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Atmosfere curiali e vedovili (a tempo di rock)

Atmosfere curiali e vedovili (a tempo di rock)

C’era una volta la Democrazia Cristiana .Qualcuno con riferimento ai recenti fatti dirà ” ma c’è ancora” .Non date retta. La storia ultimamente non riesce a ripetersi nemmeno in forma di farsa : la DC finì col settimo mandato del Divo Giulio. Che se ne è andato proprio oggi a distanza di quattro anni da questo appunto di Cannes 2008 il 25 di maggio,  quando cioè Sorrentino con il Divo  e Garrone con Gomorra riuscirono nell’impresa di renderci entusiasti. Che film si fanno in questo Paese,alle volte :

 

 

 

 

Chissà il divo Giulio, quello vero, cosa penserà di questo inatteso successo del film di Paolo Sorrentino. Dell’anteprima di Roma, privatissima – tre,  forse quattro persone – si sa che è rimasto fino alla fine della proiezione ma che si è indispettito non riconoscendosi –  troppo cinismo – nel personaggio interpretato da Toni Servillo.

 

E pensare che Sorrentino al biopic,  all’inchiesta, alla stesura da  fim politico convenzionale, ha preferito l’astrazione, puntando direttamente a definire dell’uomo politico, un ritratto grottesco, mefistofelico e surreale. Una metafora del potere come si conviene al personaggio in questione che però riesce a non essere egualmente  generica e di maniera. Una scelta questa che sottrarrà, di sicuro, consenso almeno da parte di chi si aspettava un’ elencazione di fatti, qualche rivelazione e magari un giudizio sulla colpevolezza o l’innocenza.

 

Sorrentino del resto, di tutti i registi della sua generazione è il più innovatore, vuoi per tematiche, che per uso spericolato della macchina, il suo cinema è bellissimo dal punto di vista estetico e assai  curato ma non ammicca mai allo spettatore con l’offerta di soluzioni facili o ruffianesche. Qui abbiamo per sovrapprezzo un ritmo incalzante scandito  da mirabolante colonna sonora che a tratti segna l’andamento da clip rockettara.

 

Ma un’altra grande metafora – Todo modo – di Elio Petri, è nascosta tra le pieghe di questo film  che seppur non manifestata sottoforma di esplicita citazione ne incarna pienamente lo spirito. Il periodo che va dal 1991, data di avvio del settimo mandato da presidente del consiglio, al 1995 col processo di Palermo per collusioni mafiose, è quello che segna il declino della DC, dal punto di vista narrativo è il momento più denso di opportunità per raccontare, con la fine di un’ epoca, di mafia, strategia della tensione, omicidi eccellenti, in un intercalare di flash tra orribile passato e non meno orribile lascito nel presente, lasciando libero lo spettatore di riannodare tutti i fili della trama. 

 

Il film si apre con un ralenty, i fedelissimi Paolo Cirino Pomicino, Vittorio Sbardella, Franco Evangelisti, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, avanzano circondando il Capo, ignari  del terremoto che sta per travolgere la Prima Repubblica. Prologo di grande impatto. Ma di tutta quella lieta brigata, solo il Divo Giulio si salverà. Epilogo non meno drammatico.A Sorrentino va dato merito del tentativo riuscito di reinventare il cinema politico o civile e del duplice coraggio sia nel portare sullo schermo un potente (e vivente) uomo politico sia della scrittura anticonvenzionale . Efficace – al solito – interpretazione di Toni Servillo : inespressivo, silente, impassibile, rigido, ingobbito, notturno, più diabolico che mai e delle sue mani. Parlanti. (nelle interviste, sia Servillo che Sorrentino, hanno citato Giorgio Manganelli al quale si deve l’espressione curiale e vedovile riferita all’atmosfera di un congresso Democristiano. Il libro da cui è tratta si chiama Mammifero Italiano)

(Sed, 25 maggio 2008)

 

 

Il Divo è un film di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo Ralli, Giovanni Vettorazzo. Genere Drammatico, colore 110 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione Lucky Red

