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Anno: 2008

Change we need

Change we need


Certo la questione  razziale, il tema più menzionato insieme alle complicazioni della macchina elettorale, in quest’ultimo tratto che separa  Barack Obama dal risultato definitivo, esiste. Tuttavia le previsioni hanno rivelato esserci negli Stati Uniti, non solo un gran numero di americani bianchi pronti a sostenere un uomo di colore a guida della Casa Bianca,  ma che la maggior parte degli americani di origine latina o asiatica voterà per lui – per non parlare dei cittadini che appartengono oramai almeno a due razze –  scongiurando così il rischio di un’ulteriore dinamica legata al colore della pelle.

La politica dell’identità razziale nata negli anni novanta sullo stigma del politicamente corretto, cioè di quella oscenità autoassolutoria che nelle sue forme degenerative autorizzava chiunque ad evitare di fare i conti con i propri istinti peggiori,  ha le ore contate. E con essa muoiono anche le istanze neocon, le guerre sante, e la paura delle invasioni barbariche. Ne resteranno retaggi, cascami,  ma non condizioneranno più le scelte politiche.

Nemmeno nell’ipotesi disperata che vincesse McCain, si prefigurerebbe un ritorno al passato. Poichè sulla presa di distanza di  quel passato lo stesso candidato repubblicano ha impostato la propria campagna: Io non sono Bush.

Il declino del movimento conservatore americano è iscritto nei mutamenti demografici e razziali, nel fallimento di un intero sistema di regolazione economica e sociale. Un combinato di disparati conservatorismi animati da principi quali l’anticomunismo, i forti investimenti militari, la diffidenza nei confronti dello Stato, la reazione ai movimenti di liberazione degli anni sessanta e più di recente la paura del terrorismo, crolla sotto i colpi del fallimento in Iraq o del meltdown di Wall Street ovvero nel fatto che nonostante la nomina alla Corte Suprema dei conservatori Alito e Roberts non si sia riusciti a riconsiderare la storica sentenza Roe vs Wade e l’intera legislazione sull’aborto che ne scaturì. Tutto questo mentre le Corti dei singoli stati  dal Massachussetts al Connecticut alla California, continuano a regolarizzare i matrimoni gay, oramai dato di fatto acquisito in vaste zone del paese.

Tramonta l’epoca inaugurata da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher, i blue collar sottratti vent’anni fa ai democratici dal mix spavaldo ed irridente di ottimismo capitalistico e senso di rivalsa culturale nei confronti delle elite liberal, sono sempre più poveri e delusi. Politiche modellate per arricchire i privilegiati non possono essere destinate ai vari Joe the Plumber.

I conservatori non sembrano più in grado di riflettere il paese che cambia.

Di qui ai prossimi giorni sapremo quali siano stati gli elementi deteminanti di una scelta ma comunque vadano le cose, la defezione di Colin Powell resterà per sempre l’emblema di un particolare tipo di cambiamento. Non un semplice endorse. Ognuno lo ricorda all’ONU, agitare la fiala di veleno nucleare – Questa in mano a Saddam può distruggere il mondo in poco tempo. Questa è la ragione per cui l’America interviene

4187 americani morti in Iraq e un numero imprecisato di soldati offesi a vita, nella mente e nel corpo, per una menzogna. Un’ entità numerica mai calcolata ma esorbitante, di vittime civili. E per sovrapprezzo,  lo scempio di Abu Graib. Questo è il seguito della storia, questo il motivo per cui Powell si è pubblicamente  vergognato di essersi prestato all’inganno.

Non lo appoggio perchè abbiamo lo stesso colore della pelle so che è cristiano ma anche se fosse musulmano non farebbe alcuna differenza, perchè ricordo un soldato che partì diciottenne per l’Iraq ed è sepolto ad Arlington e sulla sua lapide c’è la mezzaluna. Lo voto perchè è giovane e ha l’intelligenza e la curiosità necessarie per cambiare questo Paese e per non isolarlo dal mondo.

E’ stato da quel momento che Obama non ha più smesso di salire nei sondaggi. Se Obama vince, un sistema politico e culturale che ha portato gli Stati Uniti sull’orlo del tracollo, sarà definitivamente sconfitto.

Varrà anche per noi che a distanze siderali non potremo fare a meno di considerare quanto degli elementi fondanti della cultura e della politica della nostra Destra si ispirano al modello Reagan, Thatcher , Bush. E trarne le dovute conseguenze.

