Sfogliato da
Tag: 11 tesi dopo lo tsunami

Undici post

Undici post

Più umilianti ancora della sconfitta sono stati i termini del dibattito politico di questi ultimi mesi. Perdere può non essere un’esperienza tragica se ciò accade nonostante una lettura credibile dei segnali  di cambiamento che  la società manifesta di continuo o a fronte di proposte che da una parte ne tengano il dovuto conto e dall’altra non siano, divenendone il riflesso, ad esse soggiogate :

C’è un compito politico che ci impone nel tempo medio , di chiudere il dopo 89. Che vuol dire superare la diaspora che ha diviso la sinistra a partire da quella data  e ricomporla unitariamente, in grande, in avanti .

E’ un passaggio del discorso che Mario Tronti ha tenuto all’assemblea del CRS di venerdì scorso . In tal senso  le Undici tesi dopo lo tsunami   – declinazione del compito di cui sopra –  rappresentano il nucleo intorno al quale sviluppare una proposta politica  e insieme culturale  al cospetto  di un cambio di fase storica che reclama iniziativa. Qualcosa si può mettere in moto seguendo direttrici  non scontate nella discussione del dopo sconfitta e se il problema è, come più volte si è osservato, culturale prima ancora che di agenda politica, ci sarà modo di affrontare quanto è stato in questi anni rimosso se si attiva la necessaria capacità di uscire dal campo limitato del ceto politico di transizione, dislocando finalmente  i conflitti su territorio glocal . Niente, come si può capire, è a portata di mano in questo progetto di ricostruzione di una sinistra moderata, autonoma, critica, autorevole, popolare che contrasti la destra illiberale, non fascista e autoritaria sedimentatasi in Italia dal 1994 ad oggi ma… comunque la si pensi –  e all’assemblea del CRS i molti interventi hanno rappresentato una vasta gamma di umori – a me sembra che queste undici tesi siano la base di dialogo più interessante e concreta a nostra disposizione in questo momento. Per questo le ho fatte  diventare undici post e un nuovo tag, in modo che chiunque ne abbia voglia, possa chiosare nei “commenti" come meglio crede :

1) Cambio di passo

1) Cambio di passo

 Aprile 2008: va rilevato il tratto di discontinuità, forse di salto. Non si può riprendere il discorso dall’heri dicebamus. Occorre un cambio di passo, nella ricerca e nell’iniziativa. Non stava scritto che la transizione si chiudesse a destra. Ma così è avvenuto. E tuttavia non è la sorpresa il sentimento dominante: i segni c’erano, nel paese, e anche a Roma. Perché non siano stati letti, è il problema. D’altra parte, non è la paura il sentimento che ci deve dominare. Non c’è Annibale alle porte, non ci sarà un passaggio di regime. C’ è una nuova destra, di governo, e di amministrazione, da sottoporre ad analisi e da contrastare nella decisione, con uno scatto di pensiero/azione.

2) Doppio fallimento

2) Doppio fallimento

Si conferma il dato, che viene da lontano, di una maggioranza di centro-destra nel paese reale. Negli ultimi quindici anni, l’opinione di centro si è avvicinata all’opinione di destra. Se la Dc era un centro che guardava a sinistra, Forza Italia è un centro che guarda a destra. Questo ha dato l’illusione che ci fosse un residuo di centro da conquistare a sinistra. C’era, ma meno consistente di quanto si pensasse. I mutamenti, non colti, di società, a livello di territorio, sono stati più forti dell’iniziativa politica. Sono state due le risposte a questi smottamenti di opinione: una a vocazione maggioritaria, una a vocazione minoritaria. La prima, una risposta, diciamo così, espansiva: competere al centro, per togliere al centro-destra un pezzo di consenso. Così, i Progressisti, poi l’Ulivo, poi l’Unione, poi il Partito democratico. Che quest’ultimo potesse assolvere a questa funzione da solo come un tutto, si è dimostrato un progetto, a dir poco, non realistico. La seconda, una risposta, diciamo così, difensiva: marcare una posizione alternativa, con una grande ambizione e una piccola forza. Non si può essere, troppo a lungo, anticapitalisti e deboli, antagonisti in pochi. Aprile, il più crudele dei mesi: due fallimenti, del centro-sinistra e della sinistra, del grande partito di centro-sinistra e della piccola aggregazione di sinistra

3) Politica muta

3) Politica muta

Qui, un punto teorico-politico, che va affrontato. Si potrebbe chiamare l’equivoco della rappresentanza. Anzi, il rapporto tra l’equivoco della rappresentanza e quella che si dice la crisi della politica. Che cosa viene prima, una crisi di rappresentanza sociale o una crisi di proposta politica? Che cosa fa più difetto, la rappresentanza o la rappresentazione? Proviamo a rovesciare il senso comune. E diciamo così: la crisi della politica comincia non quando la politica non sa più ascoltare, ma quando la politica non sa più parlare. Certo che bisogna ascoltare, la rappresentanza è essenziale, capire la società, conoscerla, ma non è tanto la mancanza di questo che sta al fondo della crisi della politica. Il fondo della crisi della politica è nel crollo di soggettività politica, nella caduta, relativamente recente, della proposta soggettiva. La politica non sa più parlare proprio perché non sa più leggere, non sa più interpretare. E quindi non sa orientare, non sa dirigere. L’equivoco della rappresentanza è il fatto di assumere il dato così com’è, anche il dato della società, anche il dato della maggioranza di centrodestra nel paese. Se tu lo assumi così com’è, e cerchi di correggere questo, e non ti fai carico invece di una proposta politica forte, lì inneschi appunto un processo che va a finire nella crisi della politica. Prima produci l’antipolitica e poi ti fai carico di rappresentarla

4) Decifrare e tradurre

4) Decifrare e tradurre

Quando la politica non sa più parlare, allora viene fuori un ceto politico, e un ceto amministrativo, autoreferenziale, che parla a se stesso e di se stesso, perchè non sa più parlare al paese, alla società. Questo ceto politico, impegnato a occuparsi di se stesso, entra nella logica di qualsiasi altro ceto, di qualsiasi altro corpo della società. Per garantirsi il consenso insegue le pulsioni di massa. Più le rappresenta, più vince. La politica non è scollata dalla società civile, è incollata ad essa. Se società civile è il campo degli interessi particolari e degli egoismi corporati, allora la politica di oggi non la rappresenta poco, piuttosto le assomiglia troppo. Questa politica è un pezzo di questa società, subalterna alle leggi di movimento, nazionali e sovranazionali, attraverso cui essa si autogoverna. Di qui, la crisi di senso dell’agire politico, vero e proprio fatto d’epoca del nostro tempo. Perché, compito principale della politica non è dare risposte, è fare domande. E’ la politica che deve interrogare la società, e il dato che c’è, deve appunto saperlo leggere, decifrare, tradurre, e solo dopo che lo ha interpretato, può rappresentarlo, ma mai rappresentarlo come riflesso passivo, mai specchiarlo così come si presenta oggettivamente, nel suo gioco incontrollato di forze.