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Mese: Novembre 2008

Toh…un film

Toh…un film

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Veramente ce n’è in giro un altro paio,  forse tre, ma diciamo che dopo il Festival di Roma e qualche settimana di quaresimali passati  in sala a sciropparsi inutili visioni, questo Rachel Getting Married, potrebbe rimettere in pista il piacere di andare al cinema. Dunque, qui abbiamo Anne Hataway, già sulla via della disintossicazione da ruoli zuccherosi di aspiranti principesse, aspiranti donne in carriera, aspiranti giornaliste,  subito dopo Havoc di Barbara Kopple, in cui tra parolacce e versi di Jay – Z e Tupac, completava il quadretto della bad girl, dedicandosi anima e corpo  al sesso svelto e al crack. Una grande riabilitazione.

Che prosegue con  Rachel getting married, dove  interpreta il ruolo del corpo estraneo, della pecora nera, il cui momentaneo ritorno in famiglia per il  matrimonio della sorella maggiore, provoca tensioni, alimenta nevrosi e  scombussola equilibri, come si conviene ad una vera problem child  che oltretutto custodisce assieme ai suoi un terribile segreto.

Ma soprattutto abbiamo Jonathan Demme, regista indipendente dalla eclettica traiettoria artistica che per raccontare la festa di nozze di un uomo d’affari di colore con una ragazza bianca della media borghesia agiata e liberal dell’East Coast, convoca sul set  una bella combriccola di amici, compagni e familiari che poi sono il  poeta sino-americano Beau Sia,  attori come Anna Deavere Smith, cineasti del calibro di Roger Corman e Anisa George, musicisti world,  iracheni, greci e palestinesi, solisti alla chitarra (come suo figlio Brooklyn) e amici delle Pantere nere (come il cugino Bobby ). Più una scuola di samba a ravvivare le coreografie.

Aggiungi,  in un simile contesto, una colonna sonora con  i ritmi di Zafer Tawil e altri  sound  – del jazzista Donald Harrison jr., del percussionista arabo d’America Johnny Farraj con il suo ria, del trombettista iracheno e suonatore di santoor Amir Elsaffar, della vocalist siriana Gaida Hinnawi, con la sua personale interpretazione del maqam arabo, del pianista greco Dimitrios Mikelis – e la parata transculturale, pre elezione di Obama ed in suo onore, come da dichiarazioni veneziane, è servita.

Intanto piccoli miracoli compiono, la camera a mano ( spesso digitale) che si lancia nella mischia dei festeggiamenti o irrompe in casa e le riprese in tempo reale. Demme non vuole che il pubblico sia fuori del film . E riesce nell’impresa di non escluderne mai la presenza.

Così mentre il  microcosmo familiare si scompone e si ricompone, tra gare di crudeltà verbale  e boxing match tra consanguinei , è impossibile che l’elemento multirazziale, nemmeno troppo di sottofondo, appaia per quel che è : la vera risorsa contro lo sfascio del Sistema America.

Regole narrative saggiamente scombinate da  Jenny Lumet, figlia di Sidney, sceneggiatrice di talento, ricercata e fantasiosa. Una delle felici scoperte di questo film.

Niente premi a Venezia. Ingiustamente.

 

 

Rachel sta per sposarsi (Rachel getting married ) è un film di Jonathan Demme. Con Anne Hathaway, Rosemarie DeWitt, Mather Zickel, Bill Irwin, Anna Deavere Smith.

Drammatico, durata 114 min. – USA 2008. – Sony Pictures

 

La bella politica

La bella politica

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Non c’è niente di male ad ammettere che il PDL abbia ritirato, dopo aver opposto una breve resistenza, la candidatura Pecorella a giudice della Corte Costituzionale. Anzi non c’è niente da ammettere : è la verità.

Che poi tra Pecorella e Orlando ci siano differenze abissali, è tanto vero quanto ininfluente, soprattutto quando si parla di metodo e non di merito.

Confondere i due piani equivale ad un’ inesplicabile  scalata agli specchi. Alla fine della quale la verità rimane tale e quale,  e cioè  che la PDL ha ritirato una candidatura sulla quale non c’era possibilità di convergenza, mentre PD e IDV hanno insistito oltre ogni ragionevole chance di successo, con la candidatura Orlando.

Poi ci lamentiamo di non riuscire a trovare formule comunicative efficaci.

