In nome del popolo romano

In nome del popolo romano


Promettendo sgomberi e deportazioni, Gianni Alemanno cattura il voto delle periferie. Non è una novità dell’Oggi . Dal 1976 al 1985, una terna di Sindaci -  Argan Petroselli Vetere –  eletti nelle liste del PCI ed espressione di una classe politica di prim’ordine lavorò alla riqualificazione del territorio – si direbbe oggi – abbattendo le baraccopoli ed edificando le abitazioni per i cittadini , allora erano romani, che vi abitavano. Ma non solo. L’idea di Luigi Petroselli di un diverso rapporto centro – periferie come  appartenenza ad un ‘unica città, espresso simbolicamente dall’Estate Romana e il parco archeologico dal Campidoglio all’Appia antica, al centro della città, in modo da far coincidere come diceva Nicolini il nome e la cosa Roma , si andava delineando.  Ugo Vetere, amministrazione specchiata, moralità e conti in ordine, buon ultimo, dovette cedere la poltrona di sindaco, sconfitto proprio in quelle periferie che aveva contribuito a risanare. L’alternanza – allora si votava con il proporzionale e il sindaco non veniva eletto direttamente –  non poteva essere elemento del dibattito post elettorale nemmeno nella forma elementare del fisiologico bisogno di cambiamento e, nello smarrimento generale di un partito comunista  che proprio allora cominciava ad interrogarsi sul proprio destino, fu concluso, non del tutto a torto, che, per un difetto di comunicazione, gli indubitabili vantaggi dell’amministrazione di sinistra, non erano stati opportunamente promossi tra i cittadini e che il difficile rapporto col sottoproletariato urbano andasse risolto con una maggiore presenza anche a costo di una vera e propria mutazione dei linguaggi tradizionali. In pochi pensarono che quel che stava accadendo non dipendeva solo da buone o cattive amministrazioni. I tre sindaci che negli anni successivi si alternarono, confermando gli elettori ogni volta, la Democrazia Cristiana al comando, consegnarono la città al degrado e alla corruzione. Signorello, Giubilo, Carraro, i comitati d’affari del secondo che ben anticiparono tangentopoli e le  imprese del terzo che guadagnarono a lui e ai suoi gli onori delle cronache nazionali. Era il 1993 quando con la mossa del cavallo rappresentata da un sistema elettorale differente, nuove le regole e nuovissimo, data la sua storia, il candidato, portammo Francesco Rutelli in Campidoglio. Oggi a distanza di quindici anni, la destra si riappropria della città. Chi ha proposto Rutelli candidato per il 2008, evidentemente  più che pensare al rinnovamento, ha ritenuto proporre l’incarnazione della continuità stimando il Modello Roma, vincente comunque. Invece la percezione è stata della riproposizione di un vecchio arnese dismesso dalla politica nazionale da riciclare come sindaco.E questo è valso per gli elettori ma anche per gli alleati visto lo scostamento di 60.000 voti  da Comune a Provincia e un diverso orientamento nel voto dei municipi.  Ma, Rutelli a parte, non è bastato nemmeno che a Roma il Pil sia salito più che in ogni altra città italiana, non sono bastate le Notti Bianche, la Feste del Cinema o l’Auditorium, la nuova Fiera di Roma o la metropolitana : la Roma che trae ricchezza dalla sua stessa vita ed ha instaurato in questi anni relazioni internazionali proponendosi come una città di prestigio mondiale, ha ceduto il passo ad un’immagine distorta, irreale di  città insicura, degradata trascurata dai suoi amministratori a vantaggio della facciata : il cinema prima di tutto.  Oppure  il consolidamento di  gruppi di potere accomodati in salotti immaginari che di tanto in tanto, i detrattori,  tra invenzione e desiderio indicano come luoghi di decisione. Una vecchia cantilena cara alla destra e anche a una certa sinistra del Rigore e dei Quaresimali.

