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Mese: Ottobre 2008

Libero di scegliere

Libero di scegliere

Saviano9301

D’istinto,  ognuno  vorrebbe che Roberto Saviano  restasse dov’è, cioè qui, nel suo Paese. Cedere alla prepotenza e al ricatto, ci sembra oggi  un fatto  davvero insopportabile. Esortazioni e appelli anche autorevoli si susseguiranno. E va benissimo : la solidarietà allevia il senso di solitudine e un poco rassicura.  Ma poi c’è quell’esclamazione letta su Repubblica  – ho ventotto anni ! – che ci obbliga ad altri pensieri. Uno su tutti :  difficilmente la considerazione dell’età gioca un qualsiasi ruolo, quando si parla del’autore di Gomorra. Bene ha fatto a rammentarcelo con forza, lui stesso. Lo scorso anno, un Saviano insolitamente vivace ed entusuasta, condusse sul terzo canale della radio, un ciclo di trasmissioni sul rap. Era piacevole stare a sentire le sue storie, ma soprattutto erano il piglio, la disinvoltura, la passione con la quale si veniva trascinati nell’esplorazione  di un mondo per molti semi sconosciuto, a fare la differenza  . Ecco, Saviano è poco più di un ragazzo – quella trasmissione rivelava in pieno la natura e l’età del suo conduttore – Differentemente da quel che si è potuto vedere a Cannes, luogo in cui tutti sgomitano e si divertono a guadagnare la vetrina, mentre lui si è concesso pochissime apparizioni e un soggiorno piuttosto defilato dalla mischia.  Motivo in più dunque per aver diritto a decidere della sua vita. Particolarmente se si pensa a quanto sia difficile per uno scrittore civile, sopravvivere in questo paese. A Saviano dobbiamo una visione assai centrata del fenomeno malavitoso e se oggi il fatto di essere la camorra "sistema" e non fenomeno locale, problema nazionale e non solo campano, problema culturale e non solo di gestione dell’ordine pubblico, è entrato a far parte del senso comune, sin oltre confine, è merito di  quello che è scritto in Gomorra. Lo si deve cioè, al talento del suo autore, alla sua capacità di penetrare la realtà  ma soprattutto al suo coraggio. La malavita con i suoi infiniti corollari,  è un tema succulento per uno scrittore. Come resistere alla tentazione di far letteratura con il fascino del male, denunzia con il folclore, pubblicità a se stessi speculando sul dramma ? Non è un caso che proprio i criminali , attraverso minacce,  abbiano tentato, in passato, di dettare le regole del racconto ( quello si, quello no). E non è un caso che i  comportamenti propri della malavita, spesso siano ispirati  a modelli  cinematografici o romanzeschi. Un universo che ne alimenta un altro. Operazioni letterarie di grande ambiguità ne derivano   spesso. Saviano nonostante la sua giovane età, si è mantenuto assai distante dal ruolo classico dello scrittore di noir e da quelle stesse ambiguità, ben comprendendo che se fosse stato più accattivante anche solo nel linguaggio, avrebbe vanificato il senso del suo lavoro. Un segno ulteriore di maturità  che però lo rende ancor di più esposto . E a nulla varrebbe moltiplicare le misure di sicurezza intorno a lui. Il punto è soprattutto, quanto costa in termini di autodeterminazione  – sin per eventi infinitesimali –  una vita sotto scorta.  Per questo deve essere lasciato libero di scegliere la strada che crede. E quelli che apprezzano il suo impegno, dovrebbero sostenere ogni sua decisione. Di tutto abbiamo bisogno, meno che di nuovi martiri.

