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Anno: 2009

Un pesce di nome Brunilde

Un pesce di nome Brunilde

 

Sembra facile, innocua, esile la storia –  Andersen o Collodi – della pesciolina rossa che per amore, o fantasia mutante, vuol diventare umana. Ma poi, come spesso accade con Miyazaki, dopo una breve immersione nella bellezza della fauna marina color acquarello, ci si ritrova a fare i conti con le metafore del sottotesto e le relative complicanze. Molto nipponico il tutto, quantunque le tematiche  possano definirsi universali. Dimenticare dunque la martellante,  gommosa canzoncina che nel più tradizionale stile sigla anime, ha preceduto con successo, l’uscita del film nelle sale

Ponyo Ponyo Ponyo pesciolina tu
dal mare azzurro, sei giunta fin quassù
Ponyo Ponyo Ponyo sofficiosa sei
pancino tondo tondo, bambina tu

E concentrarsi – che è meglio – su coraggio, amore, rispetto degli altri, lealtà, rapporto con la natura, mondo soprannaturale. Esorcizzato il melenso e l’infantile ecco qui il Cinema con il suo bagaglio di fantastiche immagini, poesia e colonne sonore colte by Hisaishi. Quanto c’è in questo film dell’universo di Miyazaki san – non si azzardi il  sensei che s’arrabbia è tutto da scoprire : dalla grande pittura giapponese di Hokusai a Silly Simphonies ad Antoine De Saint Exupery – Petite Prince  ma anche Vol de nuit e Terre des hommes  – a Wagner – e quando è Cavalcata delle Valchirie, interviene direttamente la matita  di Miyazaki, perchè le immagini della surfista Ponyo devono essere quanto più possibile all’altezza .E lo sono. Ma niente computer : 70 artisti, 180.000 disegni – moltissimi per un film di animazione e tutti rigorosamente a mano – a raccontare artigianalmente la Storia  dal punto di vista di un bambino :  Come andò che Brunilde ribattezzata Ponyo ,figlia di un ittiologo pazzo e di una divinità marina, ribellandosi al padre ne provocasse le tsunamiche ire e come, barattando i suoi magici poteri,  guadagnasse il privilegio di un’esistenza – si spera – normale, cioè da essere umano.

 

Ponyo sulla scogliera è un film di Hayao Miyazaki. Titolo originale Gake no ue no Ponyo. Animazione, durata 100 min. – Giappone 2008. – Lucky Red

 
Un singolare caso di coscienza

Un singolare caso di coscienza

Poichè le storture non possono che generare altre storture, il semplice annuncio dell’introduzione del reato di clandestinità, ha già prodotto soddisfacenti risultati in termini di miglioramento della convivenza civile : due casi di lebbra a Milano e due di TBC sempre al Nord. Se tanto mi da tanto, si può immaginare cosa potrebbe accadere se la Legge passasse così com’è. Cioè come Lega Nord, per bocca di Umberto Bossi stesso,  desidera.

Il reato in questione, perseguibile d’ufficio, è ovviamente connesso con l’obbligo di denunzia da parte di qualunque pubblico funzionario nell’esercizio delle sue funzioni : dalla maestra, al medico, al vigile urbano e via di seguito. Inutile che ci vengano a raccontare la fandonia della discrezionalità. Proprio per questo, non c’è associazione di medici o d’insegnanti che non si sia risentita.

E sarà pure una manovra prematrimoniale in vista dei congiungimenti futuri o una manovra punto e basta, ma fatto è che i 100 e passa eletti nel PDL richiedenti al premier la non apposizione del voto di fiducia al provvedimento, suscitano involontariamente, una riflessione : può un insieme di norme destinate alla " sicurezza" - quindi concernenti disposizioni di natura tecnico – amministrativa o di ordine pubblico –  costituire, in Democrazia, un problema di coscienza?

A quanto pare sì, visto il preciso richiamo dei firmatari. Ma se ciò accade significa che c’è qualcosa di abnorme nella ratio che presiede simili proposte. Abnorme come l’idea che le leggi non debbano regolare, garantire, tutelare e, se del caso, sanzionare, ma semplicemente essere in armonia con il lato più oscuro e inconfessabile  di un elettorato da vezzeggiare, blandire e  al quale quasi nessuno più ha voglia di spiegare quali origini abbiano paura e idiosincrasia per l’altro.

L’efficienza non conta ed infatti questi provvedimenti non sono fatti per il funzionamento o per il risultato,  come pure attesta la  Bossi Fini, gran moltiplicatrice di clandestinità e altri disastri,  ma nella loro insensatezza, per creare disservizi a catena. Il che andrebbe già bene rispetto al rischio epidemie di mali dei quali pensavamo di aver dimenticato il nome e che puntualmente si manifesterebbero ove mai gl’immigrati per timore, prendessero a disertare gli ambulatori medici.

