A tappo

A tappo

La perdita d’entusiasmo dovrebbe essere annoverata tra i  reati gravi.Se così fosse, in questo momento io sarei colpevole.Ho riaperto con poca voglia e forti permangono i dubbi sul prosieguo di questa esperienza, non fosse altro perchè quando non puoi più dire quel che è giusto sotto gli occhi di tutti, significa che non sei nemmeno un buon “testimonial”per Giuste Cause.Allora tanto vale tacere.Tuttavia siamo qui in carne e alias, armi, bagagli e links .Chi vuol leggere le ultime stupidaggini scritte, può andare qui (siamo sempre in doppia copia).Non so come finirà,nel frattempo siate i benvenuti a tutte le ore e per qualsiasi cosa vi salti in testa.

Gente di Dublino

Gente di Dublino

dublino

Questa è la foto dell’Irlanda che in assoluto amo di più. E’ il 1922, questi uomini in borghese appartengono all’Irish Repubblican Army  e stanno pattugliando le strade di Dublino mentre alle loro spalle i passanti a piedi e in bicicletta non appaiono affatto preoccupati della loro presenza.Gente di Dublino con altra gente di Dublino.Analoghe scene ho visto molti anni dopo a Belfast.Non so dire perchè, dei pur bellissimi paesaggi di questo paese mi è sempre importato relativamente.Per me l’Irlanda è sempre stata questa.

Pasolini prossimo nostro

Pasolini prossimo nostro

E’ il 1976,Pasolini gira un film tratto da De Sade.Il set,una villa ai tempi della Repubblica di Salò, è uno di quelli “difficili”, un’ atmosfera cupa accompagnerà tutta la lavorazione, anche la troupe solitamente vivace e caciarona, avverte un senso di pesantezza .Pasolini ammette una sola fotografa, si chiama Barbara Berr, scatterà circa novemila foto di cui però il regista non autorizzerà la pubblicazione.

“Pasolini prossimo nostro” ,titolo ripreso da un testo di Klossowski “Sade mon prochain” che si trova  nella bibliografia di “Salò le 120 giornate di Sodoma”, è il  bel documentario di Giuseppe Bertolucci che  fa rivivere l’ombrosità di Pasolini e la sua generosità di linguaggio, attraverso un lavoro di selezione basato su materiale d’archivio.Un’opera  su “Salò” ,decostruita attraverso le foto di scena della Berr Una riflessione  sul passare del tempo e la rimessa a punto dei percorsi ideologici.Pasolini nel 1976 aveva già parlato di violenza,di bullismo delle bambine violentate con riti Maya,dei teocon  e del trash.Ne parla in particolare in questa intervista filmata concessa al giornalista Gideon Bachman che sarà pubblicata su “Sight and Sound” “Nel mio film c’è molto sesso, ma il sesso che c’è nel film è il sesso tipico di De Sade, che ha una caratteristica sado-masochistica. Questo sesso ha una funzione molto precisa nel mio film, quella di rappresentare cosa fa il potere del corpo umano: l’annullamento della personalità degli altri, dell’altro. … il sesso ha una grande funzione metaforica … metafora del rapporto tra potere e coloro che ad esso sono sottoposti … C’è una frase in particolare che faccio dire ad uno dei personaggi del mio film: “là dove tutto è proibito si ha la possibilità reale di fare tutto, dove è permesso solo qualcosa si può fare solo quel qualcosa “ Rievoca i giorni da lui stesso vissuti nel Friuli “annesso burocraticamente alla Germania: si chiamava Litorale adriatico. Qui ho passato giornate spaventose: qui c’è stata una delle più dure lotte partigiane (nella quale è morto mio fratello), qui i fascisti erano dei veri e propri sicari” .

