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Anno: 2019

Agnès per sempre

Agnès per sempre

Che luce. Ma questa Bellezza la si deve immaginare sullo sfondo del cielo e del mare di Cannes, sparsa nei mille manifesti che da qui a qualche giorno, invaderanno la città.

Dunque Agnès Varda, proprio lei, in equilibrio sulle spalle dell’operatore. Siamo nel 1955, il Cartellone del Festival quell’anno è un curioso minestrone, si va da Gli amanti crocifissi a Marty vita da timido (che vincerà) a La Valle dell’Eden passando per il Segno di Venere e Marcellino pane e vino.

Il film di Agnès è titolato La pointe courte, non è in Concorso e nemmeno Fuori, sarà presentato ai margini della manifestazione in un luogo defilato. Scritto e diretto da Agnès stessa con l’ausilio del montaggio d’eccezione di Alain Resnais e interpretato da Philippe Noiret e Silvia Monfort. Un piccolo gioiello che anticipa la Nouvelle Vague di almeno cinque anni.

Il manifesto di Cannes 2019 per ricordare il Cinema, sempre giovane, innovativo e audace di quella ragazza che dedicando la Palma d’Onore del 2015, A tutti i cineasti coraggiosi e creativi, quelli che creano il cinema originale, che si tratti di finzione o documentario, che non sono sotto i riflettori, ma che continuano, tenne a precisare che il premio. più che all’Onore era da intendersi alla Resistenza (e dunque al coraggio, la sua più qualificante dote d’Artista)

Fight Club

Fight Club

Nei giorni scorsi un, chiamiamolo vivace, dibattito su Twitter mi ha fatto pensare a questa foto divertente in cui un Esausto Anonimo, forse provato da analoga esperienza social , invocava la Violenza, quella vera, come miglior soluzione di certe controversie verbali.

Certo una misura paradossale ma, fatti alla mano, nemmeno troppo. Dunque, ecco questi fatti : scrittrice e giornalista, peraltro di impeccabile reputazione se si pensa ai reportage a bordo delle navi delle ONG o ai progetti scolastici cui collabora, così commenta l’episodio di Torre Maura :


Per carità, il pischello di Torre Maura, che gli vuoi dire, coraggioso… ma che uno a quell’età non sappia parlare in italiano non vi fa impressione?

Più che altro una constatazione, equivocabile, forse detta male – successivamente spiegherà – ma pur sempre constatazione, atteso che in effetti Simone, il pischello di cui trattasi, la tirata contro l’energumeno se l’era fatta tutta in romanesco.

Non l’avesse mai scritto. Per quattro interi giorni le è piovuta addosso una tale teoria di insulti, cattiverie e divagazioni sul tema – senza che ne fosse mai sfiorato il merito – da indurmi a leggere e ri-leggere il tweet, alle volte mi fosse sfuggito un qualche importante svarione lesivo della dignità etcetc

Il thread consta di circa cinquemila interventi che si potrebbero così catalogare :

Tesi a discarico prediletta dai partecipanti : la supponenza degli intellettuali de sinistra che marcando le infinite distanze con la ggente comune ci fa perdere credibilità e voti, con annessi corollari di terrazze e salotti manco fossero, tutti questi intellettuali, esponenti della famiglia Bernstein.

A seguire, definizione del contesto borgataro che, secondo alcuni, ai fini della comunicazione efficace, richiederebbe l’uso della lingua del luogo. E da qui, manco a dirlo, il manifestarsi improvviso di una specie di sotto-discussione tra sostenitori e detrattori del romanesco che non ha risparmiato nemmeno l’ortografia con gravi dilemmi quali : gli infiniti verbali ossitoni  si accentano o si apostrofano? (insulti feroci da una parte e dall’altra anche se sarebbe bastato mettere mano a uno dei sonetti del Belli)

Immancabile poi, il ricorso a Pasolini cui non è dato riposare in pace soprattutto quando si parla di borgate e periferie (le sue erano quelle di oltre cinquant’anni fa…ma che vordì il Vate è il Vate e il quanto ce manca è d’obbligo)

Ma quel che meno si capisce è l’insulto personale ai fini dialettici. Ovvero la delegittimazione a mezzo parole grosse. Sconosciuti attingono dalla patologia psichiatrica il meglio della terminologia (psicotico, schizofrenico, monomaniaco, i più utilizzati) per dare addosso ad altrettanti sconosciuti al solo scopo di… umiliarli? Metterli a tacere? Averne ragione con poca spesa?

Ove, poi, l’operazione non dovesse riuscire, c’è sempre l’aberrante notazione sull’aspetto esteriore : cessa per le signore, sgorbio per i signori. Come se per scrivere i libri o i tweet fosse indispensabile la forma fisica di Charlize Theron o quella di Brad Pitt.

