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Anno: 2008

The charging bull

The charging bull

Di qui a qualche ora si saprà se lo scudo predisposto dal G7 e dal vertice Europeo sarà in grado o meno di restituire fiducia ai mercati. Il piano  proposto ricalca quello di Paulson negli USA : lo Stato acquista una partecipazione azionaria nelle banche mobilitando risorse per la ricapitalizzazione, senza per questo pretendere un proporzionale diritto di voto. Non si tratta quindi di una partecipazione azionaria di controllo ma di un semplice impiego di risorse pubbliche per scopi privati. Saranno con ciò garantiti i depositi dei cittadini, scongiurando così il rischio di corsa agli sportelli per ritirare i risparmi. Si promette inoltre, anche se in modo velato, di estendere le garanzie all’intero sistema dello scambio interbancario, la cui paralisi il credit crunch, costituisce l’epicentro della crisi in atto. Infine saranno messe in atto azioni in grado di far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, proprio quello che ha provocato l’attuale terremoto per l’impossibilità di distinguere i titoli cattivi da quelli buoni. Il valore nazionale dei prodotti finanziari derivati è stato fissato dalla Banca dei regolamenti di Basilea, a febbraio scorso in 600.000 miliardi di dollari. Undici volte il Pil mondiale. Una cifra spropositata, impossibile. Nemmeno gli stati più ricchi  possono contare su risorse di queste dimensioni. Pertanto la fiducia che si  spera esprimano i mercati reali tra poco, più che sull’effettiva consistenza dei capitali da mettere in campo, si può basare solo sulla credibilità dei governi. Se invece prevarrà la considerazione dello scarto che c’è  tra quanto viene promesso e quanto realisticamente si può fare, la catastrofe sarà inevitabile. Si tratta di aspettare.

Nell’illustrazione  The charging bull la statua del toro che presidia Wall Street, simbolo, oggi più che mai tronfio e ridicolo,  of aggressive financial optimism and prosperity.Come entusiasticamente avvertono le Guide della città.

Jungle red !! (Mary Sylvia Crystal e le altre)

Jungle red !! (Mary Sylvia Crystal e le altre)

A Mary Haines non sarebbe mai passato per la testa di reagire alle corna spazzolando un panetto di burro intriso nella cioccolata, nè di recarsi in una spa per riconquistare Stefano, il fedifrago – nonchè facoltoso banchiere in Wall Street –  consorte, irretito da Crystel Hallen, la commessa di un reparto di profumeria dove le essenze si chiamano Summer rain e i flaconi hanno il  tappo sormontato da un ombrellino di cristallo. Mary del resto è perfetta così com’è : elegante, intelligente, bella, ironica: ma soprattutto orgogliosa, così almeno le sceneggiatrici Anita Loos e Jane Martin e Clare Booth Luce, autrice della commedia Women da cui è tratto il film omonimo, definiscono l’esigenza di lealtà, chiarezza e fedeltà al patto coniugale che sosterrà Mary nel proposito di non recedere da una posizione intransigente. E questo nonostante le sue amiche e sua madre,  l’irresistibile Mrs. Moorehead, le spieghino in tutte le lingue  come in simili frangenti forse sarebbe più saggio chiudere un occhio …così fan tutti ,  i mariti, s’intende.  E’ il 1939 quando George Cukor dirige questo incantevole film  in cui fa recitare 130 attrici, perché di mariti o amanti, si parla praticamente per  tutto il tempo ma di ruoli maschili non ce n’è  manco l’ombra. Gli uomini in questo film, sono invisibili fantasmi che vivono esclusivamente nel racconto  delle donne. Escamotage geniale, che obbliga sceneggiatrici e regista a soluzioni narrative imprevedibili: saranno cuoca e cameriera di casa Haines  a raccontarci, in un passaggio esilarante, la lite che preluderà al divorzio, mentre alle manicure, alle sarte, alle commesse alle mannequinnes sarà demandato il compito di tessere una trama non priva di considerazioni avveniristiche sul rapporto tra i generi . Altro che gli uomini che mascalzoni, Betty Friedan è già sbarcata tra di noi e ha cominciato il suo lento ma necessario lavoro di decostruzione. Così quando Mary Haines risponderà alla madre che i tempi sono cambiati da quando le donne erano gattine sottomesse – Ora è ora! Stefano ed io siamo uguali – il racconto prenderà immediatamente la piega della riscossa, dolorosa – quindi niente impennacchiamenti o restyling per riconquistarlo – ma inesorabile. Un film perfetto, per dialoghi, interpreti e superbe ambientazioni. La sfilata di mode che dura cinque minuti, unico momento in cui il film da bianco e nero diventa a colori, è una vera e propria sontuosa coreografia con tanto di gabbie con animali,  orchestra e scenografie da musical di Broadway. Ovvero Sydney, l’istituto di bellezza in Park Avenue – che sembra un tempio pagano tra  archi, scalinate e salette per i sacrifici umani – centro di raccolta di pettegolezzi la cui diffusione è poi  affidata alle loquaci manicure insieme all’applicazione del famoso Nail Polish Jungle red, rosso giungla, il tormentone, simbolo dell’aggressività femminile che viene ripetuto durante tutta la durata del film.