Il digitale introverso Guevara

Il digitale introverso Guevara


Mai cortese iniziativa  fu tanto celebrata dalla critica come quella del produttore di distribuire un cestino nell’intervallo tra la prima parte – L’Argentino –  e la seconda  – Guerrilla – del Che di Sodebergh. Cinque ore di proiezione possono anche esigere un ristoro a metà del tragitto,  ma in fin dei conti  non si era trattato che di un sandwich e di una bottiglia d’acqua, quantunque adagiati  in graziosa  mise en place. Eppure se ne può rinvenire entusiastica menzione in ogni quotidiano del giorno dopo, addì 23 maggio 2008, alla pagina delle  critiche cannensi, con enfasi più marcata rispetto all’introversa scontrosità di Del Toro – che poi però si rifece con la palma del miglior attore, alla faccia degli inguardabili predecessori Sharif e Rabal –  o della trepidante attesa di un distributore che all’epoca dell’imprevisto dejeuner, non s’era ancora trovato.

Le cinque ore di (autentica e cinematografica) passione allora erano già destinate a diventare due film, per esigenze di sala, ma va da sè che il lavoro non può essere giudicato che nella sua interezza. La seconda parte sarà distribuita qui da noi, il primo di maggio, ma si sarebbe potuta tranquillamente offrire l’opportunità agli spettatori di vedere i due lungometraggi in sequenza, pur mantenendo la distinzione.

Costruita, in parte, adottando la falsariga del libro dello stesso Guevara titolato Sulla Sierra con Fidel – Cronache della rivoluzione cubana, essenziale nella sua digitale bellezza, a siderali distanze da altre celebranti e motociclistiche operazioni, poco trionfale, e retorica nemmeno un po’, ecco servita una delle imprese più anticommerciali mai viste al cinema.

Dunque pregevole, soprattutto nel proposito ben riuscito di  restituire al Che il posto che gli spetta nella Storia. Liberata l’icona dalle fin troppo calde drammatizzazioni e dall’abbrutimento del merchandising, possiamo ritrovare integro lo spessore dell’uomo politico e del soldato, grazie alla particolare attenzione posta  da Sodebergh nel rappresentare  il luogo e i sentimenti che animavano il tempo in cui è ambientato il film. Cronaca di un progetto rivoluzionario, più che di un sogno, seguito minuziosamente e a passo di documentario da una regia tesa a non invadere mai il campo, questo Che rappresenta un diverso modo di affrontare il biopic, più fondato sulla ricostruzione storica  che sulle indagini intorno alla psicologia del personaggio. Probabilmente chi ha definito il film di Sodebergh come qualcosa che Rossellini, Coppola e lo stesso Guevara avrebbero molto apprezzato, non aveva tutti i torti.

 

 

 

Che è un film di Steven Soderbergh. Con Benicio Del Toro, Demiàn Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Yul Vazquez, Ramon Fernandez, Julia Ormond, René Lavan, Roberto Santana, Vladimir Cruz, Sam Robards, Jose Caro, Pedro Adorno, Jsu Garcia, María Isabel Díaz, Mateo Gómez, Octavio Gómez, Miguelangel Suarez, Stephen Mailer, Roberto Urbina, Marisé Alvarez, Christian Nieves, Andres Munar, Liddy Paoli Lopez, Francisco Cabrera, Pedro Telémaco, Milo Adorno, Alfredo De Quesada, Juan Pedro Torriente, Jay Potter, Blanca Lissette Cruz, Laura Andújar, Euriamis Losada, Unax Ugalde. Genere Biografico, colore 126 minuti. – Produzione USA, Francia, Spagna 2008. – Distribuzione Bim

 

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

 

 

Quando Gustave de Kerven  della premiata Delépine & Kervern  arrivò al Festival di  Roma – proveniente da Cannes e San Sebastian e diretto al Sundance, in un continuo mietere premi – a presentare il suo esilarante Louise Michel, storia  surreale –  ma non troppo – della chiusura di una fabbrica in Piccardia, nessuno avrebbe immaginato che di lì a poco, l’idea di rivalersi sui manager per i soprusi patiti e i licenziamenti , sarebbe divenuto per molti  lavoratori, il metodo di lotta del futuro.

Non nuovo a dire il vero, nemmeno qui da noi, visto che quello di sequestrare i fattori mentre i latifondisti si tenevano lontani ed al sicuro, protetti nelle loro residenze cittadine, faceva parte di un protocollo consolidato nelle lotte contadine fin de siécle e oltre. Per non tacer di Valletta e d’altri.

