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Anno: 2009

…history? In history we’ll all be dead!

…history? In history we’ll all be dead!

Non so perchè ci si aspettasse da questo W di Oliver Stone un taglio più espressamente militante  o di denunzia esplicita dei guasti della presidenza di George Bush . Come gli altri biopic dello stesso Stone, il film  è costruito su di un tema chiave, ma se per JFK furono i misteri intorno all’assassinio di Dallas e per Nixon il Watergate, per George W Bush il filo conduttore non può essere altro che il potere distruttivo della mediocrità soprattutto se connessa ad un ego spropositato.

W è  basato su una storia vera ma questa storia è stata nascosta a lungo e per raccontarla c’è voluto il lavoro investigativo di numerosi giornalisti che tra il 2003 e oggi hanno raccolto molto materiale su un personaggio come Bush che prima era stato decisamente sottovalutato. So che anche in Italia state vivendo una storia che ha qualche somiglianza con questa. Non bisogna mai sottovalutare personaggi come questi. Ed è stata proprio questa sottovalutazione che ha permesso a Bush di fare tutto quello che ha fatto

Oliver Stone

Comunque la si pensi – su W e non solo – una cosa è certa : si potrà guardare stasera sulla 7 questo film, con la consapevolezza che domani a mezzogiorno, quando i codici segreti nucleari saranno passati di mano, il mondo intero potrà sentirsi un po’ più al sicuro.

La febbre di Raul

La febbre di Raul

Molto gradito anche alla critica più pignola, vincitore a Torino filmfestival e all’Avana,  non prima di essersi fatto notare alla Quinzaine, la primaversa scorsa, ecco qui Tony Manero, film del giovanissimo Pablo Larraìn che riesce a catturare l’attenzione e a non deludere le aspettative, nonostante la ricercata sgradevolezza, il duro realismo e una cifra autorale old style forse un po’ troppo marcata.

Anno 1978 sbarca nelle sale la Saturday night fever e il mito di Tony Manero dilaga,  le discoteche risorgono, mentre spopola la moda della danza, dei  completini bianchi e dei capelli ravviati. Alimenta la passione (e la facile identificazione) la storia di Tony, un commesso di  Brooklyn , Bay Ridge per la precisione, che si sente felice, e probabilmente anche se stesso, solo sulla pista del  2001 Odissey, la discoteca dove va ballare al sabato sera. Il fenomeno è di tale portata  da ispirare una discreta quantità  di trattati di sociologia. Dentro ci vanno a finire i nuovi riti del sabato sera, i sogni delle periferie, e quel ponte Da Verrazzano che da Brooklyn porta diritto a Manhattan e che tutti sperano di attraversare.

Nel Cile di Pinochet, dove non ci sono ponti dei sogni tra un quartiere popolare e il resto del mondo, Raul, un cinquantenne brutale e  violento, sembra non avere altro scopo che prepararsi ad un concorso televisivo che premierà il sosia cileno di Tony Manero. Ossessionato dal film  che vede e rivede sempre nello stesso cinema, vive uno stato di costante esaltazione, ripete le battute in inglese, prova di continuo i passi, si costruisce una minidiscoteca con materiali di risulta, ma soprattutto per raggiungere il suo scopo è disposto a tutto, persino a  rubare e a  uccidere.Tutto questo accade mentre le camionette percorrono le strade a caccia di oppositori, in un clima tetro e violento, dal primo all’ultimo fotogramma. 

Raul è l’incarnazione dell’immoralità del regime, del clima d’ impunità in cui è prosperato,  della folle esaltazione per il sogno americano, del potere allucinatorio del cinema yankee cui il regista Larraìn rivolge critiche severissime, in parte immeritate.

Molto efficace e ricca di sfumature l’interpretazione dell’attore  Alfredo Castro ( co- sceneggiatore, per l’occasione)

Mostrare e non dimostrare è, per sua stessa dichiarazione, l’obiettivo che il giovane regista si prefigge. Tony Manero risente positivamente di questo impegno che però non sempre riesce a tradurre in immagini. Poco male. Nel linguaggio cinematografico esistono modi sottili ed impercettibili della dimostrazione, sembrano innocui ma non lo sono. Un film sul regime di Pinochet è un terreno ideale per ogni tipo di tentazione didascalica ma che il regista Larraìn, classe 1976, apprezzi una delle più importanti lezioni di Rossellini, non manca di renderci, cinematograficamente, soddisfatti.