Men che meno, quando ad Omnibus un  passaggio di bigliettini tra La Torre PD, e Bocchino PDL, intercettato dalla regia e mandato in onda da Striscia la Notizia, rivela uno scenario in cui quelli che dovrebbero essere aspri contraddittori, altro non appaiono se non come un artefatto gioco delle parti, in cui il contendere c’entra pochissimo.

Io non lo posso dire…ma il precedente della Corte ? Pecorella.. sta scritto nel (non più) misterioso foglietto che stamane Antonello Piroso ha mostrato al pubblico e successivamente consegnato al Direttore del Riformista. Per gli usi consentiti, come si dice in questi casi.

Il mistero però, con buona pace di tutti i media che su  quel biglietto ricameranno a piacimento nelle ore a seguire, è  tutto racchiuso in quel io non lo posso dire.

Il senatore La Torre non lo può dire per rispetto all’alleato Italia dei Valori ?

Che non lo dica allora, assumendosi la responsabilità di una posizione francamente insostenibile, ma quantomeno chiara. 

Ovvero  dica apertamente cosa accade. Cioè che Di Pietro, al quale in questi giorni, è stato più volte richiesto di fornire una rosa di nomi in alternativa , si è rifiutato, insistendo su Orlando.

Certo che subito dopo un simile outing, a La Torre toccherebbero risposte a domande imbarazzanti, del tipo ma che alleato è uno che si comporta come Di Pietro?

Ma questa è un’altra storia. Non si può mascherare oltre certi limiti, l’errore di avere scelto alleati inaffidabili. Ma sono conti che si regolano direttamente. Non ci si può attendere che lo faccia l’avversario in vece nostra.

Poi è inevitabile che vada come è andata , cioè nel ridicolo e nella confusione.Con tanti saluti alla Bella Politica e annessi propositi della Prima Ora.

Il presidio della posizione

Il presidio della posizione

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Dice Villari : non mi dimetto perchè sento di rappresentare la soluzione del problema. Il problema sarebbe quello di presiedere la commissione di vigilanza RAI dopo le tortuose vicende legate al fallimento  della candidatura Orlando. Eletto Villari con designazione unilaterale e i voti della sola maggioranza, non è che si siano determinate storture in ambito costituzionale o di regolamento. Ma dato il susseguirsi degli eventi e il particolare contesto, nessuno può cavarsela asserendo che poichè non ci sono state violazioni, la presidenza Villari è regolare e dunque va bene.

Vero è, che dopo le  ripetute bocciature della candidatura Orlando, sarebbe stato utile che l’Italia dei Valori presentasse una rosa di nomi in alternativa, non fosse altro per  evitare che inutili radicalizzazioni esponessero un fianco politicamente – e numericamente –  troppo debole.  Se all’avversario è data la possibilità di selezionare un rappresentante in campo opposto, è scontato che  la scelta cada, non già su colui che meglio incarna il ruolo di garanzia,  ma sul  più malleabile. Sotto questo profilo Villari ha il curriculum ideale : ottimi rapporti con la destra e un percorso di esperto  saltatore da una formazione e l’altra.

Data però l’esigenza di una candidatura differentemente espressa, per lo stesso particolare regime di monopolio di buona parte degli assetti televisivi, si rende  indispensabile una figura sulla quale convergano i consensi. Ovvio che il PD chieda le dimissioni del neoeletto presidente o, in alternativa, che mediti nei suoi confronti,  il provvedimento disciplinare. Scelte maturate al di fuori del partito o del gruppo parlamentare e comunque in disaccordo con gli stessi, non sarebbero tollerate manco in una formazione anarchica. Inutile che si strilli al ritorno dello stile PCUS. Non c’è elettore del PD che io conosca e che in questo momento non si stia chiedendo come si è potuto arrivare a questo ennesimo cul de sac, ma soprattutto se il criterio di affidabilità e di condivisione del progetto, rientrino ancora nei parametri con i quali si scelgono i candidati da inserire nelle liste elettorali. E gli alleati.

Ma per tornare a Villari e al suo stravagante modo d’intendere il concetto di problema e di risoluzione del medesimo, l’elezione a presidente – a suo dire –  conferirebbe alla sua persona  il rilievo politico di uomo cerniera, ruolo indispensabile  nella difficile arte del dialogo tra opposizione e maggioranza.Il che ovviamente rende necessario il presidio della posizione.  Non so davvero, immaginando quale futuro. Certo è curioso un presidente che promuove il dialogo sulla propria successione, senza manifestare la benchè minima intenzione di dimettersi.