Cosa abbia a che fare tutto questo con Simone e Torre Maura ma soprattutto con una conversazione normale, è un mistero. Non resta che concludere che questi luoghi del presunto scambio offrano, tra le altre, una buona occasione di sfogo per frustrazioni assortite (attingo anch’io dal repertorio psy). A questo punto la proposta dell’Anonimo di cui sopra non appare affatto peregrina, se non altro ha il pregio dell’invito ad essere autenticamente violenti rischiando l’incolumità.

E dire che la Signora Elena Stancanelli, così si chiama la scrittrice e giornalista, aveva precisato così bene il senso del suo tweet.

Non lo capite che quel ragazzo verrà schiacciato dal mondo se non trova parole vere, comprensibili fuori dal suo quartiere? La spocchia è di chi crede che l’ignoranza sia fica, potente, gagliarda .

Che dire. Non fa una piega. La complessità dell’argomento non può richiedere l’uso dell’accetta. Quanto a me, l’episodio di Simone arrivava dopo una stagione di teste bianche nelle iniziative o in fila ai gazebo delle Primarie che avevo interpretato come una sorta di segnale di estinzione. Non un gran momento.

Ecco perché sarebbe doveroso augurare a questo ragazzo e ai suoi compagni il Meglio. E il Meglio per uno della sua condizione è l’Apprendimento pena l’inefficacia di quel che giustamente ha detto e persino del suo indubbio coraggio. E ciò qualunque cosa pensino il Belli, Pasolini e Tom Wolfe, buonanime vorticanti nelle rispettive tombe ad ogni tweet.

Evviva Rosa Maria, evviva Lorella

Evviva Rosa Maria, evviva Lorella

Sostiene la sempre infervorata Sorella d’Italia Meloni, quella di Dio, Patria e Famiglia, che le sue scelte private sono fatti, per l’appunto, suoi. E almeno su questo le si dovrebbe dare ragione, salvo che nemmeno troppo tra le pieghe del futuro programma sventolato dalla tribuna internazionale Pro famiglia e contro tutto il Resto, ci fosse di che farsi parecchio i fatti degli altri.

Lei, la Sorella, s’è apparecchiata una famiglia di quelle non precisamente gradite al Partito e al Convegno ma siccome non chiede nulla allo Stato pensa di salvare faccia e coerenza con la minima spesa del privato che non è pubblico. Resta inteso che Meloni non ha bisogno di chiedere alcunché, essendo beneficiaria di norme del Diritto di Famiglia licenziato anni fa (e non propriamente agevolato dalla parte politica di riferimento) che hanno consentito, sposati o meno, il riconoscimento del figlio da parte di entrambi i genitori con tutto quel che ne consegue.

Allo stesso modo, in epoche differenti, le fu guadagnato il diritto non di abortire o di divorziare per forza, ma di SCEGLIERE in piena libertà. Non poco per una esagitata sventolatrice dei fatti miei sono miei.

Per giorni le Sorelle, i Fratelli e i loro sodali ci hanno obbligato ad un umiliante dibattito sul significato di naturale o tradizionale riferito alla famiglia, sulle eventuali terapie mediche da somministrare a omosessuali e trans, sugli embrioni che diventano bambini vestiti da marinaretti due secondi dopo il concepimento e infine sull’egoismo di chi non vuol avere figli nemmeno da dare in adozione una volta nati, il tutto sempre con i soliti toni aggressivi, violenti, ricattatori e sanguinolenti degli integralisti fautori dello Stato Etico e impiccione . Medioevo è stato detto. Magari fosse.

Lasciateci vivere come noi lasciamo vivere voi, non obbligateci a parlare d’Amore in sedi inopportune manco fossimo tutti diventati lettori dei libri scritti peggio.Chi ha mai toccato le vostre famiglie, le vostre identità, le vostre convinzioni? Dov’è questo attacco furibondo alle vostre beatissime case?

Nella foto due recenti elegantissime spose appena uscite dall’incrocio di spade del picchetto d’onore. Con la benedizione della Marina Militare Italiana e della Ministra della Difesa (una volta tanto ci indovina pure lei).Ho scelto l’immagine per questa allegria medagliata e festante che ci arriva alla fine di un insopportabile e cupo periodo di feti-portachiave.

Auguri di cuore, belle mie.