Tony Manero è Un film di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete. Genere Drammatico, colore 98 minuti. – Produzione Cile, Brasile 2008. – Distribuzione Ripley’s Film

Lo strano caso delle mancate estradizioni

Lo strano caso delle mancate estradizioni

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Qui il caso di Cesare Battisti c’entra poco, sia chiaro, inutile soffermarsi sulle caratteristiche del  singolo episodio, magari per rifare il processo o cogliere l’occasione per chiamare in causa strumentalmente chi invece andrebbe sostenuto nel difficile compito di rielaborare un lutto. Come pure non sono interessanti le liste degli Esimi Sostenitori o quelle dei  Convinti Detrattori, entrambe interne ad una medesima logica che comunque  non sostiene l'indispensabile, in questi casi,  sforzo raziocinante.

Men che meno coloro i quali ogni volta che viene respinta una richiesta di estradizione, sostengono essere il paese dal quale proviene il rifiuto, poco titolato alla bisogna, per non avere la necessaria civiltà e tradizione giuridica. Se tutti sono indegni di decidere, non si capisce bene che li facciamo a fare i trattati internazionali. Scambiamoci i prigionieri e non se ne parli più.

Più scomposte sono le reazioni, più si allontana l’idea del superamento dell’ottica punitiva come centrale, più il filo conduttore è la punizione, più sfuma la finalità che gli ordinamenti liberali attribuiscono alla sanzione penale.

 Speriamo dunque che di fronte all’ennesimo rifiuto da parte di un paese straniero, di trasferire un detenuto nelle nostre carceri, ci sia la possibilità di una riflessione più approfondita, così da rendersi conto che  le ragioni di contrarietà siano tutte riconducibili ad un unico tipo di problema. Poichè non è solo il Brasile, ma anche il Canada, la Gran Bretagna, il Giappone, l’Argentina, il Nicaragua, tutti  paesi che salvo rarissime eccezioni, non concedono estradizioni all’Italia. Ecco, in massima parte, il perché :

Un nodo chiave è dato dalla difficoltà di rendere difendibili sul piano internazionale norme varate negli anni dell’emergenza, tra i settanta e gli ottanta, e ancor di più la cultura e la prassi che ne sono derivate : la collaborazione premiata, l’assunzione delle dichiarazioni dei collaboratori come elemento probatorio, l’attribuzione di responsabilità in concorso morale in una accezione piuttosto estesa del concetto, l’automatismo nell’attribuzione del massimo della pena edittale, senza bilanciamento con possibili attenuanti. Il persistere di tali elementi è riscontrabile nel gran numero di sentenze tendenti al massimo della pena. Il che contribuisce a determinare un quadro di inaffidabilità nell’amministrazione della giustizia presso i nostri interlocutori stranieri. In qualche caso anche in maniera eccessiva e preconcetta ma non si può dire sia la norma.

Di qui la recente decisione del Brasile di concedere lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti. Analoghi motivi di perplessità del resto, avevano animato le scelte della Francia da Mitterand a Chirac nei confronti di altri soggetti, proprio in considerazione del particolare contesto culturale in cui in Italia avvenivano attribuzioni di responsabilità penale.

E’ insensato che per correre dietro alla suggestione forte del colpevole a spassarsela sul lungomare di Bahia, si rinunzi ad analizzare il problema nella sua interezza a fornire ai cittadini elementi di riflessione. Particolarmente laddove si dimostra che un atteggiamento teso a fare i conti col proprio passato, sarebbe utile proprio nell’ interesse  dell’ amministrazione della giustizia che certo non si avvantaggia di questa cattiva reputazione sul piano internazionale.

Per quanto possano far sorridere le dichiarazioni del ministro di giustizia brasiliano Stavo cercando informazioni sul tipo di punizione che hanno sofferto gli apparati illegali di repressione che agirono in Italia in quel periodo, e che erano legati alla mafia e alla Cia. Devo saperlo perché, se questi apparati sono ancora intatti, c’è un rischio per Battisti, in analoghi casi, anche l’Italia si è rifiutata di concedere estradizioni.

