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Mese: Novembre 2010

Zang tumb tumb ( c’est Fini)

Zang tumb tumb ( c’est Fini)

E’ possibile che l’incidente Saint Exupéry metta fine al saccheggio de Le Petite Prince, un bel racconto oramai ridotto dall’abuso a deposito di Massime adattabili a qualsiasi tipo di impresa. Se così fosse, sarebbe già un risultato.


Ad ogni buon conto, la Destra che vuol essere laica, repubblicana e guardare ai modelli europei,  esordisce a Perugia col Deborah’s theme da Once upon a time in America, si commuove fino alle lacrime alla lettura del Manifesto dei Valori, scatta in piedi e applaude alla richiesta di dimissioni ( del governo),  conviene su di un’analisi  giustamente apocalittica dello Stato delle Cose, del quale i crolli di Pompei, sarebbero una compiuta – e fin troppo ovvia – rappresentazione plastica . Poi di suggestione in metafora in emozione arriva al dunque :




Oltre Berlusconi ! ( sarà questa la sintesi più futurista dell’intero convegno)


Oltre Berlusconi ma senza l’apporto dell’antiberlusconismo classico. Al più con Casini. Seguono nelle retrovie congetture di scenari con possibili formule, tutte in stile Prima Repubblica, da consegnare alle edizioni del mattino assieme alle note di colore. Mai vista una Destra così. Giustamente va raccontata.


Certo che Berlusconi non si dimetterà solo perchè glielo chiede una pur volitiva platea. Ergo, tra fedeltà al patto con gli elettori dei futuristi e pervicace attaccamento a Palazzo dell’autocrate, siamo punto e daccapo. Più che col Cerino di Bersani, col Logoramento e la Paralisi dell’intero Paese.

E che, vuoi far cadere il governo sulla Legge di Stabilità? (il gioco può durare all’infinito con altre leggi tutte istituzionalmente significative)


E pensare che da più parti avvertono che la nascita di Futuro e Libertà segna la fine di un’ esperienza, di una fase, addirittura della Seconda Repubblica. Ma che cos’è uno strappo irreversibile se non produce conseguenze di rilievo?

La vera frattura è tra il chiasso dell’annuncio e la modestia delle proposte che ne sono scaturite. Meglio mettere a riposo le Petite Prince per una ventina d’anni ancora, chè infondere negli altri la nostalgia del mare aperto non sollecita in automatico la voglia di mettersi a costruire le barche per la traversata. Ci vuole passione per l’Impresa, l’idea di una meta e coraggio. Esattamente quel che, al momento,  sembra mancare ai futuristi,  più interessati ai tatticismi che a rompere col passato.

Marcello

Marcello

I significati sono tanti. Il cuore del film tradotto in parole povere eccolo qua :


Vogliamo avere un po’ più di coraggio? Vogliamo piantarla con le fregnacce, le illusioni sbagliate, i qualunquismi, le passioni sterili? E’ tutto rotto. Non crediamo più a niente. E allora?


Tutto questo detto virilmente, senza nostalgie . Cosa può fare Marcello, il protagonista del film? In questa domanda è già implicita una risposta : può guardarsi intorno con occhio asciutto e con amore.


E con una certa misura di divertimento nel vivere. In fondo è lo stesso discorso di altri miei film. Qui è più chiaro, diretto, non ci sono personaggi favolosi o tipi eccezionali. Altre volte il mio rapporto con l’uomo poteva essere visionario o discutibile.


Qui Marcello è un uomo vero, un tipo come tutti.


Tullio Kezich Noi che abbiamo fatto La dolce vita Sellerio 2009 ( intervista a Federico Fellini)

Abandonnez les vieilles methodes !

Abandonnez les vieilles methodes !

Vince il film più eccentrico  – E povero, altro che sperticarsi  della critica criticante  con lo spleeeeeeeeeeendido bianco e nero. Non c’erano quattrini per il colore e basta –  più macabro e irriverente e, checchè se ne dica, lontano dall’eutanasia intesa come nobile tema di dibattito o riflessione.


Qui si può desiderare la morte se si è malati terminali ma anche  cronicamente depresssi, falliti, ipocondraici o più semplicemente perchè si è perduta la voce.


A tutti il Dr Kruger con la sua lussuosa struttura ospedaliera in mezzo ai boschi, offre assistenza medico – psichiatrica nel trapasso. Salvo che le cose non prendano una piega diversa causando intoppi nella programmazione del Finale.


La morte, com’è stato scritto, non tollera costrizioni e vuol per forza colpire a caso? Bah. Preferisco la lettura del regista Olias Barco –  entusiasta, un raggio di sole –  che ritirando il premio ha esclamato ” Un film punk, votato da una giuria punk !”.


E in effetti ho sempre pensato anch’io che l’Aspesi, la Sviblova, Castellitto ma soprattutto Edgar Reitz….


(Onore al merito di Zazie de Paris con la sua memorabile Marsigliese)

Kill Me Please è un film di Olias Barco del 2010, con Aurélien Recoing, Benoît Poelvoorde, Saul Rubinek, Virginie Efira, Bouli Lanners, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Zazie De Paris, Muriel Bersy, Nicolas Buysse. Prodotto in Francia, Belgio. Durata: 95 minuti.