Due destre e forse anche tre, si schierano domani alla Fiera di Roma. Se dall’incontro/scontro non ci si aspettano clamorose rotture, non è nemmeno lecito attendersi l’emergere di un’idea di società autenticamente conservatrice. Qualcosa di netto e definito che possa garantire, se non forme di buon governo, quantomeno la possibilità di confrontarsi su terreni dignitosi e con regole del gioco chiare.

L’unica idea di società  , quantunque perversa e rovinosa – ma coerentemente strutturata – al momento, viene espressa solo dalla Lega. Con conseguenze di cui ognuno può rendersi facilmente conto .

Che barba che noia che rabbia ( quei bravi ragazzi)

Che barba che noia che rabbia ( quei bravi ragazzi)

L’ultima borchia al ritratto di famiglia prima dello scioglimento del partito – che avverrà sabato prossimo –  la scolpisce Bruno Vespa schierando in studio cinque esponenti AN di differenti generazioni e tre giornalisti  – Pansa, Feltri e  Sansonetti – a garantire pluralismo e a commentare il tutto.

Certo, per costruire un’immagine dignitosa al Movimento Sociale – antesignano di Alleanza Nazionale –  che fu fondato nel 1946 da un gruppo di ex repubblichini, non è sufficiente un semplice sforzo di fantasia ma per quanto riguarda il conduttore – che ce vò? – la semplice allusione alle ignominie  compiute dai partigiani – sennò Pansa che ce sta a ffà? – e alle relative persecuzioni – mica provvedimenti dei tribunali   all’indomani della liberazione e oltre,  basta e avanza per riequilibrare il quadro fornendo ampia motivazione . Insomma tra fucilatori e fucilati, sostenitori delle leggi razziali e no, è tutta una gran marmellata dei tempi lontani. Riconciliamoci.

Le persecuzioni e il famoso arco parlamentare restano al centro dei primi cinquanta minuti di trasmissione perchè – concorda anche Pansa – i missini furono di fatto emarginati dalla vita politica italiana, con grave danno per la Democrazia e per noi tutti.

Flebili  allusioni agli appoggi esterni di certi governi – vedi Tambroni – tra i più illuminati di cui questo paese ha potuto disporre, non scalfiscono la granitica  tesi della conventio ad escludendum .

Non parliamo poi delle  ripetute violazioni alla legge Scelba o i reati di attentato alla Costituzione o Istigazione all’insurrezione armata, in carico a Giorgio Almirante e che tennero impegnati Giunta delle autorizzazioni a procedere e Parlamento fino a tutto il 1974 . Ovvero il fatto che l’ MSI ispirasse i propri modelli a quelli dei regimi  reazionari di   Salazar, Papadopoulos e Franco e che da ultimo, inneggiasse ad Augusto Pinochet senza nessun  pudore.

Infatti non se ne parla. Ci prova Sansonetti ma con poco esito.

Più che una lustratina all’immagine con abbondante dose di omissis, sembra direttamente un’ opera di   Falsificazione. Del resto, esaurito l’alibi  dei crudeli partigiani, forse che non s’erano materializzate nel frattempo le Brigate Rosse? E dunque. Tutto torna. Le radici sono salve.

Peccato che la nascita delle  BR risalga al 1970 e che già dall’ aprile 1968, Giorgio Almirante, padre nobile del partito,  avesse personalmente guidato una squadraccia da 200 mazzieri reclutati nelle palestre di Caradonna, per ripulire la Sapienza occupata dai rossi. Che poi erano i ragazzini delle scuole medie superiori convenuti per uno sciopero. Proprio il  16 di marzo,  stessa data della trasmissione.Tante volte il destino… Ma su questo, buio totale.

Peccato che i perseguitati della generazione di mezzo, bravi ragazzi, tutti covo del Colle Oppio a Roma e casa di Julius Evola a Corso Vittorio, a far ballare i tavolini a tre gambe oppure a farsela con gli stragisti, i massoni, le spie e i cultori dell’alchimia e della cabala, avessero per la testa ben altro che le Brigate Rosse alle quali sopravvissero oltre il 1989, data dell’ultima prodezza conosciuta del primo cittadino.

Ma nemmeno di tutto questo si fa cenno e in men che si dica, archiviata la Roma clericofascista dei bracieri accesi e delle mimetiche per commemorare i nostri morti – se l’iconografia non è decadente che gusto c’è  ci si ritrova in men che si dica proiettati a Fiuggi e a Gerusalemme. Fini monda il partito dai peccati suoi, le persecuzioni sono finite e si comincia a risalire la china. Come se avessero mai smesso.

