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Anno: 2009

La menzogna del capostazione

La menzogna del capostazione

Fa bene Rubini ad essere ossessionato dai critici – poi anche dalla pittura, dai treni e dalla Puglia, ma quella è un’altra storia –  Invero a leggere la rassegna stampa –  una decina di recensioni tra quotidiani e periodici –  più che le sue ossessioni stavolta sembra che abbia messo in scena quelle degli altri.C’è nel film una serie di bozzetti paesani? Ma è Germi ! La storia è famigliare nonchè ambientata negli anni sessanta? Allora è Tornatore. L’ultimo film. Si tratta di ricordi? Non ci sono dubbi : è lo spirito del Fellini di Amarcord. Certo che essere influenzato da tutti questi maestri messi insieme dev’essere una bella gatta da pelare .Faticoso e impegnativo, se non altro. Peggio che girare un film.Nell’ansia di mettergli sottosopra l’identità artistica  – e invece Rubini ,piaccia o non piaccia, un tratto suo deciso ce l’ha, eccome –  o di correre dietro alle doti interpretative ed estrinseche  della Golino o di Scamarcio , quasi nessuno s’è accorto ,tanto per dirne una, dello straordinario montaggio a cura  della maga Esmeralda Calabria o della sceneggiatura di Domenico Starnone . Come se combinare la trama con l’ordito fosse un fattore marginale in un racconto.Come se la scrittura contasse nulla.

Visto che si affida a chi ne dovrebbe sapere di più, il pubblico meriterebbe di andare al cinema confortato da qualche  dato obiettivo, che a raccontare le proprie personalissime sensazioni, sono bravi quasi tutti.
A meno di apprezzare la critica  folle e visionaria –  in certi casi la preferisco, ma siamo distanti dai signori della mia rassegna stampa – ci si dovrebbe attenere di più ai fatti. E i fatti in un film che racconta ,per dirla con Rubini ,una menzogna sincera, vanno oltre il capostazione dalle ambizioni artistiche frustrate con la moglie bella e infelice, il cognato scavezzacollo e i bambini che ci guardano sullo sfondo del solito paesotto del sud dal quale si può solo fuggire ( niente paura, capita anche nel’Iowa)

Forse la lezione felliniana c’è e sta in questo raccontare il vero attraverso una ben orchestrata menzogna. Perchè è per il tramite del falso che si liberano gli elementi vitali di una storia. Cos’è il cinema dopotutto?

Opera meticolosa  nel delineare la parabola di ciascun personaggio e – old fashioned way  –  vagamente melò, senza però il fastidioso, intervento della nostalgia  ( e qui bisogna essere abili). Protagonisti assoluti : il talento con le sue vie assolutamente misteriose, la meschinità umana, la forza e le ragioni dell’amore.

L’uomo nero è un film di Sergio Rubini del 2009, con Sergio Rubini, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni, Guido Giaquinto, Maurizio Micheli, Vito Signorile, Anna Falchi, Margherita Buy, Vittorio Ciorcalo. Prodotto in Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

 

Qui non si baciano rospi. Che poi si trasformano in principi regnanti

Qui non si baciano rospi. Che poi si trasformano in principi regnanti

frog_wearing_a_crownSe oltre ad avere il consenso ha anche gli attributi, perchè non cambia – nei modi previsti –  la Costituzione? Sarebbe l’unico modo per neutralizzare l’ostruzionismo del partito dei giudici.A quel punto nemmeno la tanto vituperata Alta Corte potrebbe nulla.

Non meraviglia che il presidente del consiglio dichiari pubblicamente di avere le palle. Semmai imbarazza  lo scarso spessore dell’uomo di governo ovvero dell’uomo in genere e della sua eterna necessità di  ribadire quel concetto  . Per il resto questa Esposizione Internazionale di attributi non è che il compendio di un’ impostazione culturale e politica di fondo.

Tuttavia, quantunque abbia le palle, non governa. Ha le palle ma non va al referendum costituzionale. Ha le palle ma continua a sbattere la testa contro un unico Principio. Guarda caso quello di Uguaglianza.

Se si teme di mettere a profitto un consenso così vasto significa che le certezze su cui è fondato non sono poi  così granitiche come si vorrebbe far credere. Dunque, trattasi di materiale buono per la propaganda ma inservibile allo scopo di governare coerentemente il Paese.

A questo punto la recente querelle tra Scalfari e Galli della Loggia sull’opportunità o meno da parte di Bersani, di baciare il rospo, si arricchisce di elementi e prende altre pieghe. Comunque la si pensi sul fatto che Governo e Opposizione dialoghino, particolarmente sul tema della Giustizia, non si può pensare di aprire tavolo alcuno sulle questioni attualmente in esame, vedi il processo breve. Ne’ su qualunque altra legge o leggina che ruoti intorno a fatti eccezionali o contingenti.

