De Andrè vive

De Andrè vive

Deandrevivo
Dire di Fabrizio de Andrè all’epoca delle celebrazioni nel decennale della scomparsa, è l’impresa che è.
Poichè tutto è stato scritto, cantato, filmato, mostrato in mille iniziative, libri e trasmissioni, il senso delle cose rischia di sfumare nella ripetitività, il valore artistico nella mitizzazione, lo spessore civile ed umano
nel racconto di episodi spezzettati  e scollati dalla  coerenza del tracciato biografico.
Riti funebri, in qualche caso, che mal si addicono alla vitalità intrinseca di un’Opera che sembra invece fatta per durare alimentando altre opere, altre riflessioni. Col tempo tuttavia, s’impara a leggere nell’entusiamo inspiegabile di chi  era troppo giovane per apprezzare la sua musica, un tratto di affetto piuttosto singolare, per quello che in definitiva, è un cantante del passato. Anche in certa venerazione da vecchi fans, patiti dei ricordi, sopravvive nonostante gli sguardi perennemente rivolti all’indietro, lo stesso tratto di autentico sentimento.

De Andrè è vivo ( e resiste al processo di beatificazione). E’ scritto con due esclamativi su di un muro assai fotografato, con A anarchica cerchiata, griffe e insieme omaggio all’ Ideale di sempre.
E dunque, se così è, celebriamolo da vivo.

In questi giorni  per esempio,  è quasi impossibile non pensare a Sidùn – Sidone – rappresentata come un uomo arabo di mezza età, sporco, disperato, sicuramente povero che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato e questo accade per la stessa ragione per cui tempo addietro in occasione di alcune poco brillanti iniziative del governo, venivano alla  mente Korakhanè, Bocca di Rosa o Princesa.

Non tanto per loro, i personaggi, quanto per l’inalterato clima di sotterranea  o esplicita violenza che ancora avvolge le storie degli ultimi, dei diversi. Violenza dei provvedimenti, di sicuro –  dunque emanazione diretta del Potere –  che però interpreta un comune sentire al quale andrebbero assimilati  i molti ma e se di Insospettabili, che nel corso del tempo sono andati ad ingrossare le fila di maggioranze non più silenziose.

Non serve pertanto nell’esercizio vagamente  necrofilo del cosa avrebbe detto, interrogare chi purtroppo non è più. Ne’ esaltarne – altro tic – le capacità profetiche. Piuttosto prendere atto che collocarsi dal lato opposto a quello da cui spira il vento, rappresenta non solo un’occasione di riscatto, ma consente un punto di osservazione che io definirei alla giusta – ancorchè non prudenziale –  distanza, mai eccessiva da esimersi di cantare l’astio e il malcontento, ne’ troppo ravvicinata ad evitare contaminazioni che depotenzino e asserviscano il canto.

Solo questa postazione probabilmente, consente di guardare oltre i singoli episodi, le dinamiche spicciole. Non il prevedere dunque, dei maghi, dei santoni o dei profeti, ma il semplice vedere possedendo nel contempo il generoso talento di saper mostrare agli altri.
In aggiunta, le molte lezioni impartite senza averne mai l’aria,  tutte derivanti però da un’ unica radice : il pensiero libertario.
Resistente ai cedimenti dell’ideologia, dilagante  dalla prima canzone fino all’ultima e nella scelta mirata dei brani di altri autori da tradurre, adattare, riportare a nuovi significati. La vera spina dorsale di tutta la sua produzione è in quella Idea.
Fabrizio De Andrè si è insinuato nel nostro modo di pensare prima ancora di essere parte dei nostro bagaglio sentimentale, anche per questo il piombo fuso di Gaza ci riporta al dramma di Sidone...euggi di surdatti chen arraggë cu’a scciûmma a a bucca cacciuéi de baëa scurrï a gente cumme selvaggin-a finch’u sangue sarvaegu nu gh’à smurtau a qué

e alla breve chiacchierata che accompagnava l’esecuzione del brano nei suoi concerti :

La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea.

Sono anch’io tra quelli che gli vogliono bene. Mille anni e mille anni ancora

 


2 pensieri riguardo “De Andrè vive

  1. Mi associo completamente.

    “Resistente ai cedimenti dell’ideologia”: questa affermazione è verissima!

    Ricordo che, ai miei tempi, veniva accusato da una sinistra rivoluzionaria, di essere di destra. In realtà non è mai stato né di sx, né di dx: è stato semplicemente un libertario fuori dal coro , come si è spesso detto.

    Ha scritto contro le ipocrisie e gli atteggiamenti che allora venivano chiamati “borghesi”, quello sì!

    E’ vero, gli abbiamo voluto e gli vogliamo molto bene!

  2. Mi fai ricordare di un ambiente lombardo-veneto d’epoca che già allora mi sembrava un po’ troppo settario.

    Che stalinisti erano…e in qualche caso, sono anche adesso, Sarebbe interessante capire perchè.

    Comunque gli anarchici non hanno mai avuto il gradimento dei marxisti leninisti come la storia insegna.

    Ho sempre pensato ad uno scontro tra Aristocrazie del Pensiero oltre che di tutto il resto.

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