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Mese: Novembre 2006

Non tutti sono così

Non tutti sono così

In questi giorni, le agenzie hanno sfornato in continuazione le cifre del disastro. Fonti Onu, Amnesty International e la nostra Istat, sono concordi : dai sedici ai cinquanta anni, la prima causa di morte delle donne nel mondo è la violenza maschile,oltre del 90 % degli episodi avviene in famiglia.Più sconvolgenti ancora sono i dati che provengono dall’Occidente.Certo non tutti gli uomini sono così ,ci sono i compagni affettuosi, i nostri amici più cari, i figli maschi che abbiamo cercato di allevare nel rispetto delle differenze.Tuttavia se chiedessimo loro di commentare i dati sulla violenza risponderebbero adducendo motivazioni religiose, storiche psicologiche,geografiche, sociologiche.Eppure le cifre coinvolgono trasversalmente i paesi del sottosviluppo come le città ricche ed evolute.In Europa come in Afghanistan negli Stati Uniti come in Uganda.La discriminazione, lo sfruttamento, le molteplici forme di violenza che subiscono ancora le donne, parlano una lingua universale, e se sembrano talvolta “altre”, straniere tra loro, è solo per una sfasatura di tempi, di “emancipazione” -quel “ritardo” o “avanzamento” per cui il “delitto d’onore”, ha smesso di costituire un’ attenuante nei tribunali italiani solo trent’anni fa. Intervenire repressivamente, prolungando di anni l’attesa della cittadinanza per gli immigrati, vincolandola a obblighi formali di rispetto per i nostri valori e diritti sulla base magari di un test, come ha fatto lo Stato tedesco di Baden Wùrttember, oltre a essere un provvedimento di buone intenzioni ma inefficace, risulta soprattutto fuorviante per un problema che riguarda prioritariamente l’educazione, la formazione dell’individuo, le relazioni sociali, il confronto delle esperienze, l’allenamento quotidiano alla reciprocità, la conoscenza di ciò che ci rende differenti e simili al tempo stesso a tutti gli altri.Il nodo da sciogliere è perché un numero così spropositato di maschi, portatori di condizioni, storie, traumi, ideologie, ignoranze e culture diverse, trovi il modo di risolverle, dimenticarle, vendicarle, affermarle usando violenza alle donne, cercando il loro annullamento e umiliazione totale.
Dentro questo nodo stanno molte questioni. Ad esempio quella del rapporto fra la sessualità maschile e il potere. Può darsi, come sostengono alcuni, che questo rapporto abbia avuto poco tempo (cioè pochi milioni di anni) per evolversi, e che quindi adesso possiamo spingerci poco oltre le buone intenzioni. Ma può darsi anche che qualche piccola accelerazione al processo di umanizzazione della sessualità maschile si possa mettere in atto.
La condizione, però, è che innanzitutto gli uomini che si sentono, almeno a livello conscio, distanti dalla maschilità aggressiva e violenta, assumano su di sé la questione, rinunciando a pensare che la cosa non li riguarda, che è affare di altri, anche quelli maschi ma di altra specie.
In questa direzione, molto ha da insegnare a tutte e a tutti la lucidità del lavoro di alcuni gruppi di riflessione maschili sparsi per l’Italia.La loro ricerca è tesa a trovare un modo di essere uomini che rompa con quanto, nella costruzione storica della maschilità, ha prodotto ilnesso profondo fra genere maschile e volontà/bisogno di dominio; una rottura, però, non limitata all’aspetto volontaristico (“non si deve fare”), ma prodotta dalla scoperta e dall’esperienza che un modo nuovo di essere uomini è veramente liberante, prima di tutto per sé. E una condizione per avviarsi su questa strada è il riconoscimento di un altro desiderio, un’altra soggettività e un’altra libertà — quelle femminili — che stanno di fronte al desiderio e alla soggettività maschili: che quindi lo limitano, ma questo limite rivela all’uomo una nuova esperienza di sè. Se questi uomini hanno ragione, se la condizione per una maschilità che non abbia bisogno del dominio e del potere per sentirsi tale — e che quindi non si risolva in violenza contro le donne quando potere e dominio sono messi in crisi — è una maggiore visibilità della soggettività femminile, molte cose devono cambiare nel contesto culturale.Vedo difficile, ad esempio, educare bambini e ragazzi a essere veri uomini anche se privi di scettro se contemporaneamente a scuola la cultura propone solo storie, pensieri, conquiste, arti di uomini, tacendo di quanto hanno fatto, detto e scritto le donne o dei motivi per cui gli uomini non hanno permesso alle donne esplorare i campi del sapere. O se si sconsigliano alle ragazze certe facoltà universitarie «perché tanto ai vertici di un’azienda non ti ci faranno arrivare anche se sei brava». E via dicendo.
Se non si fa niente per cambiare il contesto e accompagnare così il lavoro degli individui su di sé, i genitori delle ragazze saranno condannati a spiegare alle loro figlie perché devono sempre avere una riserva sugli uomini che incontrano, e i genitori dei ragazzi (che forse spesso a questo non pensano) non sapranno dove appoggiarsi per fare in modo di non dover temere che i propri figli vadano, in un modo o nell’altro, ad aggiungersi agli emuli — consapevoli o no, denunciati o impuniti — di Achille.