 

Bentornati ( c’è un altro paese)

Bentornati ( c’è un altro paese)

Vediamo se con ciò, la facciamo finita con la retorica della maestrina (unica) che negli anni cinquanta teneva classi di 40 ragazzini ingrembiulati e –  usa a obbedir tacendo – sorrideva, tutta abnegazione e spirito di servizio. Con l’occasione vediamo anche chi sono e cosa pensano, tutti coloro i quali, intervistati dai sondaggisti,  hanno risposto che a loro la Gelmini non piace affatto. Checchè se ne dica , sembra esistere un altro Paese che chiede la parola e che magari andrebbe ascoltato. I tagli non sono risparmio, sfigurano gli assetti. Producono nella scuola elementare 24 ore di didattica alla settimana contro le 40 attuali, realizzano classi di 31 alunni per i quali, se va bene, dopo le 12,30 c’è  il doposcuola. Non la didattica strutturata come è adesso, ma il parcheggio. Se va male, tutti a casa. A godersi, dopo il rapporto con la maestra unica, quello  esclusivo con mammà che ovviamente non lavora e non aspetta altro che una dimunuzione del tempo scuola.  Fanno bene le famiglie a protestare. Il maggior costo di questa geniale trovata, sarà sulle loro spalle. E fanno bene anche gli universitari, per i quali si prevedono aumenti delle tasse, senza parlare del rischio di privatizzare, quanto invece dovrebbe rimanere pubblico e accessibile a tutti. E se tutto questo parapiglia dovesse servire anche solo a rimettere in discussione ciò che si vorrebbe far passare con la prepotenza e per decreto, sarebbe già un risultato strabiliante, un innesto di democrazia nella paludaccia dell’ imbarazzante consenso. Bentornati davvero.

Dentro lo scafandro

Dentro lo scafandro

 

 

 

 

 

Ho raccontato una storia vera. Il giornalismo non ha fatto il suo dovere sull’Iraq. 4.000 morti e solo quattro immagini di tombe: è il dato del New York Times. E’ la domanda di verità è sempre più forte in America. Io volevo che la gente si mettesse nei panni dei soldati al fronte. Che provasse quello che provano loro. Psicosi e dipendenze comprese.

Kathryine Bigelow

 

 

 

 

In esergo  una citazione da Chris Hedges – già inviato di guerra embedded del New York Times, premio Pulitzer e docente a Princeton –  La furia della battaglia provoca dipendenza totale, perchè la guerra è una droga. Dunque, sulla scorta di questa illuminante considerazione, Katharine Bigelow,  del conflitto iracheno ci racconta il punto di vista dei soldati americani, sfatando più di un luogo comune sui volontari, mostrando senza cinismo, persone disilluse per le quali l’esibizione del coraggio e  l’adrenalina da guerra  possono provocare dipendenza. E sono talmente atroci insostenibili e ansiogene le sequenze, che lo spettatore  si ritrova, non di rado, costretto nello scafandro del protagonista, uno specialista che disinnesca ordigni esplosivi disseminati un po’ dovunque – come lo sono gli agguati del resto –  ma soprattutto confezionati con inimmaginabile sadica fantasia . Rinunziare allo stile tradizionale del film di denuncia  o di controinformazione pacifista, significa dunque  mostrare direttamente i fatti, le operazioni, nell’analisi condotta con uno stile lucido ed estremamente diretto, di una delle più controverse ed inutili guerre al mondo. Contro e fuori campo, nascosto nell’ombra, un popolo tradizionalmente  pronto a tutto pur di resistere. La conclusione ripetuta da Bigelow,  in tutte le interviste rilasciate è che da un simile luogo, è bene andar via prima possibile. C’è un solo uomo che può riportare i soldati a casa. Non posso immaginare un ex soldato alla Casa Bianca.

The hurt locker è la cassetta che contiene gli effetti personali dei soldati morti in guerra.

 The Hurt Locker è un film di Kathryn Bigelow. Con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Guy Pearce, Ralph Fiennes, Brian Geraghty, David Morse, Christian Camargo, Evangeline Lilly. Genere Drammatico, colore 131 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Videa – CDE –