Difficile dunque riprodurre le atmosfere e la magia  di Women, un film che si è avvalso oltre che del tocco inequivocabilmente esperto in materia di ruoli femminili,  di George Cukor, di un cast di eccezionali attrici :  Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russel, Joan Fontaine, Paulette Goddard e di una serie di generiche di Hollywood alle quali sono affidate parti  minori, ma egualmente dotate di professionalità e talento. Una tra tutte Marjorie Main, la proprietaria della pensione di Reno che spiega alle annoiate divorziande della upper class newyorkese, cosa significhi davvero un marito violento   . Nonostante la difficoltà dell’impresa, quest’anno Diane English ha provato a riproporre Women in un remake piuttosto fedele all’originale  per storia e ambientazioni e che peraltro mantiene anche il dato del cast tutto femminile. Ne è uscito un film, a suo modo,  divertente. Tuttavia dal 1939 ad oggi i cambiamenti sono stati tali che l’inossidabile trama ne è risultata giocoforza, influenzata. E questo non solo perchè, di questi tempi, un magnate di Wall Street e una commessa tutta strategia e sogni di rivalsa, non hanno più lo stesso appeal di una volta,  ne’ Mary Haines  ha più bisogno di proclamare la parità dei diritti, essendo arrivata più o meno dove voleva . Ma sono i connotati di quel suo pianeta fatto di relazioni femminili controverse ma infine solidali,  di regole ( da infrangere) , di passioni e di progetti ( da perseguire con tenacia ) ad essere profondamente mutati. Per raggiungere la meta, Mary ha dovuto lasciare il ghetto frivolo e profumato, per confrontarsi con gli uomini. Senza rimpianti beninteso – una galera è una galera anche se ha le pareti rivestite di seta e profuma di Summer rain –  ma nel tragitto, qualcosa di indispensabile e prezioso è andato perduto e il film del 2008,  inintenzionalmente,ne rivela la carenza. Si è persa per esempio l’ironia che per l’occasione si è trasformata in battute pesanti ed esplicite. Si è persa la leggerezza, e anche il senso della conquista amorosa è svanito, trasformandosi da gioco affascinante ed ambiguo, in una guerra da combattere a colpi di biancheria intima. Mary Haines moglie orgogliosa (cioè piena di femminile dignità) da Norma Shearer è divenuta Meg Ryan, una mogliettina ricciolona e un po’ melensa, resa fragile dal tradimento coniugale. Entrambe usufruiranno di un happy end, una sola però rimarrà per sempre, la vera Mary Haines.

The Women anno 1939 è un  film di George Cukor. Con Joan Crawford, Norma Shearer, Rosalind Russel, Flora Finch, Mary Boland, Paulette Goddard, Phyllis Povah, Joan Fontaine, Virginia Weidler, Lucile Watson, Marjorie Main, Muriel Hutchison, Virginia Grey, Margaret Dumont, Hedda Hopper, Dot Farley. Genere Commedia, b/n 132 minuti. – Produzione USA 1939.

The Women anno 2008 è un film di Diane English. Con Meg Ryan, Annette Bening, Eva Mendes, Debra Messing, Jada Pinkett Smith, Carrie Fisher, Cloris Leachman, Debi Mazar, Bette Midler, Candice Bergen. Genere Commedia, colore 114 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Bim

 

Gelmini, vai al cinema

Gelmini, vai al cinema

Troppe riforme e troppo improntate a criteri economicistici, senza un Progetto o un’Idea di Scuola,  ma buttate lì a caso, generano caos, consegnando gl’insegnanti, privi di mezzi adeguati , alla solitudine e alle difficoltà del dover affrontare un mondo in continua evoluzione. Intorno all’ipotesi che le classi siano probabilmente l’ultimo punto di osservazione delle dinamiche legate alla mixité e che la scuola in genere, sia un luogo in cui si concentrano attenzioni politiche e meccanismi autoritari, si sviluppa questo Entre les murs – qui da noi tradotto con l’insignificante La Classe  –  vincitore , a buon diritto, della Palma d’oro a Cannes 2008. Girato in un vero liceo parigino del 20 Arrondissment, con autentici  studenti, inseriti in un gruppo di lavoro, adottando il regista, il metodo del laboratorio teatrale(canovaccio e sessioni d’improvvisazione), Entre les murs è un film sul Valore dell’ Insegnare e dell’Apprendere e della relazione che ne deriva fatta di scambio, crescita e ricerca collettiva Vivace come la macchina da presa che si muove entre les murs, con grande disinvoltura ma soprattutto capace di cogliere l’essenza del reale senza retorica, enfasi o sbavature di sorta.Tutto merito del taglio – ne’ fiction ne’ documentario –  che si è scelto . Tratto dall’omonimo libro di Françoise Begaudeau – che nel film recita il ruolo dell’insegnante – diretto da Laurent Cantet – il regista di Ressurces Humaines – un film da vedere pensando a quali effetti possano avere la disattenzione e i dettati gelminiani, in contesti scolastici oramai, sempre più  multietnici.