Varda par Agnès

Varda par Agnès


«Il problema non è girare, il problema è abituarsi a guardare attraverso l’inquadratura di una macchina da presa, ovvero quello che sarà un’immagine… Potete fare esperienza ovunque. La vita si mette in scena da sola. È questo che bisogna osservare»

Agnès ci lascia una cospicua eredità di film e di illuminanti considerazioni sul cinema. Pioniera e innovatrice dal primo all’ultimo fotogramma sempre realizzato nella ferma convinzione che il cinema fosse notre défense contre un monde en chaos.

La parte giusta della storia (a moral choice)

La parte giusta della storia (a moral choice)

Mandatory Credit: Photo by Rob Latour/REX/Shutterstock (10112915fq) Spike Lee – Adapted Screenplay – “BlacKkKlansman?”91st Annual Academy Awards, Show, Los Angeles, USA – 24 Feb 2019

Vince The green book ben confezionato prodotto di luoghi comuni e morale della favola su come vanno le cose tra un driver bianco volgare e un nero artista raffinato, non un brutto film ma con il difetto di non mettere a profitto a sufficienza il rovesciamento dei ruoli tradizionali, riuscendo ad essere nel contempo un po’ risaputo.

Un classico Oscar insomma, cosa che giustamente ha indispettito il caro Spike, ben lieto della seppur consolatoria miglior sceneggiatura del suo BlaKkKlansman ma polemico come solo lui sa essere e non solo con le scelte dell’Academy. Ogni volta che c’è qualcuno che guida io perdo. E infatti, che sia il nero Hoke Colburn a scarrozzare Daisy nel 1990 o il bianco Toni Lip a portare in tourné Don Shirley nel 2019, il risultato non cambia e Spike perde in entrambi i casi l’occasione.

Si rifà animando palco e platea con un discorso di ringraziamento dalla chiusa travolgente :
The 2020 presidential election is around the corner. Let’s all mobilize, let’s all be on the right side of history. Make the moral choice between love versus hate,” he said. “Let’s do the right thing! You know I had to get that in there.” Non nomina direttamente Trump ma pochi minuti dopo è Trump a nominare lui tacciandolo di razzismo e ricordando quanto di buono e bello abbia realizzato la sua presidenza per la gente di colore (sempre all’erta stanno su internet questi presidenti e non parliamo dei ministri)

Quanto al resto : togli il conduttore per via di certe battute omofobe e silenzia il regista per ragioni analoghe, taglia qua e censura di là, della cerimonia più attesa non restano che le mise, ovvero le ciabatte Arizona di Frances McDormand indossate su sontuoso Valentino Haute Couture e spiegate dal direttore creativo Piccioli come un delicato contrasto e un’inclusiva testimonianza d’inclusività (che vor dì?).

E pensare che ogni anno gli 8.500 membri dell’Academy si danno un gran da fare tra complicati metodi di selezioni e votazioni in più riprese cui applicare sistemi prima maggioritari, poi proporzionali con tanto di soglie di sbarramento e distribuzione dei resti, un sistema da piccolo Stato che tiene alla democrazia ma così macchinoso da richiedere ogni anno l’intervento di una multinazionale di revisione dei conti per le operazioni di spoglio e conteggio. Ovviamente non può essere un metodo complicato di attribuzione dei voti a garantire la qualità.

Senza considerare il tentativo dell’estate scorsa di avvicinarsi al popolo (planetaria fissazione) istituendo la categoria outstanding achievement in popular film . Poi, vuoi le immancabili polemiche, vuoi il fatto che non s’erano ben capiti i criteri che avrebbero dovuto rendere popular un film e vista la già cospicua presenza nelle cinquine di ogni edizione dei vari Titanic e Compagnie dell’anello, non se ne è fatto niente.

Resta comunque inteso che nonostante tutto, ogni anno qualcosa di buono e di bello viene anche premiato, vedi i magnifici Roma di Cuaròn o The Favourite di Lanthimos o If Beale Street Could Talk tratto dall’omonimo libro di James Baldwin. (accorrete numerosi, possibilmente al cinema). Così, tanto per dire che tentativi non ricattatori e convenzionali di trattare temi come il razzismo ovvero il raccontare un intero Paese attraverso la piccola storia di una domestica, siano possibili. Forse l’ autenticamente popolare sta proprio nel dire le cose che si conoscono bene, con naturalezza e senza bisogno di ricorrere a schemi precotti. Istituendo nuove ed apposite sezioni si ottiene solo di aggiungere complicazioni alla confusione.

Infine delusione ( tutti dicono) per Glenn Close pronta e impacchettata per ricevere la statuetta ma che purtroppo si è portata sulle spalle tutta sola il peso di una storia ( The Wife), non all’altezza del suo talento (dietro un grande uomo bla bla c’è una grande donna, alle volte persino al posto di un grande etc… ma non si stancano mai di rimescolare la stessa eterna zuppa?)