La spinta propulsiva del (trascorso) ottobre

La spinta propulsiva del (trascorso) ottobre

maggio p 457

Ogni generazione dovrebbe aver diritto alla propria rivoluzione culturale. Ma di qui ad ammazzare ogni volta il Padre, diciamo che ce ne passa. Come dire che un lavorio così minuzioso, ed estenuante come quello di mettere in seria discussione ogni manifestazione del Potere, potrebbe essere compiuto ad ogni levata di slogan o scazzottata con immancabile squadraccia – qui squadretta, anche se egualmente proterva. E armata. Loro sì che non cambiano mai –

 Vale la pena di ribadirlo, a causa dei reiterati paragoni con i movimenti dei tempi andati, in verità sfinenti, come il parallelo aritmeticamente stravagante dei carabinieri con i bidelli o la presunta connessione baroni – studenti. Roba da propaganda Fide, tanto per riempire i talk show della sera e per spostare l’attenzione dalla politica concretezza delle questioni che questo Movimento, autonominatosi Onda, pone, per trasferirla su argomenti forse  più coloriti, ma di nessun interesse.

 Piacerebbe a questo governo una seppur piccola degenerazione, altri scontri e nuove violenze. Ma la voragine tra chi vede al centro del proprio futuro il Lavoro e chi quello stesso tipo di futuro ideologicamente rifiutava, pensando ad altra società, importa atteggiamenti, non solo strategici, differenti.

Qui non si assalta il cielo. Si circonda il palazzo della Pubblica Istruzione nella speranza di un confronto politico che sortisca il risultato. Il che non  minimizza affatto la spinta propulsiva dell’Onda ma al contrario ne garantisce la forza, il consenso, e, si spera, la longevità.

In tal senso questi giovani pur gelosi –  e a buon diritto – della propria autonomia, hanno capito non solo di aver bisogno di alleanze ma anche quanto ricca di  insidie sia questa stessa pratica. Lo hanno saputo, a loro spese, gli studenti di un municipio di Roma che il giorno antecedente gli scontri di piazza Navona,  hanno inteso manifestare con gli studenti di destra, dai quali poi  hanno saputo  prendere le distanze,   diversificando i cortei. Ancor di più ne sono consapevoli gli universitari, per quanto concerne  il rischio di battaglia conservatrice che la protesta potrebbe assumere,  se rimanesse tale, cioè senza l’elaborazione di proposte in alternativa.

A noi non resta, invece che rimembrare un passato che più passato non si potrebbe,  trarne le lezioni del caso : un governo che  grazie ad un netto consenso è poco incline a lasciare spazio al controllo democratico, rende, a tratti, inefficace, la sola pratica riformista d’Opposizione. La democrazia ne risulta così, azzoppata. 

Salvo che nel Paese non si muova altro tipo di Opposizione in grado di riattivare l’intero meccanismo.Tutto ciò, in democrazia, corrisponde all’interesse dello stesso Paese. Niente di utopico o di rivoluzionario. Soprattutto niente di criminalizzabile. Anzi.


Tutto in un decreto

Tutto in un decreto

A questo punto, il  decreto divenuto legge, non ha più misteri. In una settimana e più  dibattiti, iniziative e cortei, avevano già fornito  elementi sufficienti. Definitivi sono stati poi, gli argomenti del Ministro e le dichiarazioni di voto che si sono alternate in Senato, con le quali si conferma  che il provvedimento realizza  economia uguaglianza e qualità, elimina gli sprechi ma anche ataviche ingiustizie  e connaturate storture, aumenta, salari, tempo scuola e ristruttura, ponendoli a norma, edifici.

 Otto miliardi (in decremento) e otto articoli di un decreto attuativo della Finanziaria. Voilà. L’ignominia di essere pari merito o giù di lì, con la scuola cilena – smorfie di disgusto quando la si nomina – nelle graduatorie internazionali, sarà cancellata. Attraverso quali strategie, non è scritto nella legge e quanto invece viene detto da parte di esponenti del governo, rigorosamente in sedi non istituzionali, non scioglie nodi logici e, in qualche caso, sin aritmetici. Forse era questa una materia da far transitare in Commissione più che nei talk show, in Parlamento più che a Uno mattina. Invece nemmeno il sindacato ha avuto modo d’interloquire. Se ne deduce che l’esigenza di recuperare risorse, di fare cassa,  ha prevalso su ogni altra considerazione. A Tremonti servivano otto miliardi per far quadrare i conti, ecco tutto. Decreto l’estate scorsa, decreto oggi. Opposizione e parti sociali non potevano limitare la propria contrarietà alla sede televisiva.

