I conti col passato che non vuol fare i conti

I conti col passato che non vuol fare i conti



A “ La sconosciuta”  di Giuseppe Tornatore, presentato nella sezione Première di Romafilmfestival,è andato il Blockbaster Award, il  riconoscimento dei noleggiatori.  Considerato anche il grande successo avuto con i buyers  stranieri – circa  23 paesi se lo sono attribuito nel corso delle trattative di  Businnes Street – si potrebbe pensare ad una certa vocazione commerciale  che il film  tutto sommato non ha.Tornatore si ripresenta dopo una lunga assenza, con un’opera per nulla conciliante,capace di scioccare gli spettatori perchè incentrata su due tipi di violenza,la sete di vendetta e la feroce criminalità est-europea scaturita dal crollo del socialismo reale e alimentata dall’adozione di spietate regole di sopravvivenza.Il primo tipo di violenza trova una bella illustrazione nella scena in cui la “sconosciuta” Irena, ragazza dell’est approdata in Italia,dopo aver insegnato a Tea,la bambina affidatale, come difendersi,la spinge verso un compagno di scuola manesco.Tea reagisce passando dalla difesa all’offesa con aggressività doppia rispetto a quella del suo avversario.Il secondo tipo invece è il tema principale della vicenda.L’odissea di Irena vittima di un feroce protettore che la obbliga a rimanere incinta per vendere i neonati al miglior offerente.Film dalle atmosfere dense,cupe, cosparso di  varie citazioni hitchochiane, fonda la  narrazione sull’uso del flash back  e di qualche iper effetto ,felicissima la scelta del “non luogo”  – metafora- :Trieste.Metodologia questa alla quale ,per altro, Tornatore ci ha abituati sia in occasione de “il camorrista” ambientato in una Napoli irriconoscibile, sia per la Sicilia di Malena.La Sconosciuta si colloca tra i  film migliori di Giuseppe Tornatore,regista accurato, con un gran senso degli attori e del dramma ma che lavora troppo poco.Ciò detto, nella speranza che il progetto ereditato da Sergio Leone,di un film sull’assedio di Leningrado possa trovare una realizzazione.

Come ti cucinerebbero la zuppa Chandler, Mann e Calvino

Come ti cucinerebbero la zuppa Chandler, Mann e Calvino

zuppa di kafka

Attenzione.Non è un libro di ricette.Non un saggio di letteratura.Non un altro libro di ricette da romanzi.Ma molto molto di più.Il sottotitolo è “Storia della letteratura mondiale dalle origini ad oggi in sedici ricette”, ovvero “La zuppa di Kafka”.In centotredici pagine il fotografo inglese Mark Crick non lesina l’impegnativo divertimento di scrivere firmandosi Austen,Borges,Chandler,Mann,Calvino,Chaucer,Proust,De Sade,Greene,Welsh,Woolf,Garcia Marquez,Omero,Pinter,Steinbeck,altrettante soluzioni che tra forme e contenuto descrivano l’autore.Un esempio ? Coq au vin alla maniera di Gabriel Garcia Marquez

Padre Antonio del Sacrament del Altar Castaneda era seduto in giardino e guardava il pomeriggio morire.Il buio cominciava a farsi opprimente come il caldo.Ritaedò il più possibile ilmomento di entrare nell’inferno della casa ma aveva fumato il suo ultimo sigaro e non aveva più armi contro le zanzare che lo assediavano.Così fu costretto a ritirarsi e a tornare dentro nel chiarore delle lampade a gas.La luce della cucina lo accecò mentre chiudeva la porta a quel nugolo d’insetti….”  Buon Appetito !

