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Anno: 2011

Te lo danno loro il western (Wayne chi?)

Te lo danno loro il western (Wayne chi?)

The true Grit. Ed è chiaro fin da subito che il vero Grinta non è quello che  insegue  i fuorilegge al galoppo e con le redini tra i denti perchè ha le mani occupate (una dal fucile, l’altra dalla pistola)

Come è altrettanto chiaro che il  vero, l’autentico Grinta lo hanno realizzato  loro, i Coen, ricostruendo il film sul romanzo di Charles Portis  True Grit e non sui pur noti Precedenti.


E infatti, che rottura il Remake. Con tutti quegli assilli filologici,  i richiami,  i paragoni, senza poi contare il rischio concreto di farsi mettere i piedi in testa dai Monumenti (che nel caso sarebbero stati parecchi).

Così facendo si sarebbe finito per privilegiare lo sfondo, celebrando il  risaputo a tutto scapito della storia. E invece no.

Dunque via il Grinta e via John Wayne  per far largo al genere western dei momenti migliori, cioè senza redenzioni, lezioni morali, burberi benefici e donnette troppo petulanti per essere vere.


Qui abbiamo la storia di Mattie Ross, ragazzina che vuole Giustizia con tale infantile determinazione da essere lei The True Grit e non Rooster Gogburn che in fondo è solo un vecchio sceriffo con la benda, tutto carneficine ed efferatezze.

Il resto procede nella perfezione marcata Coen. Belle immagini, attori ineccepibili, musica all’altezza, frasi memorabili già sulla bocca di tutti. Il film non in concorso, ha aperto la Berlinale ma nonostante le nominations, nemmeno un Oscar.






Il grinta è un film di Ethan Coen, Joel Coen del 2010, con Hailee Steinfeld, Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Dakin Matthews, Jarlath Conroy, Paul Rae, Domhnall Gleeson, Leon Russom. Prodotto in USA. Durata: 110 minuti. Distribuito in Italia da Universal Pictures

Morire per Tripoli

Morire per Tripoli

Sanzioni e mandati di cattura internazionali a parte – siamo quasi alle ipotesi di scuola –  la sensazione  è che l’Occidente non sappia bene a quali orientamenti affidarsi mentre, con esiti incerti,   si combatte intorno ai terminali petroliferi di Ras Lanuf e Zawiyh (e Gheddafi sembra riguadagnare terreno).

Nemmeno i cronisti presenti sul campo, riescono a valutare se, per esempio,  i festeggiamenti di stamane, preceduti da un’ondata di violenze inaudite, a Tripoli siano pura propaganda o un autentico segnale di vittoria dei lealisti.

E anche le notizie sembrano avere peso differente a seconda dei Paesi in cui vengono diramate :  ieri Obama, qui da noi, era dato per interventista assai più di quanto non lo  fosse per il resto d’Europa e l’insediamento  del  National Transitional Temporary Council in Libya, praticamente ignorato dalla nostra Informazione trovava – giustamente, secondo me –   differente rilievo in Francia o in Gran Bretagna.



Nell’epoca in cui nulla dovrebbe sfuggire grazie  alle sofisticate dotazioni delle intelligence e ai mezzi di comunicazione, della questione libica s’ignora quasi tutto. Sono stati sufficienti una società ancora organizzata in tribù ed una milizia di ribelli coraggiosi ma equipaggiati alla meglio e privi di rappresentatività oltre che di una vera e propria  catena di comando, a far saltare i parametri di lettura e dunque a rendere ancora più problematico l’intervento.


In realtà a nessuno è dato sapere chi si candidi a sostituire Gheddafi. E se in Tunisia ed Egitto  la transizione può essere garantita dall’esercito, non altrettanto in Libia dove i militari, pur passati, almeno in parte, con gli insorti,  hanno peso ed organizzazione differenti.

All’epoca dei furori neocon, delle guerre sante e della democrazia d’esportazione, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori di Bush and co era lo stigma della Vecchia Europa, più incline all’uso della diplomazia che a quello dell’intervento militare.



E vecchi lo sembriamo sul serio al cospetto di queste masse di venticinque – trentenni (e anche meno)  che reclamano democrazia e che invece ci ostiniamo a guardare con gli occhi sospettosi del fallimento neocon. Proprio ora che l’uso della della forza risulterebbe inefficace – una delle poche cose che conosciamo è la tipologia e la quantità delle armi che, nel corso del tempo, abbiamo venduto ai libici – forse vale la pena di concentrare l’impegno sui negoziati. Ben sapendo quanto Gheddafi sia poco disposto a cedere sul terreno dell’abbandono del potere e tuttavia confidando nel fatto che ad un uomo braccato dentro e fuori del proprio paese, forse un’ onorevole via d’uscita dall’impasse, potrebbe interessare.