The charging bull

The charging bull

Di qui a qualche ora si saprà se lo scudo predisposto dal G7 e dal vertice Europeo sarà in grado o meno di restituire fiducia ai mercati. Il piano  proposto ricalca quello di Paulson negli USA : lo Stato acquista una partecipazione azionaria nelle banche mobilitando risorse per la ricapitalizzazione, senza per questo pretendere un proporzionale diritto di voto. Non si tratta quindi di una partecipazione azionaria di controllo ma di un semplice impiego di risorse pubbliche per scopi privati. Saranno con ciò garantiti i depositi dei cittadini, scongiurando così il rischio di corsa agli sportelli per ritirare i risparmi. Si promette inoltre, anche se in modo velato, di estendere le garanzie all’intero sistema dello scambio interbancario, la cui paralisi il credit crunch, costituisce l’epicentro della crisi in atto. Infine saranno messe in atto azioni in grado di far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, proprio quello che ha provocato l’attuale terremoto per l’impossibilità di distinguere i titoli cattivi da quelli buoni. Il valore nazionale dei prodotti finanziari derivati è stato fissato dalla Banca dei regolamenti di Basilea, a febbraio scorso in 600.000 miliardi di dollari. Undici volte il Pil mondiale. Una cifra spropositata, impossibile. Nemmeno gli stati più ricchi  possono contare su risorse di queste dimensioni. Pertanto la fiducia che si  spera esprimano i mercati reali tra poco, più che sull’effettiva consistenza dei capitali da mettere in campo, si può basare solo sulla credibilità dei governi. Se invece prevarrà la considerazione dello scarto che c’è  tra quanto viene promesso e quanto realisticamente si può fare, la catastrofe sarà inevitabile. Si tratta di aspettare.

Nell’illustrazione  The charging bull la statua del toro che presidia Wall Street, simbolo, oggi più che mai tronfio e ridicolo,  of aggressive financial optimism and prosperity.Come entusiasticamente avvertono le Guide della città.

Jungle red !! (Mary Sylvia Crystal e le altre)

Jungle red !! (Mary Sylvia Crystal e le altre)

A Mary Haines non sarebbe mai passato per la testa di reagire alle corna spazzolando un panetto di burro intriso nella cioccolata, nè di recarsi in una spa per riconquistare Stefano, il fedifrago – nonchè facoltoso banchiere in Wall Street –  consorte, irretito da Crystel Hallen, la commessa di un reparto di profumeria dove le essenze si chiamano Summer rain e i flaconi hanno il  tappo sormontato da un ombrellino di cristallo. Mary del resto è perfetta così com’è : elegante, intelligente, bella, ironica: ma soprattutto orgogliosa, così almeno le sceneggiatrici Anita Loos e Jane Martin e Clare Booth Luce, autrice della commedia Women da cui è tratto il film omonimo, definiscono l’esigenza di lealtà, chiarezza e fedeltà al patto coniugale che sosterrà Mary nel proposito di non recedere da una posizione intransigente. E questo nonostante le sue amiche e sua madre,  l’irresistibile Mrs. Moorehead, le spieghino in tutte le lingue  come in simili frangenti forse sarebbe più saggio chiudere un occhio …così fan tutti ,  i mariti, s’intende.  E’ il 1939 quando George Cukor dirige questo incantevole film  in cui fa recitare 130 attrici, perché di mariti o amanti, si parla praticamente per  tutto il tempo ma di ruoli maschili non ce n’è  manco l’ombra. Gli uomini in questo film, sono invisibili fantasmi che vivono esclusivamente nel racconto  delle donne. Escamotage geniale, che obbliga sceneggiatrici e regista a soluzioni narrative imprevedibili: saranno cuoca e cameriera di casa Haines  a raccontarci, in un passaggio esilarante, la lite che preluderà al divorzio, mentre alle manicure, alle sarte, alle commesse alle mannequinnes sarà demandato il compito di tessere una trama non priva di considerazioni avveniristiche sul rapporto tra i generi . Altro che gli uomini che mascalzoni, Betty Friedan è già sbarcata tra di noi e ha cominciato il suo lento ma necessario lavoro di decostruzione. Così quando Mary Haines risponderà alla madre che i tempi sono cambiati da quando le donne erano gattine sottomesse – Ora è ora! Stefano ed io siamo uguali – il racconto prenderà immediatamente la piega della riscossa, dolorosa – quindi niente impennacchiamenti o restyling per riconquistarlo – ma inesorabile. Un film perfetto, per dialoghi, interpreti e superbe ambientazioni. La sfilata di mode che dura cinque minuti, unico momento in cui il film da bianco e nero diventa a colori, è una vera e propria sontuosa coreografia con tanto di gabbie con animali,  orchestra e scenografie da musical di Broadway. Ovvero Sydney, l’istituto di bellezza in Park Avenue – che sembra un tempio pagano tra  archi, scalinate e salette per i sacrifici umani – centro di raccolta di pettegolezzi la cui diffusione è poi  affidata alle loquaci manicure insieme all’applicazione del famoso Nail Polish Jungle red, rosso giungla, il tormentone, simbolo dell’aggressività femminile che viene ripetuto durante tutta la durata del film.