“La zuppa di Kafka” è un libro di Mark Crick edito da Ponte alle Grazie

Un infinito equivoco

Un infinito equivoco

Ritenendosi realizzatore del migliore dei mondi possibili e scopritore-inventore della formula costitutiva di un inscindibile insieme di libertà, verità, giustizia, ragione, tolleranza e ricerca della felicità, l’Occidente moderno non è praticamente disposto a tollerare in alcun modo “l’Altro da Sé”; esso non può accettare alcuna forma di civiltà che sia diversa dalla sua ma di pari dignità né ritenere possibile che possano esistere alternative (e, meno ancora, ch’esso possa essere in torto). Gli apologeti dell’Occidente, confondendo tra relativismo etico e relativismo antropologico, mostrano d’ignorare la grande lezione di Levi Strauss secondo la quale ciascuna civiltà va giudicata nel suo complesso e non c’è nulla di più improponibile di isolarne i singoli componenti per esaminarli alla luce di principî che non sono i suoi.
Ne consegue che l’Occidente moderno è affetto dall’infezione totalitaria espressa dal suo “pensiero unico” che lo conduce a concepire un unico modello di sviluppo per tutta l’umanità. Esso è, inoltre, vittima d’una schizofrenia irremissibile tra la tolleranza e i diritti dell’uomo, valori che ritiene fondanti della sua identità, venera a parole e sostiene di difendere, e il nucleo duro e profondo della sua realtà fondata sull’avere e sul fare anziché sull’essere: la Volontà di Potenza. La folle neoideologia dell'”esportazione della democrazia” proposta dal gruppo dei neoconservative ispiratori della politica del presidente Gorge W. Bush jr., il gruppo dei Wolfowitz, dei Perle, del Kagan, dei Rumsfeld, si fonda sulla vertigine di questa persuasione di eccellenza e di superiorità, sulla convinzione di un “destino manifesto” in grado e in diritto di estendere a tutto il mondo quel “cortile di casa” che, nella tesi isolazionista di Monroe (1823), si estendeva all’intero continente americano. Che poi questa sconfinata volontà di potenza, questa ineusaribile ricerca del benessere, della sicurezza della felicità, finisca in realtà col rendere chi cade in questo vortice eternamente insicuro, infelice e inappagato, è un altro discorso: ma nasce proprio da qui il rischio della “guerra infinita” nella quale i cantori del nuovo Occidente rischiano di trascinarci.
Ma, sul piano delle definizioni, siamo nel campo d’un infinito equivoco. L’Occidente sembra oggi una “cosa” reale, un termine chiaro che indica un soggetto preciso: quella “civiltà occidentale” che, secondo Huntington, corre il rischio di venire assalita da altre civiltà, compatte e ben delineate come la sua ma ad essa ostili. Peccato che si tratti soltanto, al contrario, di nomina nuda. “Occidente” non è una cosa, una realtà geostorica o geoculturale: è una parola equivoca, che ha subito nel tempo una serie di slittamenti semantici e il cui attuale significato è tanto recente quanto equivocamente e perversamente diverso da come lo intendono molti europei convinti che esso ed Europa siano quasi sinonimi.
Al di là dell’antica contrapposizione tra Asia ed Europa,la fusione dei valori “orientali” (asiatici) e di quelli “occidentali” (ellenici e poi romani) è passata attraverso le grande sintesi ellenistica, avviata da Alessandro Magno e perfezionata da Cesare.I termini “Oriente” e “Occidente”, nel mondo tardoantico e medievale, sono stati certo utilizzati: ma nella prospettiva del rapporto tra la pars Orientis e la pars Occidentis dell’impero romano uscito dalla spartizione imposta dal testamento di Teodosio, alla fine del IV secolo.
Nonostante quanto oggi si crede, l’uso corrente d’identificare la “nostra” con la “civiltà occidentale” è recente. Ancora ai primi del XX secolo, si parlava piuttosto d’Europa, della magia, del favoloso-irrazionale. La civiltà europea sentita da Hegel come “la grande sera” del giorno della civiltà umana è forse il punto d’arrivo del maturare di questa concezione.
Il mutamento importante che riguarda i nostri giorni ha radice però nella pubblicistica statunitense. E’ nel XIX secolo che scrittori e politici statunitensi guardano al loro continente e agli States come a quell’Occidente di libertà contrapposto al quale c’è un “Oriente” che gli europei non si aspetterebbero: l’Europa, appunto (del resto ineccepibilmente e obiettivamente a est dell’America), terra dell’autoritarismo, della tradizione, degli infiniti ceppi teologici e giuridici che imbrigliano la libertà.
Quest’identità statunitense di Occidente e libertà è tornata, dopo Yalta, a sostanziare di sé la nuova dicotomia del potere , distinta ormai fra un “Mondo libero” e un “Mondo socialista”: due mondi che appunto s’incontravano e confinavano nella Cortina di Ferro che tagliava in due l’Europa; e che convergevano nel far sparire il concetto stesso di Europa. La fine del tempo dell’equilibrio tra le due superpotenze (guerra fredda sì, ma anche spartizione e sotto molti aspetti complicità) ha condotto con chiarezza a una nuova situazione, definita appunto da Samuel P. Huntington: l’Occidente come cultura unitaria e compatta, ma caratterizzata dalla leadership della volontà politica e dei valori elaborati dagli Stati Uniti, cui la “vecchia Europa” è chiamata in molti modi a uniformarsi e rimproverata di non uniformarsi abbastanza. Dinanzi a questo nuovo “Occidente”, l’Europa – conforme del resto anche alla realtà geografica del globo dovrebbe forse rintracciare la sua vocazione di civiltà nata e cresciuta in stretto contatto con il mediterraneo, l’Asia e l’Africa, e alla luce di ciò rivendicare un ruolo di cerniera con gli “Orienti”. Essere occidentali ed essere europei non è più sinonimo.

