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Mese: Aprile 2009

Un'altra scienza

Un'altra scienza

Naturalmente solo gli scienziati e i tecnici  sono davvero in grado si valutare l’ attendibilità della ricerca predittiva sul radon. Tuttavia, dopo la catastrofe che alcuni vorrebbero annunciata, non si può fare a meno di considerare una previsione sul sisma che più volte sbaglia il giorno e l’epicentro, come una non – previsione. Senza pensare al danno che involontariamente si arreca a questo tipo d’indagine, comunque scientifica –  pubblicizzandone gl’insuccessi e dunque via via abbassando quel livello di credibilità necessario al prosieguo dei finanziamenti –  si preferisce ogni volta coltivare l’idea dell’establishment crudele e dello scienziato buono, piuttosto che concentrare l’attenzione su acclarate cognizioni  scientifiche di contrasto,  pertanto su vere responsabilità.

Al Disastro che in pochi secondi spazza via tutto generando smarrimento, dolore e senso d’impotenza, non può essere sacrificato neppure un briciolo di raziocinio. Il Profeta Inascoltato segue l’iconografia della tragedia al pari delle squadre di soccorso, degli sciacalli colti sul fatto, dei ministri a ispezionare i campi profughi, delle rovine cosparse di cosidetti oggetti quotidiani.

Il paese emotivamente instabile preferisce correre dietro alle leggende piuttosto che soffermarsi a riflettere sul fatto che l’unico modo per arginare la catastrofe è seguire Regole che attengono ad un’altra scienza : quella delle Costruzioni. Inutile ricordare che nel paese delle superfetazioni e delle verande abusive, le norme antisismiche vengono puntualmente disattese. Anche negli edifici pubblici.

Passata la buriana, cioè tra breve, torneranno a raccontarci che seguire le regole comporta perdita di tempo e danno per l’economia o che possono  essere condonate  indistinte sopraelevazioni di interi piani realizzati senza minimamente porsi il problema di tenuta delle fondamenta. E che piuttosto che agevolare il lavoro degli Uffici Tecnici magari incrementando l’organico di qualche unità, è meglio sfoltire la materia e tagliare sui controlli.

Più che di antidoti emotivi ci sarebbe bisogno di guardare in faccia la realtà, laddove è dimostrato che la massima parte delle nostre disfunzioni – eufemismo, nel momento in cui si parla di vera qualità della vita e di morti per niente – è data dalla nostra cronica mancanza di senso civico e di classi dirigenti che per mantenersi in vita ne assecondano pervicacemente la china.

..and there’s nothing you can do about it. Nothing!

..and there’s nothing you can do about it. Nothing!

Basterebbe poco. Se richiesto di un commento, il Ministro con emme maiuscola rispondesse che in Democrazia le manifestazioni di dissenso sono un segnale di buona salute, finirebbe lì: in dissolvenza con brusio di ammirazione per l’istituzionale fair play . Nei futuri servizi sarebbe ricordato per l’aplomb.

E invece no. Bisogna cavalcare l’opinione più volgare reperibile su piazza e rendersene interprete. Scampagnata, carnevalata o che so io. Nei futuri servizi sarà difficile  che non sia ricordato per la stizza.

Salvo che nel prosieguo dell’intervista non gli si domandi dell’evasione fiscale, visto che manco a farlo apposta, qualche ora prima della scampagnata, sono stati resi noti i dati sui redditi del 2007 dai quali inequivocabilmente si evincono i 100 miliardi e passa, pari a 7 punti di PIL, tale è il costo del mancato introito nelle casse dello Stato che dobbiamo sopportare. Finalmente un primato europeo.

Qui la replica del ministro si tinge di fatalismo con l’incipriata cinefila  di profilo medio – E’ il paese, bambola – e pur  senza aggiungere il finale alla citazione – And there’s nothing you can do about it. Nothing! – si affretta a sintetizzarne il senso : il problema è strutturale. Boing.

Lo si fosse chiesto ad un impiegato dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe comprensibile ma un Ministro con emme maiuscola e pretesa efficientistico riformatrice, dovrebbe squadernare le misure assunte e quelle in programma. A campanello : un.. due.. tre… : abbiamo fatto questo e quello e ancora faremo questo e quell’altro. Ma poichè in nome della semplificazione, più che smantellare il poco che il perfido Visco era riuscito a mettere in campo per contrastare l’evasione, non si è fatto, l’unica risposta possibile consiste nel buttarla in caciara.

