Because I have a right to be heard. I have a voice!

Because I have a right to be heard. I have a voice!

Quattro Oscar per The King’s speech nel momento in cui il rispetto per il ruolo istituzionale passa  – come da recenti convegni su Etica Imposta & Chiffon – per Ipocrisia, non possono che capitare a proposito. Così la storia di Re Giorgio VI, sovrano controvoglia, soffocato da auguste quanto ingombranti parentele, da sempre afflitto da problemi di inadeguatezza e menomato per via di un’ infanzia  e di un contesto che avrebbero reso balbuzienti pure  le pietre, è la storia della volontà precisa di incarnare al meglio, cioè con onore e dignità, quel ruolo.


If I am King, where is my power? Can I declare war? Form a government? Levy a tax? No! And yet I am the seat of all authority because they think that when I speak, I speak for them.



Tratto dalla storia vera del logopedista australiano Logue e del singolare percorso terapeutico cui fu sottoposto re Giorgio VI ed autorizzato, quand’era ancora in vita, dalla Regina madre (alla quale sarebbe molto piaciuta la giarrettiera che Helena Bonham Carter ha indossato per la cerimonia di premiazione) Il discorso del re è un film di Tom Hooper del 2010, con Colin Firth, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Michael Gambon, Geoffrey Rush, Derek Jacobi, Calum Gittins, Jennifer Ehle, Claire Bloom, Eve Best. Prodotto in Gran Bretagna, Australia. Durata: 118 minuti. Distribuito in Italia da Eagle Pictures

( la foto qui sopra è della Kika Press)

2 pensieri riguardo “Because I have a right to be heard. I have a voice!

  1. Come ho scritto da me, “Il Discorso del Re” è un buon film a cui però manca qualcosa per aspirare a qualcosa di più. Esattamente come il personaggio di Colin Firth va alla ricerca della forma espositiva migliore possibile, anche la pellicola appare troppo attenta allo stile a scapito dei contenuti, finendo quindi con l’apparire poco spontanea.
    Io facevo il tifo per Inception, che fra i film candidati al premio finale che ho visto, è l’unico – a mio avviso – ad avere la statura dell’autentico capolavoro!

  2. Caro mio, qui se non torna Bush al cinema americano passa la voglia di sperimentare e di combattere (sempre nei limiti dell’Oscar che comunque non ha mai rappresentato il terreno del cinema puro ma al più della passerella di buoni prodotti).
    Ah i bei tempi di Moore sbraitante, delle spillette doppia versione sugli abiti da sera (colomba per i moderati come Richard Gere, peace and love per i militanti come Susan Sarandon).
    Ah i …”mi rifiuto di applaudire quello spione di Kazan” e incrocio le braccia mentre sto seduto (l’oltranzista Nolte), “applaudo moderatamente ma non mi alzo” (Spielberg), “mi spello le mani in piedi (Bathes).
    Dov’è finito tutto ciò?

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