Ovvio che lo sdoganamento definitivo avviene ad opera di Silvio Berlusconi che inaugurando un supermercato della Bassa, dichiara che se fosse stato romano, tra Fini e Rutelli, avrebbe votato Fini. E’ il segnale.

Tutta qui la favola bella della Destra Buona le cui bravate altro non sono se non il riflesso delle malefatte della Sinistra Cattiva. E se tutto è dimenticato già da oggi, chissà cosa sarà di un passato non certo limpido quando, a fusione avvenuta diventeranno un sol partito con quelli del PDL.

Con un solo leader – loro non hanno problemi di contrasti tra Fini e Berlusconi – Una sola anima – loro non sono come il PD – Una sola identità – infatti tra destra sociale e  liberali, infondo che differenza c’è? - Un solo Pantheon – hanno anche quello – dal quale non sono esclusi Gobetti e Flaiano, Fellini e Leone. Tanto sono tutti morti, più che rivoltarsi nella tomba, non possono.

Meno male che l’ora è oramai tarda e la disinformazione può raggiungere solo i fascisti senza speranza e gl’insonni, dato che chiunque provvisto di buona memoria è rimasto senza parole, mentre spera in una presidenza RAI decisionista o in un qualche accidente che tolga a Vespa almeno la metà dello spazio che malamente occupa.

Nell’illustrazione Almirante alla Sapienza, sulle scale del Rettorato,  si compiace della spedizione punitiva

What the hell does everybody want with my Gran Torino?

What the hell does everybody want with my Gran Torino?

Parcheggiata la Ford Gran Torino verde al centro della storia, Kowalski – Eastwood siede nella veranda della sua casa di Detroit che, come da allusiva inquadratura dal basso, pare l’Abramo Lincoln del Campidoglio. Un cimitero di lattine di birra vuote e l’espressione rabbiosa e disgustata – almeno per buona parte del film – raccontano la difficoltà ad accettare probabilmente l’età, la recente perdita della moglie ma soprattutto quel senso d’impotenza che nemmeno il Garand e la Colt 45 custoditi gelosamente in casa – ma pronti all’uso –  riescono ad attenuare. Walt Kowalski non sopporta il mondo così com’è diventato e gl’inveisce contro tutto il possibile repertorio di insulti fantasiosi e politicamente spietati.

Del resto, combattere in Corea e lavorare cinquant’anni alla Ford, per poi avere un figlio che guida una Toyota o ritrovarsi il quartiere invaso da quegli stessi musi gialli incontrati in Indocina , non è il massimo per un americano conservatore che più americano e conservatore di così, non si potrebbe.

Ma c’è di nuovo che a conoscerli meglio quei coreani così attaccati alle loro tradizioni somigliano più a Walt di quanto non gli somiglino i suoi figli. Per non parlare di quei debosciati dei nipoti. Così è possibile che un insospettato legame paterno con  due adolescenti asiatici perseguitati dalle gang, si stabilisca e divenga ragione di vita ( e non solo ) e che nel training  che insegni loro a difendersi ma anche a divenire americani, l’umore migliori. Rimane il senso d’impotenza che però si risolverà nel sacrificio – offerta di se stesso come opportunità di giustizia.

Carrellata e compendio di tutti i personaggi interpretati da Eastwood nella sua carriera. Lucida riflessione sulla fragilità illusoria di certi colossi dai piedi d’argilla, sul cinismo che tutto travolge tranne che l’integrità e il coraggio. Gran maliconia, grandi rimorsi, grandissimo Eastwood.

 

 

Gran Torino è un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, Austin Douglas Smith, John Carroll Lynch, William Hill, Chee Thao, Choua Kue, Brooke Chia Thao, Scott Eastwood, Xia Soua Chang, Cory Hardrict, Geraldine Hughes, Brian Howe, Brian Haley, Dreama Walker, Nana Gbewonyo, John Antony, Doua Moua, Sarah Neubauer, Lee Mong Vang. Genere Azione, colore 116 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Warner Bros Italia

Che barba, che noia

Che barba, che noia

Tra il Cioni di pattuglia –  che abbiamo preso il graffitaro –  e il Renzi additato futuro leader nazionale – che vuol cambiare la costituzione e il welfare – ci sarà pure dell’Altro in questo partito (che non c’è) e nella città di Firenze, messi in scena da Annozero giovedì scorso.