Intanto perchè l’eccezione che diventa norma, la contingenza prevaricatrice ed infine  l’interesse del singolo su quello della collettività,  minano alla base l’universo logico giuridico. Lo strappo che si determinerebbe, andrebbe invariabilmente a intaccare il principio di neutralità e normalità  dell’Ordinamento.

Una legge che fissa in sei anni la durata massima del processo è auspicabile solo se non contiene fattori discriminanti, ovvero se è supportata da robusti stanziamenti. Se le cose rimangono come sono, i cittadini vedrebbero solo diminuite le già labili garanzie di avere giustizia.

Le nuove eventuali tempistiche abbisognano di persone, mezzi, strutture, quattrini. Che non ci sono, ne’ si prevedono. Senza considerare che i processi si allungano a dismisura non tanto perchè la magistratura è impegnata a farsi spalmare il cerone per andare in tv, ma soprattutto per una serie di bizantinismi pseudogarantisti e norme procedurali labirintiche – tutte introdotte nelle varie tornate legislative dal centro- destra  e tutte ad hoc – tra le maglie delle quali, un avvocato che trovi conveniente fare dell’ostruzionismo forense, ha buon gioco.

Un contesto della proposta così deficitario, senza contare la certezza che un simile provvedimento non serva in realtà che da scudo ad Uno Solo, non lascia spazi per emendamenti di sorta. Va solo buttata nel cestino della carta straccia. Ergo un’Opposizione costumata non può assumersi responsabilità se non quella di votare contro. Sempre che gliene sia data l’opportunità.Bersani si astenga dalle effusioni.Che il Principe è in agguato

 

Camera molto fissa e luoghi comuni

Camera molto fissa e luoghi comuni

 

 

 

Non ti fidare dei latin lover, sono tutte bugie, sono italiani di merda, credono che siamo tutti zingari, ai miei tempi venivano qua per scopare, perchè credono che la Romania è un paese di sole donne e loro sono i tori, ora siete voi che andate direttamente lì farvi scopare, dunque vuoi andare a battere?, i maccheroni rapiscono i rumeni per rubargli gli organi. Il sindaco di Verona ha dichiarato la città libera dai rumeni.

Il catalogo delle presunte malefatte ovvero dei pregiudizi sugli italiani continua con il famoso epiteto rivolto ad Alessandra Mussolini che ha poi cercato, senza riuscirvi, di bloccare il film con una querela . 

A parlare è il padre di Francesca, la ragazza che tra mille peripezie cerca di racimolare i soldi per il viaggio in Italia, dove spera col tempo di aprire un asilo nido per i figli degl’immigrati. La conversazione non è che  lo specchio fedele di quel che in  in Romania si dice dell’Italia. Di qui la storia ci rimanda una serie di personaggi e di situazioni clichè, tuttavia assai credibili. Chiunque abbia assunto in casa una donna rumena, sa benissimo quale sia la preoccupazione principale della famiglia lontana e quanto queste poverette si adoperino per rassicurare i parenti sull’onestà del proprio impiego. E sa anche quanti sacrifici costino i viaggi verso un futuro migliore e quanta corruzione nelle maglie di una burocrazia implacabile e vorace.

Il cinema in Romania sembra molto versato a raccontare di un  paese ancora senza punti di riferimento ma in evoluzione, con un piglio e una capacità di penetrare i personaggi e le storie quasi da neorealismo. Emerge così un cinema nuovo, differente che però ha scarsa fortuna presso i distributori malgrado l’incetta di premi e riconoscimenti ottenuti nei vari festival.

Storia senza happy end possibile. Camera molto fissa quasi a ribadire situazioni con poche vie di uscita



Francesca è un film di Bobby Paunescu del 2009, con Monica Barladeanu, Doru Boguta, Luminita Gheorghiu, Teodor Corban, Doru Ana, Dana Dogaru, Mihai Dorobantu, Ion Sapdaru, Dan Chiriac, Gabriel Spahiu. Prodotto in Romania. Durata: 96 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

 

 

 

…même chanson, même refrain (tra-la-la-la)

…même chanson, même refrain (tra-la-la-la)

 

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le cirque est plein c’est jour de fête,

le cirque est plein du haut en bas

les spectateurs perdant la tête,

s’interpellant à grand fracas

Carmen  Secondo atto.(Escamillo)

 

Grazie ai canali Arte e Classica – servirà pure a qualcosa il groviglio di fili e telecomandi in cui siamo impigliati di recente – abbiamo potuto ammirare la bella Carmen diretta da Daniel Boremboim e interpretata da Anita Rachvelishvili ma soprattutto apprezzare la coraggiosa regia di Emma Dante che accompagnata dal suo team ( scenografo direttrice delle luci, attori ) ha messo in scena la ribellione di un personaggio sin qui rappresentato semplicemente come stereotipo di trasgressiva sensualità.Accompagnata perennemente da tre prefiche e una bara, Carmen espone il destino di morte cui andrà coscientemente incontro proprio per ubbidire ad un indomabile istinto di libertà.