Tuttavia ad una sollecitazione di Bachman, risponde di non credere che i giovani potranno capire la lezione del film perchè “hanno nuovi valori“:Di questo torna a parlare Pasolini,dell’ideologia consumista imperante per permissivismo con le sue concessioni dall’alto e che tutti sono obbligati a seguire (cos’è tutto questo romanticismo improvviso delle coppie che tenedosi per mano se ne vanno a comperare alla Rinascente o all’Upim?).Analizza il colonialismo e il cristianesimo,il ruolo dell’intellettuale e lo sfascio della società e intanto dietro alle sue parole,si susseguono le abbaglianti foto di scena di Deborah Berr.Ma quel che più attrae è il punto di vista non filosofico,non sociologico ne’ antropologico ma poetico,come se il fulcro del pensiero di Pasolini ivi incluso il suo lavoro di regista, ruotasse tutto intorno alla creazione di un armamentario poetico tale da sprigionare quella libertà creativa che fu di Medea film che, come ha più volte detto Bertolucci, non solo non riusciamo più a realizzare ” ma neanche a pensare

“Pasolini prossimo nostro” è un film di Giuseppe Bertolucci prodotto dalla Ripley’s Film su materiale d’archivio di proprietà della Cinemazero

Maschile plurale

Maschile plurale

Alle i niziative organizzate per la giornata contro la violenza alle donne  del 25 novembre,quest’anno partecipa anche Maschile Plurale,una rete di uomini promotori di un appello che ha raccolto 600 firme e organizzato un’assemblea Nazionale a Roma il 14 ottobre.“L’esigenza era quella di un’iniziativa pubblica maschile.Nella cosapevolezza – dicono – che la violenza contro le donne sia qualcosa che ci riguarda come maschi,cioè che non riguarda solo figure marginali e devianti ma uomini che si muovono all’interno di categorie del maschile generalmente condivise.Che la violenza sia un corollario di un condizionamento profondo.Davanti alla sequenza dei fatti di cronaca di questi mesi,non basta la denuncia in sè o la richiesta alle Istituzioni di rispondere all’emergenza securitaria.Serve interrogare il rapporto degli uomini con il proprio corpo,con la propria sessualità,con il proprio modo di occupare lo spazio pubblico o di costruire relazioni di potere.

C’è bisogno di un salto di civiltà,di un capovolgimento alla radice del rapporto fra i sessi e la consapevolezza che questo capovolgimento parta soprattutto da un piano culturale ed educativo.Sembra,all’apparenza,la risposta alle richieste del femminismo negli ultimi quarant’anni.Le perplessità delle diverse organizzazioni di donne intervenute all’assemblea di Maschile Plurale sono diverse e comprensibili (“dov’è la fregatura” è una buona sintesi della posizione “diffidente” Tuttavia val la pena di aprire il confronto e di lavorare in direzione di proposte politiche concrete.Annunciammo che il separatismo avrebbe avuto una necessaria data di scadenza.Di fronte ai problemi che la libertà femminile pone oggi nel mondo,un’inversione di rotta s’impone.Che siano i benvenuti dunque i confronti e le aperture alle quali del resto non ci siamo mai sottratte.Che siano i benvenuti tra noi quelli di Maschile Plurale.

