Non è razzismo ( ma allora cos'è?)

Non è razzismo ( ma allora cos'è?)

E’ possibile che l’omicidio del giovane ladro di biscotti a Cernusco, dei sei lavoratori di Castelvolturno o che i pestaggi di Parma e di Roma e da ultimo la perquisizione della donna somala a Ciampino, non corrispondano effettivamente ad un’autentica emergenza legata ad odio razziale. Per ognuno di questi casi, ci viene fornita una risposta differente : tragico errore, regolamento di conti, montatura a fini mediatici, bravata etc. Tuttavia, è difficile negare quanto in ciascun episodio, il colore della pelle, l’appartenenza ad altra etnia, giochi – non solo ai fini investigativi – un non trascurabile ruolo, quando non realizzi un vero e proprio movente. Minimizzare sulla scorta dell’ irrilevanza del campione statistico, quando si tratta di incolumità e dignità delle persone, non ha gran senso.  A meno che il ministro dell’interno non intenda preoccuparsi solo un attimo dopo il manifestarsi di cappucci bianchi a forma di cono, ogni episodio racchiude il  segnale di un modo della civile convivenza che sta cambiando. Al governo che schiera i ministri nei contenitori domenicali più seguiti, s’immagina per essere più vicino alla ggente, spetterebbe l’onere di una battaglia culturale in cui non basta più l’annuncio tutti uguali  qualunque sia l’etnia. Oggi il problema dell’immigrazione viene presentato come un male contro il quale prendere provvedimenti o come una triste necessità di supplenza nei lavori più umili, quelli che noi non vogliamo più fare. In nessun caso si parla di governo del fenomeno  se non in termini punitivi o ottimisticamente restrittivi. Ne’ si allude mai ai motivi che spingono – carestie, persecuzioni, guerre, povertà inimmaginabili – masse di uomini e di donne a muoversi dai loro luoghi d’origine, semplicemente per motivi di sopravvivenza. Non si vuol essere generosi? Che almeno si sia concreti, perchè  una presa d’atto di quella dinamica, dovrebbe suggerire già di per sè, altre politiche. L’immigrato clandestino è a rischio sfruttamento, ci viene detto. Di sicuro. Mica solo da parte di criminali organizzati però. Che dire dello sfruttamento nei luoghi dove il lavoro nero non genera solo l’ignominia del basso salario e della mancanza di garanzie, ma ingrossa il bacino del sommerso, dell’evasione. Un lavoratore pagato in nero produce una quantità di ricchezza esente da tasse. Non è socialmente pericoloso anche questo? Allora perchè insistere con un atteggiamento che non favorisce la regolarizzazione e genera soltanto risentimento? Perchè alimentare la paura, perchè sdoganare,  banalizzandole, definizioni sconvenienti. In nessun paese civile i media usano la parola negro, in molti è perseguita l’espressione sporco negro, in quasi tutti l’informazione evita di precisare la nazionalità dell’eventuale autore di un crimine. Non c’è di che stupirsi se un tale clima genera intolleranza. Una presa di parola veritiera sull’immigrazione, sarebbe auspicabile. Una verifica, quantomeno sui provvedimenti recenti che si sono assunti in materia di poteri ai sindaci, la cui efficacia, a parte fantasiosi ed inutili provvedimenti, sul piano dell’ordine pubblico è sotto gli occhi di tutti, doverosa oltre che necessaria. Non basta armare i vigili urbani e allargare il loro campo d’azione per ottenere un servizio di ordine pubblico che le forze di polizia svolgono dopo ben altro addestramento che un paio di sedute al poligono di tiro. Davvero le nostre città hanno bisogno esclusivamente ( perchè solo di questo si parla) di una bonifica antimmigrato? E seppure fossero completamente ripulite da queste inquietanti presenze, la  pessima qualità dei servizi, l’invivibilità, il traffico, l’abusivismo, sparirebbero? Noi non siamo razzisti ma lo stiamo lentamente diventando, così almeno ci percepisce la stampa estera. Per carità, chi è senza peccato… il fenomeno è globale, particolarmente accentuato se governa la destra. Ma altrove almeno hanno i diritti.

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