Clichy sus bois (se questa è vita)

Clichy sus bois (se questa è vita)

Se si parla di banlieues, non si può dissociare gli immigrati di origine maghrebina dagli altri. Perché che siano maghrebini, neri africani, turchi, curdi, la situazione è la stessa, non ci sono trattamenti “di favore” per i maghrebini. Clichy-sous-Bois conta 28mila abitanti. La metà della popolazione ha meno di 25 anni. Per più di un quarto delle famiglie, il capofamiglia è disoccupato. La popolazione attiva con un lavoro – per il 71 percento impiegati e operai – è diminuita negli anni Novanta, con un calo del 14,6 percento. Un’altra caratteristica di Clichy è la sua verticalità: il 78 per cento degli alloggi sono in condomini e ospitano l’80 percento degli abitanti. Circa il 50 percento delle abitazioni si trovano in palazzi di nove piani o più. Un quarto delle famiglie di sei persone o più abitano in trilocali o appartamenti ancora più piccoli.

I problemi nelle banlieues, e in particolare a Clichy, vanno ben al di là dei problemi di comunicazione tra francesi e stranieri, anche se il razzismo è ben presente (anche in senso inverso: a Clichy i francesi sono largamente minoritari, tirate voi le vostre conclusioni…). Poi, c’è tutta una cultura (musulmana) che noi non conosciamo veramente, questa immagine della donna sottomessa, i figli maschi che sono un po’ i re della famiglia…ecco che queste cose hanno effetto anche sulla vita quotidiana: a scuola, i professori sono in grande maggioranza donne, e dato che le donne sono “meno che niente”, le professoresse perdono tutta la loro credibilità, e non sono rispettate. Come fai a imparare qualcosa se non c’è la minima considerazione per l’insegnante, tanto più che il rifiuto che ti porti dentro viene dai tuoi genitori! Non so se la ragione dei tanti abbandoni scolastici sia questa, ma certo può contribuire. Aggiungete a questo le cifre sulle condizioni degli alloggi, e vi rendete conto che ci si ritrova con degli appartamenti dove ci sono quattro o più bambini nella stessa camera, non proprio le condizioni migliori per studiare.

Poi alcune ragazzine, una volta che sanno leggere, partono in vacanza “verso quel posto lontano” ma non tornano più…alcune tra loro sanno che ritorneranno al loro paese, allora fingono di non saper leggere, e rifanno l’anno. Non so se conoscete la fierezza dei musulmani riguardo ai loro bambini (“mio figlio ha studiato!”) e spesso, una bambina che non riesce bene negli studi è una bambina picchiata, e non vi immaginate come. Non vi dico dei bambini picchiati con i cavi elettrici, o di quel ragazzino gettato dalla finestra dal suo patrigno perché aveva riso durante la preghiera, e della sorella che da quel giorno non parla più…non vi racconto di quelle bambine che dovevano fare il bagno davanti al padre e ai suoi “amici”, o di quel bambino che è arrivato a scuola con le costole rotte, né di quello che gioca nel cortile della scuola con una pistola vera, trovata nella camera del fratello…non vi racconterò la storia di quei cinque bambini, il più grande di undici anni, lasciati a se stessi sulla strada, perché “papa è tornato nel suo paese con la sua seconda moglie, e mamma è sparita”, perché la madre è in prigione, presa mentre si prostituiva per mantenere i suoi figli….o ancora quei bambini che dormono nella stessa stanza con la madre e quel signore “che non conosciamo” che dorme con lei…non mi soffermerei su questi episodi che sono la vita quotidiana a Clichy-sous-Bois ma che nessuno vede, nessuno sente…se ve lo racconto è solo per non dimenticare quelli che si dimenticano sempre, i bambini.