In realtà ci sono conti che ancora tornano nel nostro Paese : sono quelli della manifesta diseguaglianza, ma qui è meglio non interrogare il ministro che altrimenti ripolvererebbe tutte le leggende sulla bontà dello stimolo a fare meglio che un tale disastro dovrebbe produrre. Film  a confortare l’ottimismo, ce ne sarebbero in quantità.

Sulla manifestazione di ieri la si può pensare come si vuole, se fosse o meno opportuna, se Franceschini dovesse o non dovesse… se Epifani sia o non sia.. Tutto si può discutere, tranne il fatto che chi tira la carretta ne abbia ben donde di lamentarsi e, se del caso, scendere in piazza. Magari senza doversi sobbarcare di ironie ministeriali. Gira che ti rigira a quelli del governo, maiuscoli o minuscoli che siano, è sempre la manifestazione libera del dissenso a infastidire. Eppure that’s the democracy, baby. The democracy! And there’s nothing you can do about it. Nothing!

 

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

 

 

Quando Gustave de Kerven  della premiata Delépine & Kervern  arrivò al Festival di  Roma – proveniente da Cannes e San Sebastian e diretto al Sundance, in un continuo mietere premi – a presentare il suo esilarante Louise Michel, storia  surreale –  ma non troppo – della chiusura di una fabbrica in Piccardia, nessuno avrebbe immaginato che di lì a poco, l’idea di rivalersi sui manager per i soprusi patiti e i licenziamenti , sarebbe divenuto per molti  lavoratori, il metodo di lotta del futuro.

Non nuovo a dire il vero, nemmeno qui da noi, visto che quello di sequestrare i fattori mentre i latifondisti si tenevano lontani ed al sicuro, protetti nelle loro residenze cittadine, faceva parte di un protocollo consolidato nelle lotte contadine fin de siécle e oltre. Per non tacer di Valletta e d’altri.

I manager come si sa, non sono i proprietari delle imprese, come i fattori non lo erano delle terre, ma intanto – in circostanze in cui è peraltro difficile stabilire chi sia il proprietario –  ne rappresentano la diretta  emanazione, per di più incarnando il massimo dell’ ingiustizia: quella di essere strapagati indipendentemente dall’efficacia dell’apporto produttivo. Aggiungendo al quadro il caos e la debolezza del sindacato, avremo un combinato disposto di latitanze  e  disagi in cui il dàgli al manager risulta essere l’unico modo in cui rabbia e senso d’impotenza possono esprimersi.

Anche Louise e le compagne, beffate da chi prima di spedirle a casa compera loro nuove divise e con il benservito di una liquidazione da fame, decidono, dopo aver esaminato diverse opportunità,  che l’unico investimento proficuo è mettere insieme il denaro per assoldare un killer e uccidere il boss che nel frattempo si è rifugiato in un paradisco fiscale, non si sa se di lista nera o grigia.

Di qui un susseguirsi di avventure incredibili si consumano sulle tracce del manigoldo. Poichè  non solo Michel, il designato killer,  è  piuttosto maldestro e nondimeno  intruppone mentre la sua coadiutrice Louise, non ne parliamo, ma come se non bastasse, in passato fu  donna e meno male – poi si scoprirà –  perchè anche Louise è stato uomo e da cosa può nascere cosa.

Sorta di western sociale secondo le intenzioni di Delépine & Kervern che hanno messo mano al progetto intenzionati a far sì che i più buoni potessero diventare cattivi e  i cattivi fossero degl’irriducibili criminali.

Un film divertente, piacevole, paradossale,   illuminato dalla presenza di Yolande Moreau, sguardo verde di rapinosa bellezza, attrice prediletta da Agnès Varda – quindi non si discute – , tre César, un vero talento al servizio di un personaggio duro, difficile e vagamente  trash. Da vedere senza pensare ad improbabili istigazioni a delinquere con la consapevolezza che non c’è proprorzione tra la tragedia della perdita del lavoro e di prospettive e  il chiudere a chiave un manager per mezza giornata in una stanza, il più delle volte per costringerlo ad ascoltare ragioni e richieste delle quali sembra non importare più a nessuno. Dedicato dai registi – anarchici – alla comunarda Louise Michel

  

Louise Michel è un film di Benoît Delépine, Gustave de Kervern. Con Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Sylvie Van Hiel, Jacqueline Knuysen, Pierrette Broodthaers, Francis Kuntz, Hervé Desinge. Genere Commedia, colore 90 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Fandango