Ma probabilmente la chiave di tutto sta proprio in quel presidio della posizione, buttato lì da Villari, con disinvolta spensieratezza. E nel rifiuto di Di Pietro di adire al compromesso : una nuova candidatura o la rinunzia ad avere un presidente dell’Italia dei Valori. In entrambi i casi, mi sembra,  ci si allontani dal problema politico, ovvero dalla tutela dell’interesse comune, per far luogo al vero motivo della disputa : un problema di poltrone e dunque, cosidetto di casta. Spero che Veltroni, in evidente difficoltà, si cavi d’impaccio, decidendo in entrambe le circostanze, quello che molti si attendono. Un bel calcio nel sedere agli amanti del presidio. Rilanciato da tutti i notiziari della sera. E in perpetuo su You tube.

Requiescat

Requiescat

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Il prontuario dell’esponente cattolico di maggioranza, non contempla risposte di merito. Nelle apparizioni televisive, nelle dichiarazioni, nessuno si prende la briga di approfondire, dimostrare o misurare. Ogni argomento, marchiato dalla ripetitività ossessiva di espressioni pronunziate in spregio al verosimile, all’etica, al decoro, mira semplicemente a circoscrivere la libertà della persona entro limiti  che ne impedirebbero il diritto a tutelare la propria salute e a condurre un’esistenza dignitosa.

 Rispetto a questo, non c’è chiacchiericcio sulla natura dell’alimentazione forzata o sull’accertamento della volontà di Eluana, che tenga. Men che meno speciosi paralleli con l’eutanasia potrebbero mettere in discussione quanto era già scritto nel nostro Ordinamento e che  la sentenza della Cassazione, sulla scorta di corpose relazioni scientifiche e di una puntuale esegesi giurisprudenziale, ha sancito, soprattutto nella parte in cui si esclude che in simili scelte definite personalissime , sussista  il coinvolgimento di  un interesse pubblico. Una legge sul testamento biologico sarebbe auspicabile solo entro il perimetro costituzionale disegnato dalla sentenza.

Ma non è aria. E mentre da alcune parti si negano le strutture sanitaria, da altre si mette in scena la farsa del cavillo fraudolento che lascia poco sperare nella futura sobrietà della disputa. Storpiato, come oramai è d’uso, il contraddittorio, devastato il lavoro dei tribunali, la solita ibridazione che non serve a nulla e che anzi,  in alcuni casi complica e aggrava i problemi, sarebbe  dietro l’angolo. Meglio niente. Magari il silenzio, se ne siamo capaci.

Aspettando

Aspettando

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Ogni volta che gli viene rivolta  l’abusata  domanda – cosa prova? – Beppino Englaro risponde parlando di Eluana, o al più di una condizione genitoriale, sempre espressa però , in termini di disagio esistenziale, mai emotivo.

Beppino avrebbe potuto servire il suo dolore sui piatti d’argento dei talk show della sera, magari autoassolvendosi  con  quella  visibilità che sembra oramai indispensabile  al successo  di ogni causa. Invece ha scelto di tenere un contegno differente, per  consentire più spazio al tema civile e dei diritti, piuttosto che a quello dell’ambito  privato.

Ha resistito con dignità alla violenza che procedure complicate infliggono a chi, ha visto uno spiraglio nella Giustizia. E predisponendosi ad un’attesa che quando non è vana, prelude ad altre attese ed altre ancora  genera, ha imparato a sue spese a vivere in una dimensione che noi possiamo solo immaginare.

Tutta la scienza e la coscienza del mondo dovrebbero soccorrere  il suo essere padre e cittadino. Comprese quelle sedi istituzionali,  le stesse che invece di tutelarne i diritti, hanno consegnato lui e sua moglie al superamento di altri ostacoli e ad altre attese.

E da ultimo la tempestiva intromissione del Pontificio Consiglio per la salute che con espressioni pesanti ed irrispettose, ha espresso anticipata condanna su eventuali decisioni della più alta magistratura di un altro Stato.

Nelle mani di magistrati – eccellentissimi supremi giudici – chiamati a decidere su correttezze procedurali , non è solo la liberazione di Eluana dalla sua triste condanna ma il diritto di Beppino e di sua moglie a vivere il dolore del distacco, elaborando un lutto che dura da diciotto anni.