Certo abbiamo potuto vedere  la Casa del Popolo semideserta quando si parla di politica e affollata nei pomeriggi dedicati al liscio – dopo Giuseppe Bertolucci il fatto sembrava non essere più un segreto  ma tant’è, la visione della tombola, ci è stata riproposta come inequivocabile  segno dei tempi –

E ci hanno pure  mostrato  gli abitanti di un quartiere malmesso e degradato, fortemente determinati all’ astensione punitiva di gruppi dirigenti e/o governanti pervicaci e sordi. Ma fondamentalmente c’è lui, il vincitore delle primarie, il nuovo, il giovane, l’Obama italiano, tutto maglioncini pastellini occhiali e ciuffo, in perfetta rispondenza col curriculum demo-margheritino classico, dal passaggio negli scout a quello in  Comunione e Liberazione  dove – non viene detto ma tanto sarà così – ha imparato il mestiere, che miglior Scuola d’Impresa di quella, crediate, non fu mai vista.

C’è da dire però che a forza di correre dietro a questa benedetta comunicazione politica può capitare che ci si dimentichi facilmente proprio del contendere, cioè della Politica. E infatti ad Annozero più che parlare di malfunzionamenti non si fa. Le ricette non sono mai interessanti. Meglio il Cioni a caccia di writers e il Renzi a rincorrere i macellai e gli chef illustri per piazzette e  mercati rionali.

Ma la di là delle definizioni sempre pronte – e sempre quelle – a lasciare di stucco, volendo passare dalla narrazione ai fatti, invece sono proprio i 100 punti per Firenze. Quelli su cui Renzi ha costruito la sua vittoria alle primarie, unitamente al resto del corredo : lo staff, il portavoce i ciclisti con la pettorina, i suoi volontari insomma e quel gran correre  in lungo e in largo per la città a promuovere se stesso. Dimenticavo Internet. Siti in stile .Obamiano beninteso.

Cosa aggiungere allora su quei cento punti programmatici, sedicenti innovativi, titolati ad effetto  -  Segui la multa, Ripartire dalla Zeta, Paline parlanti e così via – ? Di sicuro che a questi giovani – o vecchi – aspiranti amministratori non farebbe male viaggiare un po’ di più,  una qualsiasi capitale europea da chiunque governata – ma va bene anche Istambul mica c’è bisogno per forza della Ville Lumière – per capire intorno a quali Idee  cresce e si evolve una città, come viene recuperato il vecchio ed allocato il nuovo, come si riqualifica un’area e chi, al di là degli esecutori materiali  a smuovere la benedetta economia, dovrebbero essere i fruitori. A vantaggio di chi, si rivoltano le città come calzini. In funzione di quali politiche.

Invece niente : semplifichiamo, razionalizziamo tagliamo, ricuciamo compagini amministrative, cacciamo i politici e mettiamo i tecnici, istituiamo – parola magica – le Holding. Ma per fare cosa? Non certo per istituire serie commissioni di verifica dei contratti e degli appalti o modalità di affidamento che ne aumentino la trasparenza. L’innovazione alle volte più che nell’informatizzazione si nasconde tra le pieghe insospettabili di buone procedure.

Nè c’è ombra di politiche sociali, se si eccettuano scarni e  generici riferimenti buoni ad Abbiategrasso come a  Grottaferrata. Non ci sono  centri antiviolenza, consultori, programmi di integrazione scolastica, tavoli interreligiosi, politiche per l’infanzia. Di colpo sono spariti da Firenze i poveri, gl’immigrati, le donne e i bambini. In compenso ci sono molti navigatori satellitari e quel tanto di tecnologia che fa nuovo in avanzata. E a parte aprire i bar di notte e fare il Cinema d’Estate, il deserto.

Non so se Matteo Renzi abbia la stoffa del leader nazionale, fin qui s’è visto solo uno stile disinvolto ed autocompiaciuto, da narcisetto in diretta. E siccome molto mi fido del giudizio di quelli della tombola, l’allusione alla smania di protagonismo e ad una marcata attenzione a fattori marginali, per quanto scontata, un po’ m’impensierisce.

Ma non perchè l’accostamento - inappropriato – con Enrico Berlinguer, proposto dalla scaletta, rimanda a fasi in cui il nuovo si ricercava , senza che fosse identificato necessariamente  attraverso l’adozione di criteri generazionali, ma per il grosso potere che oramai ha assunto la forma rispetto ai contenuti : Matteo Renzi con i suoi cento punti, non dimentichiamolo, ha vinto le primarie e ad un certo punto bisognerà sin sperare che sia lui a vincere le elezioni e a governare Firenze.

Non ci fosse stato Staino a segnalare il punto di debolezza di una candidatura esclusivamente da dare in pasto alla comunicazione, pur nell’ingenerosità della definizione – pollo da batteria – si sarebbe potuto pensare, al solito,  di tenersi il vecchio, se questo è il nuovo. E invece bisognerà continuare a cercare. Ma per carità : possibilmente lontano da Renzi.

Nell’illustrazione il Nettuno di Piazza della Signoria