Too good to be true

Too good to be true

Le ricette per far fronte allo sfracello  fanno già parte di un cantilenante repertorio destinato a perdere senso : ammortizzatori, investimenti, ricerca, istruzione, spesa sociale, aiuti alle imprese, infrastrutture, turismo – inoltre questa è , ci viene ricordato da altra cantilena,  una crisi di Sistema che viene da lontano. Ciò dovrebbe significare,  per esempio, che Madoff in un sistema differentemente strutturato, non avrebbe potuto frodare 50 miliardi di dollari ai suoi investitori attraverso un metodo già sperimentato (e sanzionato) in altre circostanze.

Lo avrebbe potuto fermare una rete di regole e di controlli istituzionali ma anche un differente atteggiamento dei risparmiatori che evidentemente mai si sono chiesti che strade prendessero i loro quattrini per avere profitti così ragguardevoli. Se lo avessero fatto, si sarebbero ben presto resi conto che il metodo fondato sul rimborso agli  investitori utilizzando esclusivamente le somme versate da nuovi clienti, era matematicamente  destinato a fallire. Madoff ha truffato molti tra enti fondazioni e singoli risparmiatori ma,  nel corso del tempo, ha anche  fatto sì che altri si arricchissero. Dev’essere stata l’eco del mirabolante risultato a scoraggiare  ogni curiosità  sulla strategia.

 Quando si parla di crisi di sistema si dovrebbe anche aggiungere – o forse  premettere – l’aggettivo culturale. Il problema è lo Stato disse Reagan non più tardi di trent’anni fa. Troppe tasse troppe lungaggini, troppa ingerenza pubblica, in una parola troppe regole. I risultati a distanza di anni, sono sotto gli occhi di tutti. Madoff ha agito impunemente in un contesto in cui la deregulation faceva da padrona ma è stata anche la cultura del facile arricchimento ad alimentare ogni sua impresa.

Anche qui da noi, che  solo in minima parte e solo di sguincio, siamo stati investiti dalla bufera  Madoff, il Governo da qualche tempo menziona il libero mercato palesando l’esigenza di una regolazione.

Salvo poi non tralasciare  sede per esaltare lo spirito decisionista e  tacciare le istanze democratiche di essere il vero freno per un corretto sviluppo. Ma i rimedi economici e finanziari non saranno sufficienti a contrastare la crisi se dovranno intervenire in un contesto privo  del funzionamento delle Camere, della Giustizia,   dell’indipendenza della magistratura , della correttezza dell’Informazione, dell’autorevolezza del sindacato. Tutte istituzioni,in un modo o nell’altro, fatte segno in questo momento, di un attacco frontale da parte del Governo.

Non c’è paese al mondo che intenda affrontare la crisi approntando una riduzione di Democrazia. Noi sì e anche senza il ricorso a terminologie apocalittiche quali l’avvento di un nuovo  regime, è di tutta evidenza che sarà facile approfittare proprio della contingenza per realizzare provvedimenti illiberali che non faranno che aggravare la già precaria situazione.

Il versante buono del nostro provincialismo – il salvifico troppo bello per essere vero –  la cui assenza ha impedito alle vittime di Madoff di tutelarsi, non basterebbe ad arginare la deriva autoritaria che la nuova cultura efficientista sottende e vorrebbe anticipare, che gli squali sono innumerevoli, non solo di razza finanziaria. 

Nell’illustrazione il  Lipstick building, sulla Lexington avenue a Manhattan, sede degli uffici di Madoff

La madre dello sposo

La madre dello sposo

Stamane ho ricevuto un cartoncino  rettangolare :  X e Y sono felici di annunciare il loro matrimonio, Sala Rossa in Campidoglio il giorno tale, RSVP etc etc. Anche se me l’aspettavo – avendo solo da poche ore chiuso con fatica una trattativa/duello, all’ultimo bicchiere di calvados compreso nel prezzo, con un – soi disant –  maître  e una seconda  a colpi di zagare, con un fioraio, roba che Bernocchi mi fa un baffo – l’evento ha prodotto lo stesso un certo effetto, non dico che ho bagnato di lagrime le sparpagliate carte ma insomma…che vogliono ‘sti due da me?

E fu proprio così  che in men che si dica, diventai a tutti gli effetti : la madre dello sposo.