Magie di parole (lei è omosessuale?)

Magie di parole (lei è omosessuale?)

Per converso si è vista la forte personalità del Braibanti: un uomo adulto, volitivo, esperto, sottile, dialettico, controllato, tenace, “omosessualmente intellettuale”. Ha un vizio che deve soddisfare e che invade tutto il suo Essere psichico, che lo muove e lo domina; è indubbiamente colto anche se disarmonizzato e non integrato, ma è anche ambizioso, orgoglioso, immodesto; fisicamente svantaggiato, ha per legge di compensazione esaltato – ed è portato a sopravvalutare – le sue doti intellettive. Però è praticamente un fallito: scrive libri che nessuno legge; quasi cinquantenne, vive ancora una vita fatta di miseria, di panini imbottiti, di panni lavati da sé, di carità della madre, del fratello, degli amici. E’ preda di sete di potere, di dominio di rivincita, professa monismo e anarchismo, combatte la famiglia, società e Stato; disprezza la scuola e la morale; ripudia il conformismo dei più perché i più sono la gente fisicamente, psichicamente e sessualmente sana, normale, hanno cioè quel che a lui è stato negato.

Corte d’Assise di Roma atti del processo ad Aldo Braibanti

Se è vero che l’imputato,colpevole o innocente che sia,è un essere umano solo, nel momento più tragico della sua esistenza,noi non risarciremmo mai abbastanza Aldo Braibanti,non solo per l’ingiusta detenzione ma per essere stato sottoposto ad un processo che segna una delle pagine più ambigue e vergognose che la Giustizia Italiana abbia mai scritto.La logica della “vittima designata” che si rinviene negli atti giudiziari fin dal linguaggio utilizzato,mobilitò in favore di Braibanti intellettuali del calibro di Umberto Eco,Guido Calogero, Alberto Moravia ed indusse Leopoldo Piccardi a reindossare la toga,per un memorabile patrocinio che se non servì ad assolvere Braibanti, tuttavia ebbe notevole influenza sulle successive decisioni dei giudici costituzionali in materia di abrogazione del reato di plagio.

Prima di raccontare come si svolsero i fatti una piccola considerazione :

Centinaia di migliaia di pagine di dottrina volta alla disanima del carattere diverso delle leggi e delle disposizioni, non mi convinceranno mai ad accettare la distorsione  per la quali,si è o non si è delinquenti a seconda della classe, del ceto,dell’appartenenza politica o degli stili di vita, e non a seconda se quel che si è fatto o che si fa rientri o meno in fattispecie penali.Il processo Braibanti era intessuto di questa distorsione che incarna, ieri come oggi, uno dei modi più odiosi di fare Cattiva Giustizia.