O così o la Libia si candida ad essere l’ennesima zona di guerra in Africa. Viste le grandi potenzialità e il sacrificio in termini di vite umane, sarebbe un delitto non tentare.





la foto  del miliziano è della Reuters da Libération

Because I have a right to be heard. I have a voice!

Because I have a right to be heard. I have a voice!

Quattro Oscar per The King’s speech nel momento in cui il rispetto per il ruolo istituzionale passa  – come da recenti convegni su Etica Imposta & Chiffon – per Ipocrisia, non possono che capitare a proposito. Così la storia di Re Giorgio VI, sovrano controvoglia, soffocato da auguste quanto ingombranti parentele, da sempre afflitto da problemi di inadeguatezza e menomato per via di un’ infanzia  e di un contesto che avrebbero reso balbuzienti pure  le pietre, è la storia della volontà precisa di incarnare al meglio, cioè con onore e dignità, quel ruolo.


If I am King, where is my power? Can I declare war? Form a government? Levy a tax? No! And yet I am the seat of all authority because they think that when I speak, I speak for them.



Tratto dalla storia vera del logopedista australiano Logue e del singolare percorso terapeutico cui fu sottoposto re Giorgio VI ed autorizzato, quand’era ancora in vita, dalla Regina madre (alla quale sarebbe molto piaciuta la giarrettiera che Helena Bonham Carter ha indossato per la cerimonia di premiazione) Il discorso del re è un film di Tom Hooper del 2010, con Colin Firth, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Michael Gambon, Geoffrey Rush, Derek Jacobi, Calum Gittins, Jennifer Ehle, Claire Bloom, Eve Best. Prodotto in Gran Bretagna, Australia. Durata: 118 minuti. Distribuito in Italia da Eagle Pictures

( la foto qui sopra è della Kika Press)

Bab el-Azizia

Bab el-Azizia

Da liberatore della patria – ed era vero –  a campione dell’antimperialismo – per chi ci ha creduto e sono molti –  a  genocida, la parabola di Gheddafi si snoda lungo quarant’anni di cui gli ultimi  – dalle twin towers in poi –   impiegati ad accreditarsi presso la comunità internazionale come forte alleato nella guerra internazionale contro il terrorismo (Tony Blair) . Condannando senza riserve Al Qaeda, rinunziando al programma chimico nucleare quando cade Saddam, ammettendo le proprie responsabilità per l’attentato di Lockerbie, il Muammar piazza accordi commerciali per ogni dove e in ogni dove viene ricevuto con i riguardi dovuti ai Capi di Stato.Tutti sapevano chi davvero fosse Gheddafi, conoscevano l’illiberalità e la violenza del suo regime, a nessuno può essere sfuggito il suo folle stile di vita.


Nessuna meraviglia dunque per l’estrema timidezza con cui il mondo occidentale si è apprestato a condannarne –  un pensiero agli affari e un altro al grattacapo di inevitabili, cospicue migrazioni –  le ultime imprese. Ecco perchè ci raccomandano di pensare al dopo ventilando possibili infiltrazioni di Al Qaeda dalla Cirenaica oramai nelle mani degl’insorti ovvero spacciando un’ evidente questione umanitaria per una pericolosa invasione di massa sulle nostre coste.


Le rovine della residenza mai ricostruita di Bab el Azizia, monito all’Occidente e simbolo dell’orgoglio nazionale, sono un terribile sfondo per i discorsi del Muammar, da poco ritornato cane pazzo, e che invece è un tiranno cui sono rimasti solo i fedelissimi, i mercenari, i ricatti, un’ingente fortuna e la follia.


Tra le righe, accanto alla riluttanza internazionale, come sempre capita, comincia a serpeggiare un certo qual desiderio interventista, No fly zone viene chiamato nel linguaggio talvolta ambiguo delle risoluzioni ONU. Interdizione dello spazio di volo, il che significa, tra le altre cose, sorveglianza armata del medesimo.Obama, giustamente, ha detto che, se del caso, dovremmo provvedere noi : Italia e Francia. Speriamo si trovino altre vie.