 

 La classe (Entre le murs) è un film di Laurent Cantet. Con François Bégaudeau, Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja Rachedi, Juliette Demaille, Dalla Doucouré. Genere Drammatico, colore 128 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Mikado

 

Essere Mara

Essere Mara

Carfa

Va da sè che l’imperativo categorico sul far della mutazione, dev’essere stato : scordatevi del calendario, delle chiome fluenti, delle curve pronunciate e dell’effetto bagnato. Quale altro motivo al mondo potrebbe spingere una donna di trentadue anni a combinarsi come sua zia, se non l’esigenza di  rendere inequivocabili, i tratti di un cambiamento a trecentosessanta gradi ? Annullare il proprio passato. Che tema avvincente. Al cinema.  

Siccome però il cambiamento è tutto di facciata, lo spettacolo continua,  solo che al posto della scollatura profonda e della bigiotteria vistosa, oggi c’è di nuovo  che non si esce di casa senza una camicetta, un maglioncino, un foularino  che sottendano, costi quel che costi,   riservatezza e compunzione. Un monumento all’Inappuntabile. Una sorta di total look da personcina seria e perbene. Magari un po’ troppo total,  per essere vero, soprattutto per essere davvero il suo.

Anche da Stefania Prestigiacomo ci si sarebbe potuto aspettare  uno stile ministerial tranquillo, ma in quel caso, forse perchè meno integralista – e decisamente più intelligente e appassionata – qualche smagliatura nel Progetto, chessò un orecchino un po’ troppo colorato e pendente, una ciocca fuori posto, una nota vivace,  denotano umana presenza dietro l’attenzione alla mise.

Qui invece niente : dal caschetto integrale, al broncio, all’occhio sgranato, al colletto irreprensibile, pare tutto dipinto. E tutto rigorosamente in stile, come si dice in questi casi. Il fatto è che Mara Carfagna non deve solo esibire una nuova identità ma deve soprattutto dimostrare di essere preparata e adatta al ruolo che ricopre.

E qui è un po’ più complicato. E siccome dimostrare di essere – qualsiasi cosa –  è una tale fatica da non lasciar libere energie  per altre attività, gli scivoloni si susseguono. Non tanto quando si tratta di declinare i propositi di questo governo in merito ai servizi – l’ultima in ordine di tempo è la disinvolta proposta degli asili nido condominiali  e il cielo sa cosa ci volle per aprirne 18 a norma in luoghi di lavoro, figuariamoci nelle abitazioni – quanto fronteggiare impreviste domande da parte degl’interlocutori.

  Ed è esattamente questo il momento in cui l’aplomb comincia a vacillare. Ne sa qualcosa Ritanna Armeni che sere fa, tentava di piazzare un concetto e che è stata più volte interrotta dalla stizzita ministra, con espressioni del tipo lei dice sciocchezze ! Già. L’abito fa di sicuro il monaco, ma per i miracoli ci vuole il know how.  Oppure quando tratta di difendere il perimetro in cui crede di aver infilato se stessa. Allora no : Allora a domanda (di Mentana ) risponde a campanello e senza gobbo :  Veronica Lario mica alludeva a lei, in quella famosa lettera aperta al consorte. Ma ad altro. 

Pur  di tirarsi fuori d’impaccio, nega l’evidenza e  inguaia ulteriormente lo sponsor, così galante con le signore e così cortese. Oh finalmente la nebbia si dirada, e nella classica riproposizione di un ruolo già noto , si può rinvenire un briciolo di verità. Gratta gratta riemerge la soubrette della commedia all’italiana anni 50  – pur senza la magia dei suoi artefici –   E con Mara non bisogna nemmeno grattare troppo.

Agata !

Agata !

Lo stadio è diventato una metafora delle tensioni sociali e dei conflitti del nostro tempo, in un contesto in cui si sovrappongono suggestioni ideologiche, conflitto di classe, sfogo individuale e senso d’impunità. Un luogo extraterritoriale governato da un forte senso dell’omertà e da una radicata convinzione d’impunità.