Il 12 ottobre 1964 Ippolito Sanfratello presentò alla Procura della Repubblica di Roma una denuncia contro Aldo Braibanti, accusandolo di plagio nei confronti del figlio, Giovanni Sanfratello. Nell’esposto si sosteneva che Braibanti, grazie al potere che esercitava sul figlio, aveva assoggettato quest’ultimo a sé sia sotto l’aspetto psichico sia dal punto di vista fisico, in quanto omosessuale.
Il procuratore Loiacono aprì immediatamente l’istruttoria, che sarebbe durata per ben quattro anni, nonostante la legge imponesse, trascorsi quaranta giorni dall’apertura del fascicolo, il passaggio del procedimento al giudice istruttore.
Fu chiamato agli interrogatori, tra gli altri, anche Piercarlo Toscani, il quale affermò di essere anch’egli vittima di Braibanti, non lesinando al procuratore i particolari più intimi della sua passata relazione con quest’ultimo. Quelle parole, insieme ad altre, sono state poi trasformate – come avrebbe notato successivamente Umberto Eco – in “magie di parole”, distorsioni della realtà, utili a guidare l’interpretazione dei fatti nel senso voluto dagli accusatori.
Il 5 dicembre 1967 Aldo Braibanti fu arrestato e rinchiuso a Regina Cœli per aver sottoposto “Toscani Piercarlo    e   Sanfratello   Giovanni   al   proprio potere in modo da ridurli in totale stato di soggezione”, secondo l’articolo 603 del Codice penale.
Qualche mese dopo, dal 12 giugno al 13 luglio 1968 si svolse, alla Corte d’Assise di Roma, il processo, che vide Ippolito Sanfratello e Piercarlo Toscani costituirsi parti civili. A difesa di Braibanti testimoniarono, tra gli altri, Sylvano Bussotti, Marco e Piergiorgio Bellocchio.
Il processo assunse subito, i toni della caccia alle streghe. Non Braibanti fu dipinto come un essere diabolico, un corruttore di giovani, si utilizzò la sua produzione artistica, filosofica o poetica e persino i suoi interessi scientifici per farne oggetto di disprezzo o per trovarvi i segni della volontà di plagiare. Si reinterpretarono banali fatti della vita quotidiana e di relazione fra le persone in chiave ossessiva; ma soprattutto si utilizzò tutto il campionario di stereotipi e di pregiudizi antiomosessuali disponibili, per portare sul banco degli imputati, oltre al “cattivo maestro”, anche l’omosessuale Braibanti. Nelle domande della pubblica accusa e dei rappresentanti delle parti civili, nelle loro arringhe, nelle questioni poste dai giudici e nei loro pronunciamenti (innanzitutto nella sentenza), emerge chiaramente il tentativo di condannare l’omosessualità, reso evidente, ad esempio, dalla domanda a bruciapelo del PM Loiacono a un testimone della difesa, Sylvano Bussotti: “Lei è omosessuale?”. 

Acrobati dello specchio magico

Acrobati dello specchio magico

Dice Karl Mannheim che i ragazzi sono più leggeri degli adulti perchè non hanno la zavorra del senso comune da portarsi dietro.In questa leggerezza è contenuto il rischio della superficialità ma allo stesso tempo abita quella dinamicità propria, per esempio, del multiasking,la qualità che permette di agire su più piani,con più software (sto scrivendo e  mentre controllo la posta, mi collego a skype,scarico un file etc).E’ un’ attitudine,questa, che trova il suo migliore allenamento nelle pratiche di gioco, ecco perchè la comunicazione on line sconfina sempre nella dimensione ludica,attraverso cui si reinventano molte relazioni comprese quelle amorose.E si raggiungono livelli decisamente alti di formalizzzazione, come nei diffusissimi role game tra cui gli straordinari Sims e Second Life dove le pratiche ludiche sperimentano nuove forme di comunicazione sociale, dove i giocatori diventano autori non solo del testo ma anche di se stessi, attivando cioè, quel processo psicologico, tra l’altro già presente da sempre nei giochi infantili,di metamorfosi della propria identità,trasportandola nella rete con funzioni diverse secondo le opportunità.Il gioco dell’identità multipla distribuita, (proprio del role game o della chat attraverso il nickname o l’avatar) può diventare così un procedimento per agire con una nuova consapevolezza.: quella di ambientarsi in quel “non luogo” che è la rete,in cui c’è molto bisogno d’interrelazione umana,ludica e creativa per poter costruire uno spazio socializzabile.