Giocano in questo voto molti fattori dipendenti dall’andamento nazionale e più strettamente  legati ad esigenze territoriali: l’assillo della sicurezza con quella distanza tra percezione e realtà dei numeri che è stata la chiave di volta della vittoria della destra alle politiche, innanzitutto. Limitare la propria indagine ai soli confini del candidato sbagliato significa semplificare una questione che invece richiederebbe maggior sforzo analitico. Il Pd spero vorrà riflettere su un’antica magagna: il ricambio della classe dirigente che pure è un punto fermo nei propositi delle democratiche e dei democratici che hanno accettato di dar vita alla nuova formazione , importa un maggiore impegno in direzione dello spazio e delle responsabilità da conferire ai giovani,alle donne, ad esponenti della società civile. E’ improbabile che  quand’anche si fosse voluto sottoporre alle primarie la candidatura a sindaco di Roma, ci sarebbero stati competitori credibili  per Francesco Rutelli. La sua campagna elettorale pur  generosa ma inevitabilmente  fagocitata dalla campagna nazionale e, al secondo turno, sebbene correttamente giocata sul”esaltazione dei risultati ottenuti e sull’antifascismo, non è riuscita ad essere convincente. Sulla sicurezza tema sensibile in una campagna elettorare ha dovuto  giocare di rimessa preso, come tutti noi, in contropiede da un utilizzo spietato da parte dell’avversario, di recenti episodi di cronaca.Una serie di concause, in definitiva, ne hanno accentuato la debolezza. Inutile recriminare o attribuire responsabilità dello sfracello a Veltroni : in cinque mesi non si risale la china del consenso perduto, non si approntano due campagne  elettorali difficili contestualmente rinnovando il partito. Credo che anche in caso di conta congressuale, la sua leadership non sia in questione. Tornando a Roma, chi  scrive appartiene alla scuola del rispetto per il popolo sovrano,pertanto è  giusto che Gianni Alemanno governi la città che il popolo stesso gli ha affidato. Pur non essendo insensibile ai saluti romani e alle spacconate, particolarmente sulle scale di Palazzo Senatorio, simbolo della Municipalità, più che l’arroganza dei vincitori brucia e immagino brucerà ancora per molto, la fine del Modello Roma, un progetto appassionante che  per arditezza e modernità, è stato il compedio ideale di un Fare Politico che riusciva a rendere disponibili e al servizio della città idee, sensibilità, ed esperienze. Un percorso di partecipazione che da Petroselli a Veltroni si è rivelato fonte di entusiasmo e infinite soddisfazioni. Ciò che è stato realizzato non potrà essere facilmente sottratto ai romani pena una sensazione collettiva di grande vuoto. E questo rimane motivo d’orgoglio e di una non piccola consolazione.

Nell’illustrazione il Tabularium realizzato in una galleria che unisce la parte vecchia e quella nuova dei Musei Capitolini


Un pensiero su “In nome del popolo romano

  1. Non so se ho un giusto punto di vista sulla questione stando a 300 km di distanza, ma qualcosa del genere l’ho vissuto a Bologna.

    Si perse una elezione a sindaco per la supponenza di non poterla perdere, chiunque fosse il candidato.

    Da qualche anno mi chiedo, su slogan tipo “si può fare” o “ce la possiamo fare”, ” a fare cosa?”

    Ieri sera ho sentito Cacciari porre alcuni paletti che, stanti le esigenze elettorali, non sono ancora stati fissati a dovere.

    Primo. Possono convivere i mal di pancia della Binetti nel Partito democratico o di una persona che rappresenta (socialmente e come apporto al partito) poco più di se stessa possiamo farne a meno?

    Secondo. Qual’è la linea del PD su temi quali quello della immigrazione?

    Terzo. E’ possibile spiegare che se le scelte di politica economica la sostiene un autorevole ministro come Padoa Schioppa suona che le ha fatte tutto il Governo e che non è responsabilità personale?

    Quarto. Che quando si prendono misure impopolari, far cadere il Governo subito dopo equivale a mettersi davanti al plotone di esecuzione?

    In generale berlusconi ha dimostarto che ci si può presentare più e più volte, basta essere percepiti come il risolutore dei problemi, non quello che li ha creati.

    E’ vero il popolo è sovrano, ma anche quando fa i graffiti di Messina Denaro?

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