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Mese: Giugno 2016

Perchè non posso credere ai miraggi

Perchè non posso credere ai miraggi

Campi

 

Poiché considero il populismo una malattia grave, i predicatori un cancro e le pari opportunità indispensabili allo sviluppo di una società civile, non ho potuto votare a Roma la prima sindaca, giovane  donna di successo  che oltretutto annovera tra le sue peculiarità, quella di essere esponente di un movimento che ha contribuito con pensieri, parole, opere ed omissioni non poco ad imbarbarire  il già sfibrato dibattito politico nazionale e cittadino.

Mi sarebbe piaciuto esultare ma con buona pace del mio passato di belle speranze e qualche battaglia, le donne che raggiungono postazioni di rilievo mi commuovono solo a patto di un curriculum significativo e una granitica fede nella propria autonomia.

Candidatura esemplare, esito di un’operazione di marketing elettorale volta alla ricerca di figure gradevoli e rassicuranti, docili al punto da poter esigere firme in calce a contratti di fedeltà alla Causa, al Movimento e alla Casaleggio Associati, Virginia non poteva rispondere alle  istanze cui tengo di più. Anzi i passaggi della sua vicenda, emblematica di quell’arroganza maschile che, messa all’opera, devasta più di dieci bombe d’acqua con esondazione del Tevere e dell’Aniene, hanno contribuito molto a indirizzare il mio voto altrove.

Né avrebbe potuto convincermi  la lettura dei  suggestivi undici punti  programmatici  fatti di biciclette, pannolini da lavare, gran bevute dell’acqua del rubinetto e baratti (in ogni caso privi del  come incentivare le attività contenute in ciascuno dei capisaldi di questo incredibile e glorioso ritorno al secolo scorso).

 

Non parliamo poi della sezione relativa alle cospicue pendenze comunali – il famoso Debito –  di cui  risulta a tutt’oggi  oscura la modalità di rinegoziazione, visto che la stessa non è, in massima parte, nelle disponibilità del sindaco di Roma.

 

Così la favola bella, già appannata ai tempi della proposta del sindaco Marino per l’assessorato alla sicurezza, in un primo momento accettata e poi sconsigliata alla Raggi dalla Casaleggio, ha continuato la sua parabola discendente nel corso di una campagna elettorale molto rivolta ad accontentare tutti : autisti dei mezzi pubblici, operatori della nettezza urbana, tassisti, dipendenti comunali, le di loro famiglie e i di loro sindacati (specie se di destra) difesi nel corso di scioperi volti particolarmente a far intendere chi comanda a Roma e ai quali si sono promesse ristrutturazioni aziendali senza torcere un capello ad alcuno.Tutta gente questa che, rinfrancata, è poi corsa a rimpinguare il  composito bacino elettorale delle Stelle.

E a Roma, si sa, dai speranza alle corporazioni e hai bello che vinto il Campidoglio.

Che dire in questo paradiso di mistificazioni,di gnaolamenti,di tempistiche missive coniugali e della retorica commossa della ragazza (a trentotto anni?) chesièfattadase, che pende a sinistra col mercatino del riuso ma si è formata  in studi legali contigui alla destra. Quelli dove entri solo se sei fidata.E affidabile.? (Alla faccia dell’anti-sistema)

Niente, se non che pur comprendendo l’elettore che  preferisce affidarsi al sogno (ne abbiamo passate..) piuttosto che alla razionalità, devo ammettere che, a queste condizioni, nemmeno la speranza mi è concessa.Salvo quella che questa tiritera moralistica duri il meno possibile .

Magra ma unica consolazione.

 

 

 

 

Rope-a-dope (il più grande)

Rope-a-dope (il più grande)

ali defeating williams

Una volta alle corde puoi ancora scegliere di vincere. Anzi, alle corde puoi  decidere di cacciartici da solo. Per vincere.

La tecnica di sfiancare l’avversario – più forte,in quel caso,e più giovane – da una posizione solo apparentemente sfavorevole è raccontata nel dettaglio da Normal Mailer nel suo bellissimo La sfida, cronaca dell’ incontro di Kinshasa , significativo per il contesto in cui avvenne,  ma soprattutto per il confronto tra esponenti di differenti visioni del mondo,  o se si preferisce,  del diverso modo di essere  negri a questo mondo.

Alì vs Foreman. Non a caso.

Non ci era voluto molto ad Alì per diventare il simbolo del riscatto dell’intero continente africano, al povero Foreman, negro pure lui,  non rimaneva altro se non il ruolo di chi ce l’ha fatta ma s’è in qualche modo adeguato al mondo dei bianchi. L’urlo ossessivo della folla Alì boma ye  (Alì uccidilo) può essere utile a definire il clima in cui avvenne l’incontro.

Come si conviene ad ogni autentica leggenda, intorno ad Alì è stato prodotto cospicuo materiale, fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola tra aneddoti, virgolettati, film, documentari, libri, articoli di giornale.

La sua lezione più interessante tuttavia resta quella di Kinshasa :  il  rope-a-dope,  abilità psicologico-atletica che  mira ad indurre l’avversario in errore, schivandone i colpi. Costretto a colpire l’aria, l’antagonista perde forza, si disorienta e infine cede.

La boxe non è solitamente uno sport per signore  ma il martellante entusiasmo con cui la maschietteria di casa aveva ingaggiato la battaglia per assistere all’incontro con Frazier al Madison Square Garden – nel 1974 ci si spostava con meno disinvoltura di adesso – e gli infiniti racconti  del rientro convinsero anche noi femmine che c’era in quell’Alì qualcosa di fuori dal comune.Il che,oltre la boxe, fu vero per il resto dei suoi giorni.E con ogni probabilità dei nostri.

 

(in alto l’epilogo dell’incontro Alì vs Williams del 1966 in una foto famosa )