Ed ecco qui una bella iniziativa da segnalare e riproporre,il progetto si chiama Tvttb,  acronimo oramai largamente diffuso negli SMS che sta per “ti voglio tanto bene”: si tratta di un progetto di performing media ,tendente ad attivare una modalità partecipativa attraverso l’uso di nuovi mezzi interattivi,un’attività di animazione culturale che coniuga metodologie di laboratorio teatrale con quelle propie delle arti visive e del brainstorming sulla base di letture e visioni di repertori diversi,per sfociare in una risoluzione multimediale.Come nel blog.

L’attenzione principale è tesa a rilevare la peculiarità della comunicazione digitale,attraverso sms,mmms e chat in particolare per definire un’evoluzione culturale di questi linguaggi in una sorta di digital story telling,la narrazione in ambiente digitale,un modo di raccontarsi attraverso un diario in progress che i ragazzi realizzeranno durante il laboratorio,pubblicandolo sul blog.

Presentato nell’ambito della Fiera del libro di Torino nel maggio scorso,questo progetto, rappresenta una linea di ricerca importante, nel momento in cui i nuovi media stanno condizionando la comunicazione interumana  a partire da quella sentimentale (di cui le reti sono pervase e surriscaldate) ma è molto meno chiaro come riportarlli nell’ambito delle attenzioni culturali.

Anche perchè non si tratta solo di scrittura ma di vere e proprie azioni o comportamenti indotti da pochi caratteri,come ci rivela questo SMS:

Se cancelli questo sms  m ami,se lo salvi m desideri,se lo inoltri m vuoi baciare se me lo rimandi vuoi fare sesso Kn me. Vere e propie istruzioni per l’uso dell’amore che muta on line.

Violenza costituita

Violenza costituita

Pochi riferimenti sui giornali di stamane sono per Giovanni Sanfratello, vittima secondo la sentenza della I Corte d’Assise di Roma,di Aldo Braibanti che ne aveva “assoggettato la volontà”. Prove del plagio erano state le idee libertarie e atee professate dal Sanfratello, la sua scelta di dedicarsi alla pittura e la vita in comune con Braibanti.Il giovane aveva ventitré anni, era legalmente residente a Roma, e indipendente. Poiché non era disposto affatto a riconoscere che idee e comportamenti non fossero l’esito di una sua libera scelta, ma di una sua riduzione in “schiavitù” da parte del suo amico, Sanfrantello fu rapito dalla famiglia ,con la violenza internato, con la violenza sottoposto a elettroshock, con la violenza massacrato moralmente e fisicamente: gli si chiedeva, in buona sostanza, di tornare ad amare i suoi genitori, di tornare a credere nella religione e in Dio, di accusare Braibanti, di addebitare al plagio i rapporti omosessuali probabilmente intercorsi fra di loro. Quando, dopo la condanna di Braibanti,Sanfratello fu lasciato in “libertà condizionata” dal prof. Trabucchi, del manicomio di Verona, gli si vietò di leggere libri che non fossero almeno precedenti al 1870.
Nel corso del processo  tutta la stampa bempensante si era dedicata  con cura meticolosa al linciaggio e alla diffamazione di Braibanti  e indirettamente di Sanfratello come pure la violenza assurda e terroristica della requisitoria del PM Loiacono. Fioccarono riferimenti a “squallidi giacigli“, a “pratiche contro natura“, alla difesa “dell’innocenza e dei diritti del giovane, dell’adolescente”, alla “riduzione a cosa“, al “plagio” di una persona – il Sanfratello – che aveva l’incredibile torto di aver rifiutato, ventenne, di vivere nella sua famiglia clericale e autoritaria, e di condividerne valori e comportamenti. Inimmaginabile: solo il “diavolo comunista” Braibanti poteva essere responsabile di tanto… Uno dei periti ufficiali, da allora rivelatosi anche ufficialmente un fascista, dichiarava a destra e a manca che s’erano così saldati i conti con la pretesa cultura antifascista (Braibanti era stato un eroico resistente, torturato dai nazisti); il giudice Falco, che s’erano così
fatti i conti con la pretesa cultura psicanalitica.
Di Giovanni Sanfratello, cioè di quel che ne restò,dopo il suo “salvataggio” da parte dell’Italia “cattolica”, “pura”, “maestra del giure”, “virile“, “ordinata“, insomma democristiana e fascista, se ne ebbero notizie nel 1982 dalla prefazione di un libro di Mario Appignani sulle carceri :  un giovane malconcio drogato non solo dal manicomio, annichilito dalla medicina,dalla famiglia e dalla cattiva giustizia.Poi più nulla.
 La sua vicenda sembra esemplare: la società, accorsa in difesa della famiglia e dell’ordine, lo aveva “assistito”. Questa “assistenza” ne aveva fatto un rottame, un “violento contro se stesso”, il minimo che alla scuola d’obbligo della Violenza Costituita possa accadere. Giovanni Sanfratello aveva in pochi mesi vissuto intensamente la trafila di centinaia di migliaia di giovani presi a carico, per volontà della Repubblica , dalle Istituzioni che predicano “amore”, “dedizione”, “sacrificio”, rispetto della vita. 