Bella ed efficace l’idea di rappresentare – come Emma Dante stessa ha specificato – un Sud dell’anima – dunque non Siviglia ne’ altri luoghi in particolare – ma un paese immaginario immerso in una pletora di simboli  e di chierichetti, in cui i costumi non hanno tempo e la superstizione si mescola alla religiosità.

Non stupisce che il loggione abbia fischiato proprio la regia, saranno anche palati fini in materia di musica  – sebbene anche questo cominci a rivelarsi un vecchio luogo comune – ma è un fatto che quanto a conservatorismo nessuno li batte. E se Carmen non va in scena con gran fragor di nacchere, vestita da zingara e con la rosa rossa tra i capelli serpentini, non è Carmen. E se Violetta non ha il vestito a fiori e il cappello di paglia nel secondo atto, non è Violetta. E se Turandot non reca un armamentario di cineseria  sul capo e non si sgola dalla cima di una scala chilometrica, non è Turandot.

Ma insomma. La vogliamo proprio ammazzare definitivamente quest’opera lirica? Se la musica è viva, deve continuare a vivere tra noi  e non sono certo  le modalità tradizionali che pure il meticoloso  Visconti detestava, a renderla attuale ed interessante. Se la messa in scena è differente dal consueto, significa che Carmen continua, dopo anni  a raccontarci qualcosa. Il lavoro di Emma Dante ne è la prova.

 

 

I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

 Sarà che a Cannes la proiezione di Looking for Eric era prevista il giorno successivo a quella di Antichrist – splendido ma angosciante –  sarà che i film di  Ken Loach hanno tutti un che di vivificante, fatto è che dopo aver visto le peripezie del postino Eric assistito – e chi meglio di lui –  dal suo ange gardien  Eric, tutti si sono sentiti immediatamente meglio.

Sette mesi dopo, la sensazione rimane inalterata, dunque l’effetto von Trier non c’entrava. Antichirst resta il bel film che era e Il mio amico Eric oramai passato per le maglie del doppiaggio, conserva intatto il suo strepitoso piglio.

Ken Loach che ama il calcio quanto il cinema ed Eric Cantona ex attaccante del Manchester che ama il cinema – Pasolini è il suo regista preferito – quanto il calcio, tant’è che, finita la carriera, s’è  dedicato anima e cuore alla sua passione, interpretando o producendo film e idee brillanti.

Come questa bellissima favola  che originariamente doveva essere sul rapporto del Campione con i supporters e che passata per le mani di Loach e del fido Laverty, si è ampliata trasformandosi in un elogio della working class tifosa e solidale, oltre che, naturalmente, del calciatore Cantona, entrato a far parte a buon diritto negli annali della storia del calcio per le qualità atletiche, per l’affetto che i tifosi del Manchester United ancora gli portano e per aver preso a pedate nel sedere un tifoso che gli aveva dato dello sporco francese . Gesto  costatogli un anno di squalifica.

Il fatto è che  l’idea centrale del film è anche l’Idea del Gioco secondo Cantona il quale sostiene che la sua migliore azione in campo è stato non un goal,  ma un assist smarcante servito a  Ryan Giggs, a tutt’oggi, miracolosa ala sinistra dei Red Devils.  – Devi sempre fidarti dei tuoi compagni  – Conclude. E per essere più forti – chiosa Loach – bisogna stare uniti.

C’è qualcosa di Frank Capra – lo hanno notato tutti e anche per me è così – nella storia del portalettere in crisi depressiva da vita di merda, affetti dissipati figli allo sbando e guai incombenti. Tutto sembra precipitare, finché il suo idolo, appunto Cantona, una bella sera non scende giù  dal manifesto appeso in casa, e materializzatosi lo accompagna in un glorioso tragitto di risalita.

Capra, Cantona e Loach, tre geni al servizio di una storia che non è solo edificante ma che contiene una visione esatta della società inglese, che individua nel tifo una metafora della Comunità, sospingendo con molta discrezione lo spettatore verso riflessioni sul significato della condivisione.

Sceneggiatura brillante ed aforismi irresistibili. Visto e ri-visto. Adorabile.

 Il mio amico Eric è un film di Ken Loach del 2009, con Steve Evets, Eric Cantona, Stephanie Bishop, Gerard Kearns, Lucy-Jo Hudson, Stefan Gumbs, Matthew McNulty, Laura Ainsworth, Max Beesley, Kelly Bowland. Prodotto in Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da Bim Distribuzione