Tu quoque

Tu quoque

Manifestazione nazionale di insegnanti aderenti ad una cinquantina sigle, tra sindacati e associazioni, avvenuta ieri  19 ottobre a Parigi, in difesa della scuola pubblica. Anche da quelle parti, si prevedono tagli all’organico e penalizzanti misure di contenimento. Anche da quelle parti la ministra ha accolto l’iniziativa con la medesima grazia e disponibilità della sua collega italiana, trovando le ragioni dei manifestanti injustifiées et décalées. Ma da quelle parti la maestra unica già c’è, e nonostante questo, il piano del governo prevedrerebbe egualmente l’eliminazione di quelle figure  professionali – les Rased – addette al recupero dell’insuccesso scolastico. I tagli concernono complessivamente 13.500 posti di lavoro, quando oltre 11.000 ne sono stati  già soppressi lo scorso anno. Questa volta però, sono di turno anche i Licei, con una consistente riduzione del tempo scuola. Tra gli slogan di punta, una famosa citazione da Abramo Lincoln  Si vous trouvez que l’éducation coûte cher, essayez l’ignorance. Ma quanto a quello, noi ci stiamo organizzando già da un pezzo.

Anche in Francia viene dichiarato da parte dei sostenitori del governo, essere la propria spesa per l’istruzione più cara che altrove, che gl’insegnati godono di infiniti privilegi (i soliti mesi di vacanza) e che l’organizzazione scolastica è pachidermica.

2 pensieri riguardo “Tu quoque

  1. Al desiderio di libertà sessantottardo però, io anteporrei l’esigenza di regole per un mercato del lavoro che ne aveva estrema urgenza.

    Regole, che peraltro hanno scritto gl’imprenditori insieme ai sindacati.

    Lo stesso vale per la scuola, anche lì c’era bisogno di svecchiamento più che di rivendicare l’abbigliamento disinvolto e fantasioso o il libero amore.

    Bisognerebbe un po’ rammentarsi del particolare momento storico e dell’arretratezza in cui versavamo.

    Dopo l’autunno caldo però, la classe operaia non è mica andata in paradiso, perchè sono dei primi anni 70, le chiusure delle fabbriche, le delocalizzazioni e l’inizio dello spappolamento del lavoro.

    Per non parlar del resto.

    Non è che il nostro sistema occidentale è crollato perchè sono arrivati i barbari cinesi e indiani.

    Quelli sono arrivati proprio perchè noi eravamo crollati o per crollare.

    Ma in quei paesi oggi definiti emergenti – che giocoforza dovranno vivere analoghe stagioni di lotte sociali, visto che Internet e la televisione arrivano anche lì – molto si è puntato sull’istruzione.

    E’ vero che noi abbiamo bisogno di maggiore produttività e competitività ma è proprio per questo che non dobbiamo umiliare la scuola.

    Perchè forse dobbiamo fare più bulloni e meno cari, ma di sicuro dobbiamo fare “altro”

    Poi c’è un’altra cosa che non apprezzo ed è la negazione dell’esistenza di un conflitto.

    Se c’è – e c’è per forza – va risolto dialogando.

    Cioè, prima litigando e poi trovando l’accordo.

    Tutta questa rivoluzione scolastica non poteva non portare manifestazioni di dissenso.

    E più il Parlamento è emarginato, più le piazze si mobilitano.

    Questi studenti annata 2008, sono diversi da tutti gli altri, più critici, più pragmatici, e nel loro essere pochissimo politicizzati, imbarcano nelle loro iniziative mamme, rettori, maestre, professori e quant’altri.

    Se la società civile protesta, non puoi cavartela con una scrollata di spalle.

    Che vuole fare Alberoni? Ridurre il dissenso in nome del rimboccarsi le maniche?

    E meno male che fa il sociologo e anche un po’ lo psicologo.

    Quello che è capitato a noi è capitato nel mondo, solo che il resto del mondo ha tentato di porvi rimedio e noi abbiamo continuato a fare esattamente le stesse cose di prima.

    Vedi riassetto di tutte le compagnie aeree avvenuto molto tempo fa e Alitalia che ancora dobbiamo finire di sistemare.

    Ma non si può addossare la colpa solo ad una parte, politica o sindacale che sia.

    Ne’ si può chiedere ai cittadini di strapagare sempre e comunque per gli errori altrui.

    Male sarebbe se questa storia andasse a finire come per l’articolo 18.

    Tanto rumore e poi nulla.

    Invece il governo, se vuol cambiare davvero le cose deve ragionare con la controparte.

    Quel che si diceva prima delle elezioni.

    Io sono col presidente della repubblica.

    Non si può dire sempre NO.

    Ma dateci una sede per dire qualche SI.

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