Per questo se la piazza, ancorchè educatissima e paziente, rispetto a quelle sin qui conosciute, ha alzato la voce, non c’è di che stupirsi, ne’ di stracciarsi le vesti indignati per presunte strumentalizzazioni, connessioni con il cotè accademico più retrivo e altre ricattatorie pretese. Ne’, se miracolosamente, rispetto al disastro e ai posti di lavoro a rischio, si materializza di nuovo, l’unità sindacale. 

E se il PD offre sponda politica a chi pur geloso della propria autonomia, porta avanti una battaglia per i Diritti, non fa che fare il suo mestiere di forza di opposizione parlamentare. Tutto è molto più semplice di quanto non ci venga, romanzescamente, raccontato.

Dunque anche questo decreto sulla scuola è un nuovo efficace compendio di come stanno messe le cose : un consenso elettorale utilizzato come presa del potere, idiosincrasia per il controllo democratico e le voci di dissenso, la massima espressione  della politica spot in cui da provvedimenti scarni si vogliono far discendere panacee che manco rivoluzioni copernicane potrebbero produrre. Un uso dei mezzi d’informazione per ripetere fino all’ossessione – i politici ed alcuni commentatori oramai usano la stessa scaletta e pure gli stessi linguaggi – che tutto quello che questo governo fa  è straordinariamente nuovo  rivoluzionario e moderno e chi non è d’accordo è con i baroni e con gli sprechi

Che sfinimento. Serve chiudere il corso universitario sul cane e sul gatto? E che lo chiudano. Serve mandare a casa il barone la baronessa  e i di loro congiunti? E che li caccino. Servono regole più appropriate per il reclutamento dei docenti? E che le scrivano. Ma non vengano a raccontare che con quel decreto o con la legge 133 tutto ciò accadrebbe in automatico perchè NON E’ VERO.

L’esangue spettatore

L’esangue spettatore

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Finalmente si è potuta evadere anche la pratica  Sangue dei vinti, il film – quantunque adeguatamente  finanziato e di futura programmazione RAI – più perseguitato della storia. Appurando così, l’esausto  spettatore che non già per le incredibili anticonformistiche rivelazioni sulla resistenza o per il punto di vista repubblichino, il lavoro non convinse selezionatori e direzioni artistiche, ma perchè se un ‘opera è fatta per essere mostrata a puntate in televisione, ha ritmi, linguaggi, stili che al cinema mal si adattano. E questo accade  qualunque  sia il governo del Paese, della Città, della Mostra o del Festival. Nemmeno un’intellighenzia meno persecutoria, ideologizzante e (filo)partigiana, potrebbe modificare queste elementari regole ortografiche. Dunque, quando Il sangue dei vinti sarà in televisione, con i suoi cinquanta minuti e passa in più rispetto alla versione per le sale, sarà forse possibile che gli aspetti didascalici, melensi, gli schematismi, i simbolismi, le sbavature, sembrino meno accentuati (e stridenti). Bello il Dibbbattito, ma che si tratti di film o di governativi decreti, sarebbe bene non perdere mai di vista il merito, il contendere, invece di  cercare preventivo rifugio in argomentazioni pretestuose che allontanano, piuttosto che incaricarsene, dalla qualità di un film o dalla efficacia di un provvedimento. Quand’è così viene sempre il dubbio che dietro alla cortina fumogena ci sia ben  poco. E difficilmente ci si sbaglia.

History repeat itself …

History repeat itself …

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Film dal languente Festival di Roma – dove gli unici sussulti sono dati dalle visite dei contestatori – offerto  in patinata confezione, come  da budget milionario,  e con  interpreti tra i più applauditi, in Germania e non solo –  Martine Gedek e Bruno Ganz, tanto per dire  – Sceneggiatori, Bernd Eichinger e lo stesso regista Uli Edel, tedesco ma residente a Los Angeles, autore di Christiane F e Last exit in Brooklyn , nonchè di miniserie televisive di successo. Falsariga, quella di un libro Der Baader Meinhof Komplex  di Stefan Austen, collaboratore, insieme alla stessa Ulriche Meinhoff della rivista politica  Konkret, storico e giornalista di Der Spiegel,  testo molto celebrato per precisione ed attendibilità.