Non tutti sono così

Non tutti sono così

In questi giorni, le agenzie hanno sfornato in continuazione le cifre del disastro. Fonti Onu, Amnesty International e la nostra Istat, sono concordi : dai sedici ai cinquanta anni, la prima causa di morte delle donne nel mondo è la violenza maschile,oltre del 90 % degli episodi avviene in famiglia.Più sconvolgenti ancora sono i dati che provengono dall’Occidente.Certo non tutti gli uomini sono così ,ci sono i compagni affettuosi, i nostri amici più cari, i figli maschi che abbiamo cercato di allevare nel rispetto delle differenze.Tuttavia se chiedessimo loro di commentare i dati sulla violenza risponderebbero adducendo motivazioni religiose, storiche psicologiche,geografiche, sociologiche.Eppure le cifre coinvolgono trasversalmente i paesi del sottosviluppo come le città ricche ed evolute.In Europa come in Afghanistan negli Stati Uniti come in Uganda.La discriminazione, lo sfruttamento, le molteplici forme di violenza che subiscono ancora le donne, parlano una lingua universale, e se sembrano talvolta “altre”, straniere tra loro, è solo per una sfasatura di tempi, di “emancipazione” -quel “ritardo” o “avanzamento” per cui il “delitto d’onore”, ha smesso di costituire un’ attenuante nei tribunali italiani solo trent’anni fa. Intervenire repressivamente, prolungando di anni l’attesa della cittadinanza per gli immigrati, vincolandola a obblighi formali di rispetto per i nostri valori e diritti sulla base magari di un test, come ha fatto lo Stato tedesco di Baden Wùrttember, oltre a essere un provvedimento di buone intenzioni ma inefficace, risulta soprattutto fuorviante per un problema che riguarda prioritariamente l’educazione, la formazione dell’individuo, le relazioni sociali, il confronto delle esperienze, l’allenamento quotidiano alla reciprocità, la conoscenza di ciò che ci rende differenti e simili al tempo stesso a tutti gli altri.Il nodo da sciogliere è perché un numero così spropositato di maschi, portatori di condizioni, storie, traumi, ideologie, ignoranze e culture diverse, trovi il modo di risolverle, dimenticarle, vendicarle, affermarle usando violenza alle donne, cercando il loro annullamento e umiliazione totale.
Dentro questo nodo stanno molte questioni. Ad esempio quella del rapporto fra la sessualità maschile e il potere. Può darsi, come sostengono alcuni, che questo rapporto abbia avuto poco tempo (cioè pochi milioni di anni) per evolversi, e che quindi adesso possiamo spingerci poco oltre le buone intenzioni. Ma può darsi anche che qualche piccola accelerazione al processo di umanizzazione della sessualità maschile si possa mettere in atto.
La condizione, però, è che innanzitutto gli uomini che si sentono, almeno a livello conscio, distanti dalla maschilità aggressiva e violenta, assumano su di sé la questione, rinunciando a pensare che la cosa non li riguarda, che è affare di altri, anche quelli maschi ma di altra specie.
In questa direzione, molto ha da insegnare a tutte e a tutti la lucidità del lavoro di alcuni gruppi di riflessione maschili sparsi per l’Italia.La loro ricerca è tesa a trovare un modo di essere uomini che rompa con quanto, nella costruzione storica della maschilità, ha prodotto ilnesso profondo fra genere maschile e volontà/bisogno di dominio; una rottura, però, non limitata all’aspetto volontaristico (“non si deve fare”), ma prodotta dalla scoperta e dall’esperienza che un modo nuovo di essere uomini è veramente liberante, prima di tutto per sé. E una condizione per avviarsi su questa strada è il riconoscimento di un altro desiderio, un’altra soggettività e un’altra libertà — quelle femminili — che stanno di fronte al desiderio e alla soggettività maschili: che quindi lo limitano, ma questo limite rivela all’uomo una nuova esperienza di sè. Se questi uomini hanno ragione, se la condizione per una maschilità che non abbia bisogno del dominio e del potere per sentirsi tale — e che quindi non si risolva in violenza contro le donne quando potere e dominio sono messi in crisi — è una maggiore visibilità della soggettività femminile, molte cose devono cambiare nel contesto culturale.Vedo difficile, ad esempio, educare bambini e ragazzi a essere veri uomini anche se privi di scettro se contemporaneamente a scuola la cultura propone solo storie, pensieri, conquiste, arti di uomini, tacendo di quanto hanno fatto, detto e scritto le donne o dei motivi per cui gli uomini non hanno permesso alle donne esplorare i campi del sapere. O se si sconsigliano alle ragazze certe facoltà universitarie «perché tanto ai vertici di un’azienda non ti ci faranno arrivare anche se sei brava». E via dicendo.
Se non si fa niente per cambiare il contesto e accompagnare così il lavoro degli individui su di sé, i genitori delle ragazze saranno condannati a spiegare alle loro figlie perché devono sempre avere una riserva sugli uomini che incontrano, e i genitori dei ragazzi (che forse spesso a questo non pensano) non sapranno dove appoggiarsi per fare in modo di non dover temere che i propri figli vadano, in un modo o nell’altro, ad aggiungersi agli emuli — consapevoli o no, denunciati o impuniti — di Achille.