Montée des Marches ( eppure battono alla porta)

Montée des Marches ( eppure battono alla porta)

Per oggi a Cannes erano previsti : il sole, l’arrivo di Julie Christie e di Sylvia Koscina, la partenza del travestito Harlow, diretto a San Francisco, per abbracciare il fidanzato reduce dal Vietnam, un ulteriore aumento del prezzo dei pompelmi e delle passeggiatrici, il pieno assoluto dei grandi alberghi, il terzo miliardo di affari al Marché du film. Invece oggi ci sono la pioggia le bandiere amainate. ” Niente carnevalate” ha detto De Gaulle di ritorno da Bucarest. Almeno a Cannes il suo ordine è stato scrupolosamente osservato : la Costa Azzurra ha l’aspetto grigio e languoroso di fine stagione. E siamo a maggio.

Maggio del 1968 ovviamente. Quanto a maggio 2008, a Cannes,  di uguale c’è rimasto solo il maltempo, essendo sin improbabile definire  languorose e grigie le tende e le chaises longues della spiaggia, men che meno la pletora di yacht ancorati  al largo. Quarant’anni sono passati da quando il cronista raccontava in una sorta di day after, quel che era successo la sera prima al Palais, quando cioè Truffaut, Godard, Polanski  e Malle, si erano aggrappati , per protesta, al telone dello schermo. Cannes – avevano detto  –  è un insulto, non appartiene a questa epoca ma alla Belle Epoque dei nostri nonni, con gli aristocratici che passeggiano in Bentley, autista  e valletto malese, il tutto a fare da degna cornice  a film come Via col Vento – una copia del quale, appositamente restaurata,  inaugurava la manifestazione quell’anno –   Il festival fu – come da esplicita richiesta dei contestatori  equamente divisi, chi a fronteggiare la polizia sulla Croisette, chi a occupare il Palais – sospeso.

Chi avrebbe detto che dalla porta spalancata sullo scandalo degli spettatori in sala, Godard e compagni avrebbero fatto irrompere il Cinema attraverso le voci degli operai della Renault e degli studenti delle facoltà francesi occupate, rivendicando a gran voce l’esigenza di raccontare le storie del proprio tempo insieme a sogni, pulsioni liberate, desideri. Non era, ovviamente, una retrospettiva di Via col Vento, il peggior di tutti i mali, ma ben rappresentava il prototipo del film festivaliero, un colosso americano, improbabile, romantico e zuccherosamente sudista. Ma se la rivoluzione non può avanzare,come purtroppo avvenne, che almeno si proceda sul terreno di utili riforme. Così contestatori del maggio 1968  Godard, Truffaut, Malle, ben sostenuti  da maestri  del calibro di  Chaplin, Hitchcock e Rossellini,l’anno successivo crearono la Quinzaine des Réalisateurs, la sezione autonoma gestita dagli autori francesi che, senza entrare in conflitto con la selezione ufficiale, ne divenne, com’era nel progetto, irrinunziabile stimolo per il cambiamento.

Da allora nessun Festival potè più dire di essere lo stesso. Oggi la Cannes risorta dalle ceneri di quella contestazione, è irriconoscibile : è cambiato il pubblico ( in meglio, più appassionato e disponibile anche alle offerte più ardite ) e lo stesso concetto di film da festival. Quel che un tempo era considerato un tipico, incomprensibile, prodotto d’autore, da presentare nelle rassegne minori e magari  nelle proiezioni di mezzanotte,  oggi fa bella mostra di sé  in Concorso, mentre al povero Indiana Jones non “rimane” che trasformare la facciata del Carlton in tempio atzeco. Con tanto di incredibile, anacronistico orologetto da polso Chopard, al centro della scena. Contraddizioni da accettare con serenità, senza musi, acredini e moralismi, c’è tanta di quella offerta culturale in questo Paese dei Balocchi, tanta capacità di rigenerarsi anno dopo anno, che puoi tranquillamente goderti la festa senza curarti dell’andirivieni di elicotteri, dell’abito di Fendi di Garrone  e di quelli Dior pour homme dell’intero cast del film brasiliano Linha de Passe e dopo aver appreso che persino il ribelle Deninis Hopper firma un video per Tod’s, vincere la gara di resistenza al freddo e alla pioggia con i buyers asiatici, l’unico vero must di quest’anno (resistere in sandali e Burberry)

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