Non è il passaggio chiave di un pamphlet sugli ultras ma lo stralcio dell’Ordinanza applicativa di custodia cautelare che ha disposto carcere e arresti domiciliari per una quarantina di persone implicate nei fatti di Pianura del gennaio scorso. Intendiamoci, le considerazioni generali possono riguardare qualsiasi stadio in una qualunque città, connessioni politiche e malavitose incluse. Tuttavia, in questa circostanza, l’aggravante – ma non è solo il piano giudiziario che  interessa – riguarderebbe da una parte, la presunta regia degli episodi di violenza, a cura di esponenti del governo e dell’opposizione nella città, quindi una presenza bipartisan che lungi dal significare trasversalità nella tutela del bene comune, lascia intuire tutto l’opposto e cioè  una  ricerca del consenso e dell’interesse privato così smodata da travalicare ogni uso costumato del proprio ruolo istituzionale,  fino a scatenare la guerriglia pur di perseguire i propri scopi, e,  dall’altra, la bieca strumentalizzazione di legittime istanze di cittadini che in buona fede hanno inteso manifestare il proprio dissenso . Va detto però, che le  varie sigle demenziali, Niss o Teste Matte che fossero, non  furono a Pianura, presenze misteriose e sotterranee,  ma attive sul campo ufficialmente,  cioè con l’intero visibile armamentario di slogan e  striscioni  teorizzanti comportamenti esiziali. Oggi sappiamo, grazie alle indagini,  a chi presumibilmente era affidata la movimentazione delle truppe, ma già da allora , qualcosa non era del tutto chiaro, giacchè diffficilmente  le famiglie in lotta con i ragazzini al seguito, sequestrano i bus per farne falò. Nè ingaggiano scontri con la polizia. Responsabilità della gestione impolitica del movimento di Pianura che come altri  consimili, non è stata in grado di isolare i violenti  e i mestatori. Ma anche di un’opinione pubblica territoriale che tende a  banalizzare qualunque ipotesi di connessione con la criminalità, ovvero a operare costanti rimozioni  circa i possibili intenti edilizio-speculativi, che poi spesso si rivelano essere il vero motore di certi falsi antagonismi.  La discarica, una delle tante spine nel fianco del governo Prodi,  infine non è stata riaperta. Buon per i cittadini di Pianura. Ma a quale prezzo? Beh  forse questo ce lo sapranno dire i cittadini di Chiaiano, tra breve. Vale la pena di leggere le considerazioni che sostengono l’Accusa nell’ordinanza  di cui sopra. Parole avvertite, limpide ma  durissime  come difficilmente capita in simili documenti, realizzano il contesto di cui i reati ascritti sono il naturale esito :

Al consigliere dell’opposizione e all’assessore con delega alla protezione civile –devastazione, per aver sistematicamente incoraggiato, sostenuto e diretto azioni di forza violente, rispondendo a logiche di propaganda e a interessi speculativi contigui alla camorra –

Al resto degli indiziati : Devastazione Scontri di piazza pilotati per acquisire consensi e speculare sugli immobili  nell’ambito di un disegno criminale sostenuto da esponenti dei clan Varriale

 

Agata! Era il grido di battaglia degli ultras di Pianura prima degli assalti. E’ l’unica concessione al folclore del quale ieri erano, come di consueto, stipati gli articoli sulle gazzette, che credo, lecita. Agata ! Non vuol dire nulla, o meglio nessuno sa cosa voglia dire. Ha, secondo me, una strana asonanza col grido  dei musulmani che dedicano il colpo di mortaio, la decapitazione, l’autoesplosione al loro padreterno –  Allah Ackbar – loro, lo pronunciano contraendo le vocali, ma sono congetture probabilmente  suggeritemi da qualche vaga analogia con le circostanze in cui viene urlato. Appena prima dell’azione. Nell’insensatezza di tutto, questo grido surreale sancisce la misura di una situazione altrettanto surreale : Chi in una sorta di war game, chi nell’esercizio plateale di un potere ( sono davvero tutti uguali i toni  nelle intercettazioni) che rispetto al vero potere di chi muove i fili è ridicolmente insignificante, mentre lo scarto che c’è tra quei toni da feldmaresciallo e l’effettivo danno prodotto alla collettività, è pura tragedia. Chi incarna contestualmente il ruolo di capo del governo e quello di capo della banda. E in questa discrasia oltre che la propria schizofrenica doppiezza, realizza l’ incapacità di adeguarsi ad un solo ruolo : o quello di chi governa (e rischia) o quello chi si oppone (e rischia). Chi in buona fede, costoro ha eletto e si è impegnato in una battaglia per la vivibilità e la salute e che non merita di essere, come la metti, la metti, turlupinato. Chi ci ha rimesso la faccia, la credibilità e il consenso onestamente acquisito. E infine chi davvero vorrebbe raccontare un’altra storia. Agata!