I manager come si sa, non sono i proprietari delle imprese, come i fattori non lo erano delle terre, ma intanto – in circostanze in cui è peraltro difficile stabilire chi sia il proprietario –  ne rappresentano la diretta  emanazione, per di più incarnando il massimo dell’ ingiustizia: quella di essere strapagati indipendentemente dall’efficacia dell’apporto produttivo. Aggiungendo al quadro il caos e la debolezza del sindacato, avremo un combinato disposto di latitanze  e  disagi in cui il dàgli al manager risulta essere l’unico modo in cui rabbia e senso d’impotenza possono esprimersi.

Anche Louise e le compagne, beffate da chi prima di spedirle a casa compera loro nuove divise e con il benservito di una liquidazione da fame, decidono, dopo aver esaminato diverse opportunità,  che l’unico investimento proficuo è mettere insieme il denaro per assoldare un killer e uccidere il boss che nel frattempo si è rifugiato in un paradisco fiscale, non si sa se di lista nera o grigia.

Di qui un susseguirsi di avventure incredibili si consumano sulle tracce del manigoldo. Poichè  non solo Michel, il designato killer,  è  piuttosto maldestro e nondimeno  intruppone mentre la sua coadiutrice Louise, non ne parliamo, ma come se non bastasse, in passato fu  donna e meno male – poi si scoprirà –  perchè anche Louise è stato uomo e da cosa può nascere cosa.

Sorta di western sociale secondo le intenzioni di Delépine & Kervern che hanno messo mano al progetto intenzionati a far sì che i più buoni potessero diventare cattivi e  i cattivi fossero degl’irriducibili criminali.

Un film divertente, piacevole, paradossale,   illuminato dalla presenza di Yolande Moreau, sguardo verde di rapinosa bellezza, attrice prediletta da Agnès Varda – quindi non si discute – , tre César, un vero talento al servizio di un personaggio duro, difficile e vagamente  trash. Da vedere senza pensare ad improbabili istigazioni a delinquere con la consapevolezza che non c’è proprorzione tra la tragedia della perdita del lavoro e di prospettive e  il chiudere a chiave un manager per mezza giornata in una stanza, il più delle volte per costringerlo ad ascoltare ragioni e richieste delle quali sembra non importare più a nessuno. Dedicato dai registi – anarchici – alla comunarda Louise Michel

  

Louise Michel è un film di Benoît Delépine, Gustave de Kervern. Con Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Sylvie Van Hiel, Jacqueline Knuysen, Pierrette Broodthaers, Francis Kuntz, Hervé Desinge. Genere Commedia, colore 90 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Fandango

Sweet home?

Sweet home?

Davanti ad una casa priva di vie d’accesso,  laddove altri hanno il giardino o il cortile,  loro hanno un’autostrada mai terminata, chiusa da dieci anni, deserta. Loro sono una bizzarra famiglia e utilizzano quello spazio un po’ surreale come veranda, parco giochi, solarium, pista di pattinaggio. Si direbbero un gruppo compatto, lieto, giocherellone, ma a ben vedere quella  ricerca di felicità vissuta ai margini, lontana da mode e da rumori nasconde seri squilibri. Quando all’improvviso  l’autostrada sarà ultimata e prenderà a funzionare rendendo loro difficoltosa la sopravvivenza,  reagiranno come sempre : ignorando la realtà fino all’autoesclusione, alla rinuncia,  murandosi in casa per sfuggire ai rumori e all’inquinamento


Opera prima – documentari a parte –  di Ursula Meier, molto apprezzata a Cannes e dalla critica francese in genere. Meno dalle nostre parti, dove il film è stato giudicato cerebrale e un po’ troppo metaforico. In realtà la sceneggiatura funziona benissimo mentre cresce il disagio o quando, da piccoli e grandi indizi, viene rivelata la natura sostanzialmente folle  di quell’ insieme domestico. Ma essendo la narrazione costruita pietra su pietra, per essere destinata ad un finale tragico, l’happy end che la regista ammette di aver voluto inserire all’ultimo momento, squilibra l’economia del racconto,  risultando spiazzante e curiosamente stonato, quell’ improvviso risolversi della tensione, banalmente …nel trionfo dell’amore.

