesimo nelle erbe aromatiche. Un solo rammarico al momento in cui i camerieri verranno a portare via il pranzo, lasciandoti solo con “tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè” , tutto il fumo del tuo lavoro.

Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà

Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare

ti t’ammiàe a ou spègiu de ‘n tiànnin
ou cè s’amia a ou spègiu da ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn 

ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarda allo specchio della rugiada
metterai la scopa (di saggina) usata (usurata, indurita) in un angolo

che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia

che se dalla cappa scivola in cucina pulisce
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura

Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun

Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche

cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia

con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia

ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè

che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera

nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria

non ritornare dura
e nel nome di Maria

tùtti diài da sta pùgnatta
anène via

tutti i diavoli da questa pentola
andate via

Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè

Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere

tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià

tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via