A tale of sex, money, genius, and betrayal

A tale of sex, money, genius, and betrayal

Titolo e sottotitolo del libro di Ben Mezrich erano già perfetti, sembravano studiati apposta per il cinema. Soprattutto per i trailers :


The accidental Billionaire . The founding of Facebook. A tale of sex, money, genius, and betrayal


Alla fine però ha prevalso il meno sensazionale The social network, mentre gl’ingredienti classici della narrazione per tutti i gusti, sono stati sostituiti  da You don’t get to 500 million friends without making a few enemies, tagline che nei manifesti  si sovrappone all’ aria caruccetta e preoccupata di Jesse Eisenberg, uno che più Zuckenberg di così, non avrebbe potuto essere.


Non a caso il vero Zuckenberg, dopo un primo interesse, ha snobbato l’impresa. Troppo romanzata per i suoi gusti. Del resto uno che l’ha sfangata con un semplice esborso ad un processo sui diritti d’autore, ha bisogno di favorevoli certezze, tesi definite, mentre qui il regista sostiene di aver costruito l’impalcatura  del film addirittura su Rashomon, modello affascinante ma che inevitabilmente rivitalizza i torti e le ragioni messi a tacere dalla Penale.

Detto questo, i modelli, sempre secondo regista, non si fermano a Kurosawa, ci sono anche Orson Welles di Quarto potere ,  Animal House e il Grande Gatsby .


La storia dunque c’è, ricca e articolata  e molto american way, tra Harvard, Silicon Valley e studi legali, dove alla faccia del network sociale si confrontano antichi e persistenti rapporti gerarchici e  di classe.


Resta un  mistero : come è potuto accadere che tra un autore, Aaron Sorkin, mago di sceneggiature  molto dialogate  e  un regista David Fincher, artefice di film assai movimentati, si potesse determinare un’amalgama così ben riuscita, ma questo è esattamente il segreto del film  : ritmo frenetico  – si raccomanda il massimo della concentrazione da parte dello spettatore –  sostenuto brillantemente dalla colonna sonora dei Nine Inch Nails, e dialoghi taglienti.


Spunti a volontà, più o meno scontati : dal nerd che inventa la socializzazione a livello planetario – il meno interessante – ad un veritiero ritratto  dell’America – Bush jr, anno 2004  – isterica, vagamente misogina, sempre impegnata in un conflitto ( nel caso, quello bosniaco).


Alla fine un’idea si fa strada, e cioè che da un virtuale concorso di bellezza per studentesse di Harvard, a Facebook, il passo sia meno breve di quel che voglia sembrare.




The Social Network è un film di David Fincher del 2010, con Jesse Eisenberg, Justin Timberlake, Joseph Mazzello, Andrew Garfield, Rashida Jones, Brenda Song, Rooney Mara, Bryan Barter, Joseph Mazzello, Brenda Song. Prodotto in USA. Durata: 120 minuti. Distribuito in Italia da Sony Pictures Releasing Italia






Libera iniziativa

Libera iniziativa

La prima perla del Festival si deve a John Landis, presente  nella sezione Extra –  dunque per imperscrutabili  ragioni, non in concorso  – con una black horror medical gotico demenzial  – le definizioni si sprecano  ma servono tutte – comedy :  Burke & Hare, provocatorio racconto tra storia, letteratura ( Stevenson) cinema d’antàn e  leggenda, ambientato ad Edimburgo e da quelle parti,  ancor oggi,  doverosamente sfruttato a fini turistici.


Siamo nel XIX secolo, una coppia di balordi,  Burke & Hare, decide la riconversione della propria zoppicante Impresa. Da piccoli truffatori a mercanti di cadaveri per indagini scientifiche. L’Attività viene avviata con successo e finchè si tratta di disseppellire e commercializzare, tutto fila liscio, quando però il numero degli occasionali  defunti immessi sul mercato, si rivelerà insufficiente  a coprire la crescente  Domanda della Facoltà di Medicina, si dovrà necessariamente incrementare l’Offerta passando alla Produzione mirata, senza più lasciare al caso l’Approvvigionamento.



Nascita del capitalismo vorace, origine di ogni efferatezza con relativa  presa per i fondelli della libera iniziativa – la produzione è inglese, gli studios non avrebbero mai permesso tanto –  senza che manchino epifanie improvvise di falci e martelli minacciosamente branditi oltre che di un ben assestato cameo con Cristopher Lee.


Il tutto inserito in ambientazione vagamente dickensiana, versante più sordido, fatta di perfette ricostruzioni, bei costumi  irresistibili gag e citazioni letterarie in quantità. Alcune evidenti, altre meno decifrabili  e ciò per espressa volontà del regista che desidera un pubblico attivamente impegnato nella ricerca di rappel a sconosciuti poeti britannici, mentre, candido e sfrontato, si dichiara poco incline agl’imperativi  del box office.


Classico cocktail alla Landis insomma, macabro e raffinato, divertente e in qualche caso sin romantico, in cui l’intenzione di rendere meno orrido l’Orrido, si avvale di un modo di fare cinema naturalmente sovversivo in cui contemporaneamente accade di tutto e quasi niente è come sembra.


Burke and Hare è un film di John Landis del 2010, con Simon Pegg, Andy Serkis, Isla Fisher, Tom Wilkinson, Tim Curry, Jessica Hynes, Hugh Bonneville, David Schofield, Georgia King, Bill Bailey. Prodotto in Gran Bretagna. Distribuito in Italia da Archibald Enterprise Film.