Difficile dunque riprodurre le atmosfere e la magia  di Women, un film che si è avvalso oltre che del tocco inequivocabilmente esperto in materia di ruoli femminili,  di George Cukor, di un cast di eccezionali attrici :  Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russel, Joan Fontaine, Paulette Goddard e di una serie di generiche di Hollywood alle quali sono affidate parti  minori, ma egualmente dotate di professionalità e talento. Una tra tutte Marjorie Main, la proprietaria della pensione di Reno che spiega alle annoiate divorziande della upper class newyorkese, cosa significhi davvero un marito violento   . Nonostante la difficoltà dell’impresa, quest’anno Diane English ha provato a riproporre Women in un remake piuttosto fedele all’originale  per storia e ambientazioni e che peraltro mantiene anche il dato del cast tutto femminile. Ne è uscito un film, a suo modo,  divertente. Tuttavia dal 1939 ad oggi i cambiamenti sono stati tali che l’inossidabile trama ne è risultata giocoforza, influenzata. E questo non solo perchè, di questi tempi, un magnate di Wall Street e una commessa tutta strategia e sogni di rivalsa, non hanno più lo stesso appeal di una volta,  ne’ Mary Haines  ha più bisogno di proclamare la parità dei diritti, essendo arrivata più o meno dove voleva . Ma sono i connotati di quel suo pianeta fatto di relazioni femminili controverse ma infine solidali,  di regole ( da infrangere) , di passioni e di progetti ( da perseguire con tenacia ) ad essere profondamente mutati. Per raggiungere la meta, Mary ha dovuto lasciare il ghetto frivolo e profumato, per confrontarsi con gli uomini. Senza rimpianti beninteso – una galera è una galera anche se ha le pareti rivestite di seta e profuma di Summer rain –  ma nel tragitto, qualcosa di indispensabile e prezioso è andato perduto e il film del 2008,  inintenzionalmente,ne rivela la carenza. Si è persa per esempio l’ironia che per l’occasione si è trasformata in battute pesanti ed esplicite. Si è persa la leggerezza, e anche il senso della conquista amorosa è svanito, trasformandosi da gioco affascinante ed ambiguo, in una guerra da combattere a colpi di biancheria intima. Mary Haines moglie orgogliosa (cioè piena di femminile dignità) da Norma Shearer è divenuta Meg Ryan, una mogliettina ricciolona e un po’ melensa, resa fragile dal tradimento coniugale. Entrambe usufruiranno di un happy end, una sola però rimarrà per sempre, la vera Mary Haines.

The Women anno 1939 è un  film di George Cukor. Con Joan Crawford, Norma Shearer, Rosalind Russel, Flora Finch, Mary Boland, Paulette Goddard, Phyllis Povah, Joan Fontaine, Virginia Weidler, Lucile Watson, Marjorie Main, Muriel Hutchison, Virginia Grey, Margaret Dumont, Hedda Hopper, Dot Farley. Genere Commedia, b/n 132 minuti. – Produzione USA 1939.

The Women anno 2008 è un film di Diane English. Con Meg Ryan, Annette Bening, Eva Mendes, Debra Messing, Jada Pinkett Smith, Carrie Fisher, Cloris Leachman, Debi Mazar, Bette Midler, Candice Bergen. Genere Commedia, colore 114 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Bim