Nell’illustrazione la citata spiaggia di Bahia

 

Fragile virtù ( ma solo in apparenza)

Fragile virtù ( ma solo in apparenza)

Tra le cose migliori viste al Festival di  Roma. Easy virtue , testo teatrale anni 30 di Noël Coward, già utilizzato da Alfred Hitchcock per uno dei suoi film d’esordio, sarebbe un concentrato un di tutti gl’ingredienti e i luoghi comuni del genere, se il regista Stephan Elliot – suo è il memorabile Priscilla regina del deserto – non avesse rimaneggiato  la piece con aggiunte di piccoli tocchi surreali, noir, talmente divertenti da ricordare in qualche occasione i Monthy Python, dominando il tutto una vena caustica che della commedia inglese è la caratteristica principale.

Ed è così che non sembrano già rimasticati quegli ingredienti : la giovane americana misteriosa al volante dell’automobile, che irrompe al castello di proprietà della nobile famiglia inglese del neosposo, il conflitto tra vecchio e nuovo mondo, quello tra suocera e nuora, la commedia dell’irriverenza per il cerimoniale che è tanto noioso ma che poi alla lunga finisce con l’essere terribilmente affascinante, ovvero la considerazione finale che tra la Caccia alla Volpe e andare alla Caccia alla Volpe in moto per stupire, è molto più folle e trasgressiva la prima opzione.

Film molto accurato, con attori navigati, sapientemente diretti e dai tempi comici ben studiati. Piacevole scoperta del binomio bellezza/ bravura incarnato da Jessica Biel. Colin Firth, convincente bello e desiderabile anche nel ruolo del suocero complice ma un po’ sgualcito. Kristin Scott intensa come sempre.

 Easy Virtue è un film di Stephan Elliott. Con Jessica Biel, Colin Firth, Kristin Scott Thomas, Ben Barnes, Kimberley Nixon, Katherine Parkinson, Kris Marshall, Christian Brassington, Charlotte Riley, Jim McManus, Pip Torrens, Georgie Glen, Laurence Richardson. Genere Commedia, colore 96 minuti. – Produzione Gran Bretagna 2008

The yes is the new no

The yes is the new no

Non inganni il titolo – Yes man – poichè non è di acquiescienza o piaggeria, ne’ della nota Band Situazionista che si parla in questo film, piuttosto degli esiti nefasti che una certa qual abitudine a opporre rifiuti alle possibilità  di aprirsi al mondo, a nuove esperienze o anche solo a voler considerare possibili alternative  alle modalità consuete, comporta. 

Dunque se la vita nella Città degli Angeli – della quale il gentile pubblico finalmente potrà ammirare altre location  che non siano il  Sunset o Wiltshire Boulevard – è diventata un inferno, la fidanzata ti lascia, gli amici si lamentano di te e il lavoro in banca, come ti sbagli, si risolve nella solita ripetitiva afflizione, l’unica è un guru new age che ti tiri fuori dalle peste

 Meglio ancora se interpretato dall’impeccabile  Terence Stamp,  che predica in consessi  parodistici e allusivi ( Scientology, ovvio) la filosofia del si.  

Il si è il nuovo no, avverte lo slogan dell’ approccio positivo con il mondo. Il che dovrà significare per Carl Allen, il superdepresso executive alla canna del gas, dire di si a tutti e a tutto per almeno un anno. Un corso di coreano, un concerto punk rock femminista deformante, sesso estremo con improbabili e anziane partner, passeggiate in ore antelucane e molto altro ancora. Carl Allen non si tira indietro innanzi a nessuna proposta. La nuova disponibilità lo trascinerà in avventure paradossali, surreali, divertentissime  ma gli offrirà nel contempo la possibilità di scoprire quei versanti, quelle possibilità che a forza di dire sempre no si è precluso.

Commedia sofisticata, esilarante con un Jim Carrey in forma smagliante, vivace e mobilissimo – oltre essersi fatto da sè anche gli stunt più pericolosi, come buttarsi col bungee jumping dal ponte dei suicidi a Pasadena – e un modo lieve, di far passare una lezioncina che certo di poco conto non è. Alla fine è possibile che il cambio di passo si riveli utile sotto profili inattesi, anche se essere una persona risolta, non impedirà alla CIA di stare alle costole di Allen magari perchè  parla coreano o perchè si chiama Carl. Proprio come Marx.

Un film di Peyton Reed. Con Jim Carrey, Zooey Deschanel, Bradley Cooper, John Michael Higgins, Rhys Darby, Danny Masterson, Fionnula Flanagan, Terence Stamp, Sasha Alexander, Molly Sims, Brent Briscoe, John Cothran Jr., Spencer Garrett, Sean O’ Bryan, Rocky Carroll, Patrick Labyorteaux. Genere Commedia, colore 102 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Warner Bros Italia