Reset

Reset

Alexis Grecia

Questa idea balzana che qualcosa stia davvero per concludersi e cominci una nuova fase è ovviamente data da una generale esigenza di reset. Consegnando alla posterità un’economia mondiale al collasso, un dato di diseguaglianza sociale ai picchi storici e guerre sempre più brutali combattute su diversi fronti per la gloria di un qualche Impero, oltre che un clima planetario fuori controllo, è facile cedere alla tentazione di  rimuovere il tutto,  magari nell’illusione tutta mitcheliana che domani sia davvero un altro giorno.

Al cospetto del disastro, quel che accade in casa nostra, potrebbe sembrare robetta. Così non è, vuoi perchè di quel disastro siamo parte, vuoi perchè le nostre specifiche condizioni sociali, economiche, culturali  ed istituzionali, particolarmente arretrate, acuiscono gli esiti del terremoto. Noi siamo indietro su quasi tutto. La nostra capacità di recupero è dunque  destinata a risentire di parecchi endemici svantaggi.

Così mentre negli Stati Uniti già da un anno ci si prepara ad affrontare il peggio ponendo a capo del paese, l’incarnazione dell’inversione di tendenza, noi ci dibattiamo tra ricettine e pannicelli caldi, un giorno detassiamo gli straordinari e un giorno proponiamo la settimana corta.

Non c’è di che essere Profeti di Sventura o specularmente Grandi Ottimisti, mestieri redditizi presso piccole e grandi comunità di fedeli inclini alla piaggeria per assoluta mancanza di scopo nella vita, ma egualmente rispettabili ad un unica condizione : che al termine di ogni oscuro presagio, di ogni invito a credere nel Futuro, ciascuno s’impegni a fare la propria parte. Cosa che non avviene quasi mai, sclerotizzati come sono nei rispettivi ruoli, occupati chi a scrutare l’avanzata della merda che ci sommergerà, brandendo al più lo spadone dell’ io l’avevo detto  – autocitazione, link, applausi dall’ormai decimato  pubblico, bravò, bravò, graziè  -  chi a dar fondo a tutto il repertorio di bicchieri mezzi pieni, di rifiuti di Napoli smaterializzati, di uffici pubblici a organico completo, completissimo, tra un po’ scoppiano o di antiestetiche prostitute mandate a lavorare un po’ più in là.

Il pessimismo a buon mercato, quello  senza sofferenza come l’ottimismo modello precotto, quello senza gioia,   sono una rendita di posizione, giustificano l’immobilismo, ne celebrano a scena aperta le virtù. Se tutto è inutile, se nessuno mi rappresenta, se il resto del mondo è incolto, corrotto…ovvero se i problemi si stanno risolvendo, se infine è arrivato chi decide, se siamo un popolo meraviglioso – i superlativi sono d’obbligo – che infine se l’è sempre cavata… a che serve muoversi, agire, partecipare ?

Del resto nella inesistente reattività ovvero nello scarto che c’è tra la scelta accurata di espressioni disperanti o entusiastiche e la reale capacità di scalfire ciò che ci circonda, c’è molto del fallimento di qualsiasi ipotesi di reale contrasto alla merda in avanzata.

Chissà dove vivono costoro e chi sono davvero. Di sicuro in luoghi tranquilli, al riparo da una realtà che se  gli mordesse  davvero  il culo, procurerebbe loro più rabbia e scatti d’orgoglio e meno facili profezie o entusiasmi, che tanto s’è capito, la razza sempre quella è.

La razza di coloro i quali vedono i cambiamenti come il fumo agli occhi o nel migliore dei casi come un mutar di scene e costumi, mai di copione. Cambiare vuol dire fare in modo che niente sia come prima, senza alibi o remore di bambini e acqua sporca, di tradizioni comunque da preservare, di identità o radici alle quali restare abbarbicati. Cambiare è chiudere con il passato.

L’anno finisce con Alexis Grigoropulos, con le proteste del Politecnico di Atene e delle Università italiane. Finisce con l’apprezzamento e il rispetto  per la volontà determinata di questi movimenti di non somigliare ad altri :  ne’ a quelli di Seattle, ne’ alle rivolte degli anni ’60 e, indietro nel tempo, nemmeno a quelli del Barrio Chino di Barcellona degli anni ’30, ne’ a quelle fine ottocento di Montmartre. 

Nessuna parola d’ordine speranzosa, nessuna  soluzione ottimistica. La Crisi e la Paura campeggiano negli slogan, dunque è sospesa anche la speranza in un possibile altro mondo. Derubati del futuro  come da definizione unanime, si comportano di conseguenza. Tuttavia determinati a contare ad esserci, senza cupezze.

Sentirsi responsabili di quel che sta loro capitando, per noi, è il minimo. Cercare di limitare i danni, doveroso. A partire dall’ anno che Alexis non vedrà.

 

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