Il padre delle spose è un capolavoro assoluto

Il padre delle spose è un capolavoro assoluto

Non si capisce bene perchè in televisione può andare in onda di tutto, anche l’avvocato Taormina e persino il Procuratore della Repubblica Simonetta Matone che mentre chiede l’inasprimento delle pene per qualsiasi reato,si assesta lo jabot maculato della blusa ( ma pagatele un consulente di stile) o allarga l’orlo sghembo della gonna sul sofà e invece  un onesto prodotto come “Il padre delle spose” deve suscitare l’ira funesta di mezzo parlamento e dell’Osservatore Romano che tramite il suo critico televisivo, fa sapere che la fiction è un ‘immonda polpetta,finta popolare, con un happy end improponibile.Il problema ovviamente non sta nel film che poteva anche essere diretto da Rossellini redivivo,non avrebbe avuto trattamento migliore ne’ dall’Osservatore Romano ne’ dal seguito di moralisti parlamentari o meno.Il punto è nell’argomento,i matrimoni tra omosessuali che non vanno giù alla curia, alla destra e a notevoli pezzi del centro sinistra.Invece con molta semplicità e naturalezza  andrebbe detto che lo Stato non dovrebbe mettere il naso nei sentimenti delle persone e nella  loro legittima aspirarazione al riconoscimento ufficiale di un amore che al di là di discorsi pur sacrosanti di reversibilità,eredità e quant’altro comporta il poter vivere l’affettività alla luce del sole,come tutti.E oltre..apriamo la possibilità agli omosessuali di allevare figli propri,regolamentiamo anche questo settore,prima che ognuno provveda al solito,per conto proprio o con l’inseminazione o con le adozioni in paesi esteri.Prima cioè che i nascituri o gli adottandi si ritrovino titolari di situazioni pasticciate.Il Primo Canone diceva che Dio creò l’uomo e la donna e che in qualche maniera i sessi erano due e le combinazioni possibili una sola.Ora non è più così e il legislatore qualunque siano le proprie impostazioni,non può ignorarlo.Quanto ai ruoli necessari alla crescita di un bambino,visto il buon esito dell’educazione impartita dalle mamme e dei papà perfettamente etero,c’è di che aspettarsi soluzioni migliori da altri ruoli,altre famiglie,altri insiemi altre impostazioni.Per questo ma soprattutto per  aver proposto i temi delle unioni omosessuali con naturalezza e per aver stigmatizzato il pregiudizio,”il padre delle spose” è un film da Oscar.