Il nemico non viene da fuori a turbare una serenità che non esiste e in cui ci  ostiniamo  a credere, il nemico è dentro di noi. Negazione ed autodistruzione procedono di pari passo. Sbaglia la critica che ha bollato questo film come criptico.

Grandissima Isabelle Huppert regina – e probabile artefice – incontrastata dell’Incubo Domestico e magnifica interprete del disastro psichico sotterraneo, ruolo a lei congeniale e già largamente sperimentato.

Futura Presidente della Giuria a Cannes 2009, compito che si propone di assolvere democraticamente con  occhio particolarmente attento al cinema di qualità che però richiami il grosso pubblico. Aspettando un nuovo Fellini. Che arrivi o meno, una cosa è certa : Isabelle sarà all’altezza.

Home è un film di Ursula Meier. Con Isabelle Huppert, Olivier Gourmet, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein, Adélaïde Leroux Drammatico, durata 95 min. – Svizzera, Francia, Belgio 2008. – Teodora Film

 

La febbre di Raul

La febbre di Raul

Molto gradito anche alla critica più pignola, vincitore a Torino filmfestival e all’Avana,  non prima di essersi fatto notare alla Quinzaine, la primaversa scorsa, ecco qui Tony Manero, film del giovanissimo Pablo Larraìn che riesce a catturare l’attenzione e a non deludere le aspettative, nonostante la ricercata sgradevolezza, il duro realismo e una cifra autorale old style forse un po’ troppo marcata.

Anno 1978 sbarca nelle sale la Saturday night fever e il mito di Tony Manero dilaga,  le discoteche risorgono, mentre spopola la moda della danza, dei  completini bianchi e dei capelli ravviati. Alimenta la passione (e la facile identificazione) la storia di Tony, un commesso di  Brooklyn , Bay Ridge per la precisione, che si sente felice, e probabilmente anche se stesso, solo sulla pista del  2001 Odissey, la discoteca dove va ballare al sabato sera. Il fenomeno è di tale portata  da ispirare una discreta quantità  di trattati di sociologia. Dentro ci vanno a finire i nuovi riti del sabato sera, i sogni delle periferie, e quel ponte Da Verrazzano che da Brooklyn porta diritto a Manhattan e che tutti sperano di attraversare.

Nel Cile di Pinochet, dove non ci sono ponti dei sogni tra un quartiere popolare e il resto del mondo, Raul, un cinquantenne brutale e  violento, sembra non avere altro scopo che prepararsi ad un concorso televisivo che premierà il sosia cileno di Tony Manero. Ossessionato dal film  che vede e rivede sempre nello stesso cinema, vive uno stato di costante esaltazione, ripete le battute in inglese, prova di continuo i passi, si costruisce una minidiscoteca con materiali di risulta, ma soprattutto per raggiungere il suo scopo è disposto a tutto, persino a  rubare e a  uccidere.Tutto questo accade mentre le camionette percorrono le strade a caccia di oppositori, in un clima tetro e violento, dal primo all’ultimo fotogramma. 

Raul è l’incarnazione dell’immoralità del regime, del clima d’ impunità in cui è prosperato,  della folle esaltazione per il sogno americano, del potere allucinatorio del cinema yankee cui il regista Larraìn rivolge critiche severissime, in parte immeritate.

Molto efficace e ricca di sfumature l’interpretazione dell’attore  Alfredo Castro ( co- sceneggiatore, per l’occasione)

Mostrare e non dimostrare è, per sua stessa dichiarazione, l’obiettivo che il giovane regista si prefigge. Tony Manero risente positivamente di questo impegno che però non sempre riesce a tradurre in immagini. Poco male. Nel linguaggio cinematografico esistono modi sottili ed impercettibili della dimostrazione, sembrano innocui ma non lo sono. Un film sul regime di Pinochet è un terreno ideale per ogni tipo di tentazione didascalica ma che il regista Larraìn, classe 1976, apprezzi una delle più importanti lezioni di Rossellini, non manca di renderci, cinematograficamente, soddisfatti.

Tony Manero è Un film di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete. Genere Drammatico, colore 98 minuti. – Produzione Cile, Brasile 2008. – Distribuzione Ripley’s Film