Si parla dei giovani che bruciano le auto, che sparano alla polizia…ad ogni modo, la polizia arriva sempre troppo tardi, quando il male è già stato fatto ed è già stato dimostrato che, quando il male non si vede, tutti se ne fottono. Può darsi che tutto questo casino nelle strade sia una sorta di appello di soccorso verso una società che se ne fotte. Ci sono sempre stati problemi del genere a Clichy-sous-Bois, ci sono sempre state macchine bruciate, ma sicuramente molti parigini hanno conosciuto questo nome solo nell’ultima settimana! Finchè può, la società tace e nasconde la miseria, e meno se ne parla più i politici si dicono che le banlieues non sono più un tema “caldo” e che si possono occupare di altre cose. Solo quando ci sono dei morti allora dicono “bisognerebbe fare qualcosa”, ed ecco che spunta “Sarko” (il ministro degli interni, Nicolas Sarkozy, ndT) a dire “beh, andiamo a ripulire tutto col karcher” (un apparecchio per la pulizia dei pavimenti, ndT). In effetti, ci sono centinaia di poliziotti che circondano la città, a poco a poco è tornata “la calma” ma tra una settimana, quando la tensione sarà scesa e i poliziotti andranno via, cosa succederà? Le reti di prostituzione infantile riprenderanno di nascosto, come il traffico di armi e di droga, sempre di nascosto dei bambini verranno picchiati…e quando, tra qualche anno, saranno davanti ad un giudice non importa quale reato,una voce dirà “non ha avuto un infanzia facile” e come al solito sarà troppo tardi.

Francia – Clichy sous Bois – 05.11.2005

Sebastien Durand

A cimma

A cimma

fda cimma

Stanno in piedi anche senza la musica questi versi de  “A’ çimma” di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati. Sono uno degli esempi di musicalità intrinseca della parola, e delle parole combinate con altre parole. E’ una probabile caratteristica del dialetto che qui in aggiunta, consente ai versi di raggiungere una perfezione non solo metrica. Questi :

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

ne sono un esempio. C’è un lavoro puntiglioso dietro al  testo, quindici giorni “legati alla sedia” come Vittorio Alfieri, come ha raccontato Ivano Fossati .Poi accade che la musica di Mauro Pagani, non priva di forti accenti mediterranei e suggestioni greche (Ndelele, bouzouki ,Gironda, Derbóuka) concorra a determinare un’ atmosfera piuttosto particolare, da cucina placidamente stregonesca, tra preghiere invocazioni e riti scaramantici , il tutto per la riuscita della Cima, un “lavoro” che è fatto di passaggi delicati, di ripieni  di varie interiora, di pinoli, maggiorana e piselli da amalgamare, assistiti dall’alchimia ma anche dalla madonna che scaccia gli spiriti maligni dalla pentola in cui avviene il tuffo finale, il battesimo nelle erbe aromatiche. Un solo rammarico al momento in cui i camerieri verranno a portare via il pranzo, lasciandoti solo con “tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè” , tutto il fumo del tuo lavoro.

Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà

Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare

ti t’ammiàe a ou spègiu de ‘n tiànnin
ou cè s’amia a ou spègiu da ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn 

ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarda allo specchio della rugiada
metterai la scopa (di saggina) usata (usurata, indurita) in un angolo

che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia

che se dalla cappa scivola in cucina pulisce
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura

Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun

Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche

cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia

con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia

ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè

che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera

nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria

non ritornare dura
e nel nome di Maria

tùtti diài da sta pùgnatta
anène via

tutti i diavoli da questa pentola
andate via

Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè

Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere

tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià

tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via