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Il proposito  è quello di raccontare la vicenda della Rote Armee Fraktion, la formazione guidata da Andreas Baader e Ulriche Meinhof, attraverso il decennio che va dal 1967 al 1977.  Cioè dalla nascita del movimento studentesco, fino al rapimento e all’esecuzione di Hans Martin Schleyer. 

 Preoccupazione dichiarata degli sceneggiatori, quella  di rendere comprensibile il film a tutti, evitando nel contempo  possibili coinvolgimenti emotivi e pericolosi transfert. Di qui una curiosa e funambolica operazione di rimaneggiamento, da una parte la modifica dei linguaggi per adattarli a quelli dei giorni nostri, dall’altra, la scoloritura dei personaggi, dei quali s’ignora la psicologia, preferendo concentrarsi su versanti e atteggiamenti di assoluta marginalità.

La Baader Meinhoff così  ridotta diventa poco più  di una banda di ingenui, farneticanti sognatori, cool e spaventosi ad un tempo, passati dai movimenti antimperialisti tedeschi alla lotta armata, non si capisce bene attraverso quali considerazioni. Percorso classico nella rappresentazione del tempo in cui le  battaglie, secondo lo stereotipo narrativo, nascevano sacrosante e votate alla costruzione di una società migliore,  per poi degenerare attraverso il ricorso alla violenza, in catene di orrendi delitti, quasi fosse fisiologica ed ineluttabile quell’evoluzione.

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Quando invece è risultato chiaro, che scelte radicali, consapevolmente responsabili  di atrocità,  non possono non maturare in  contesti che la pura enunciazione dei fatti non è sufficiente a definire. E sono proprio questi contesti che, nonostante la puntualità del susseguirsi cronologico degli avvenimenti, mancano al racconto. Vuoi perchè sfigurati per renderli accessibili, vuoi per evidente omissione, nella dichiarata pretesa di rincorrere un’ impossibile obiettività.

Dunque la  premessa degli autori di aver voluto realizzare un’opera dei fatti e non delle opinioni, rivela un fondo di ambiguità. Più onesto sarebbe stato enunciare una propria esplicita visione delle cose, esponendola così alle critiche, alla discussione, ovvero lasciare che interrogativi si ponessero : su come si dipanarono i rapporti con Fatah, sulla morte per presunto suicidio di Baader e Ensslin nel carcere di Stammheim, su quella di Holger Meins, e della stessa  Ulriche Meinhoff.

Domande pertinenti, che però  condurrebbero dirette all’analisi della società tedesca di quel tempo, ma appurando, ovvero smentendo, fatti quali  la durissima  repressione, la permanenza negli apparati statali di uomini del’ex regime di Hitler e le nemmeno troppo presunte, infiltrazioni  neo naziste in RAF, finanziatrici peraltro di addestramenti militari in Giordania nei campi dei feddayn. Tanto più che il film mostra Ulriche Meinhof in quei campi e  che tali personaggi sono ancora vivi e vegeti e qualcuno finanche figura tra gli esponenti di spicco del partito neonazista svizzero.

Gli autori hanno preferito sfornare un prodotto di sicuro successo, in cui non mancano sensazioni forti date da scene ad alto tasso adrenalinico di scontri e  sparatorie, con qualche ricostruzione di fatti, come l’attentato a Rudi Dutschke e l’uccisione dello studente  Benno Ohnesorg durante le cariche avvenute in occasione della visita dello scià Reza Pahlevi a Berlino.

Ma se ci  si allontana  dal porsi questioni,  buoni, cattivi, inseguiti e inseguitori vittime e carnefici – tutto diventa chiaro ! – sono immediatamente riconoscibili . Solo così alla fine il Bene può trionfare. Epurata da ogni elemento controverso e priva di dramma, l’operazione può risultare più pericolosa di un’ insensata apologia del terrorismo. Siamo solo a qualche passo dalla fiction, un prodotto  fruibile comodamente da casa, chiacchierando con gli amici. Non a caso in Germania la RAF, mitizzata e resa paradossalmente inoffensiva, dalle troppe rimozioni, è tornata in  auge, ispira linee di moda e cosmetici per giovani rivoluzionari , perchè come avverte in esergo il sito più “cool" 

 

 

History repeat itself  first a tragedy then as fashion

 

La banda Baader Meinhof è un film di Uli Edel. Con Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek, Nadja Uhl, Jan Josef Liefers, Stipe Erceg, Hannah Herzsprung, Heino Ferch. Genere Drammatico, colore 149 minuti. – Produzione Germania 2008. – Distribuzione Bim