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Tag: cannes 2008

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Al cuore non si comanda e dunque, prima di raccontare delle complicate circostanze che hanno portato Georges Wolinski,  il  garbato e affascinante signore  dell’immagine qui sopra, a Cannes, dirò del suo talento e di come grazia, eleganza, tratto lieve e senso artistico, pur messi al servizio di cause feroci e mortifere quali la guerra dei sessi e l’intramontabile maschilismo, riescano spesso nella non facile impresa di neutralizzarne i devastanti effetti. Se satira dev’essere, satira sia, anche a rischio di sfiorare argomenti che per istinto falsamente ideologico, si vorrebbero trattati con maggior rispetto. Tanto Georges con tutti quei porconi laidi e allupati non la conta affatto giusta e come spesso capita in queste circostanze è il disegno e non le battute a rivelare da quale parte pende l’autore. E poi c’è una qualità che su tutte spicca e che lo rende unico : l’imprevedibilità. Non è poco se si pensa alla semplicità delle pulsioni su cui fa leva la satira e all’inevitabile senso di scontato  che spesso produce il voler strappare la risata facile a tutti, e a tutti i costi.

Wolinski del resto, è sempre stato irrefrenabile fin dagli esordi, così  dopo aver fondato giornali sovversivi come L’Enragè; – dodici numeri distribuiti a mano a Parigi, anno di grazia 1968, più esplosivi di cinquanta molotov confezionate con amore  educato i suoi istinti peggiori in accademie quali Hara Kiri, subtitled Journal bête et méchant, poi trasformatosi, per un combinato disposto di disgrazie economiche e immancabili noie legali prima in Hara Kiri hebdo e infine in Charlie Hebdoet pourquoi pas Charlie Hebdo? disse monsieur Wolinski ad una cena costituente la nuova creatura editoriale –  il nostro caro Georges si ritrova in tribunale con tutta la redazione. Esperienza non nuova certamente ma questa volta non è il ministero degl’Interni che chiama a render conto di questo o quel misfatto ma nientedimeno che la Moschea di Parigi,l’Unione delle Organizzazioni Islamiche in Francia e la Lega Islamica Mondiale. Tombola.


Tutta colpa di una copertina di Charlie Hebdo disegnata da Cabu, in cui un Maometto di nero vestito, sopraffatto dagl’integralisti e al colmo della disperazione, mormora la frase c’est dur d’etre aimè par de cons che poi è anche il titolo del documentario che ha portato Wolinski, Philippe Val ed altri a Cannes per la presentazione ufficiale di sabato scorso.Si tratta della cronaca di quel  processo nei tre giorni in cui si avvicendarono testimoni eccellenti, uomini politici – da Hollande a Bayrou senza contare i telegrammi di sostegno dell’allora candidato presidenziale Nicolas Sarkozy –  più noti cineasti, noti disegnatori satirici e noti preti antisemiti. Una sarabanda assolutamente folle e godibile  anche se non si è appassionati di procedure, divertente per l’assemblaggio di momenti quasi teatrali in cui il diabolico avvocato maître Francis Szpiner – uno dei legali di Chirac, si scoprirà poi,  che ha assunto le difese della Moschea di Parigi preoccupato per eventuali ritorsioni islamiche sui francesi all’estero –  tenta il colpaccio invocando in aula la libertà d’espressione per tutte le religioni mentre alla sua controparte  maître Richard Malka non par vero di cogliere l’occasione per mostrare alla giuria le vignette islamiche su Benedetto XVI assai inquietanti per la verità. Ironicissimi ed elegantissimi – ed entrambi presenti a Cannes – i principi del foro parigino, un po’ meno la folla ripresa fuori del Palais de Justice, vivace e litigiosa, in verità. Ma tanto è inutile. Non è che si sia nella patria della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, più volte ribaditi dal 1789 fino al 1948, così, per cambiar aria. La sentenza è di piena assoluzione perché la libertà di espressione è un caposaldo della democrazia. E gran trionfo per tutti – avvocati, disegnatori, redattori e regista – è stato anche al festival, dopo tutte quelle misure di sicurezza e quelle cautele, ci sarebbe mancato anche il flop : alla fine vincono coraggio spregiudicatezza, laicità e libertà d’espressione. Almeno in Francia.

 

C’est dur d’etre aimè par de cons è un film di Daniel Leconte  prodotto dalla Film en Stock; distribuito da Pyramide film. Francia 2008

Montée des Marches ( eppure battono alla porta)

Montée des Marches ( eppure battono alla porta)

Per oggi a Cannes erano previsti : il sole, l’arrivo di Julie Christie e di Sylvia Koscina, la partenza del travestito Harlow, diretto a San Francisco, per abbracciare il fidanzato reduce dal Vietnam, un ulteriore aumento del prezzo dei pompelmi e delle passeggiatrici, il pieno assoluto dei grandi alberghi, il terzo miliardo di affari al Marché du film. Invece oggi ci sono la pioggia le bandiere amainate. ” Niente carnevalate” ha detto De Gaulle di ritorno da Bucarest. Almeno a Cannes il suo ordine è stato scrupolosamente osservato : la Costa Azzurra ha l’aspetto grigio e languoroso di fine stagione. E siamo a maggio.

Maggio del 1968 ovviamente. Quanto a maggio 2008, a Cannes,  di uguale c’è rimasto solo il maltempo, essendo sin improbabile definire  languorose e grigie le tende e le chaises longues della spiaggia, men che meno la pletora di yacht ancorati  al largo. Quarant’anni sono passati da quando il cronista raccontava in una sorta di day after, quel che era successo la sera prima al Palais, quando cioè Truffaut, Godard, Polanski  e Malle, si erano aggrappati , per protesta, al telone dello schermo. Cannes – avevano detto  –  è un insulto, non appartiene a questa epoca ma alla Belle Epoque dei nostri nonni, con gli aristocratici che passeggiano in Bentley, autista  e valletto malese, il tutto a fare da degna cornice  a film come Via col Vento – una copia del quale, appositamente restaurata,  inaugurava la manifestazione quell’anno –   Il festival fu – come da esplicita richiesta dei contestatori  equamente divisi, chi a fronteggiare la polizia sulla Croisette, chi a occupare il Palais – sospeso.

Chi avrebbe detto che dalla porta spalancata sullo scandalo degli spettatori in sala, Godard e compagni avrebbero fatto irrompere il Cinema attraverso le voci degli operai della Renault e degli studenti delle facoltà francesi occupate, rivendicando a gran voce l’esigenza di raccontare le storie del proprio tempo insieme a sogni, pulsioni liberate, desideri. Non era, ovviamente, una retrospettiva di Via col Vento, il peggior di tutti i mali, ma ben rappresentava il prototipo del film festivaliero, un colosso americano, improbabile, romantico e zuccherosamente sudista. Ma se la rivoluzione non può avanzare,come purtroppo avvenne, che almeno si proceda sul terreno di utili riforme. Così contestatori del maggio 1968  Godard, Truffaut, Malle, ben sostenuti  da maestri  del calibro di  Chaplin, Hitchcock e Rossellini,l’anno successivo crearono la Quinzaine des Réalisateurs, la sezione autonoma gestita dagli autori francesi che, senza entrare in conflitto con la selezione ufficiale, ne divenne, com’era nel progetto, irrinunziabile stimolo per il cambiamento.

Da allora nessun Festival potè più dire di essere lo stesso. Oggi la Cannes risorta dalle ceneri di quella contestazione, è irriconoscibile : è cambiato il pubblico ( in meglio, più appassionato e disponibile anche alle offerte più ardite ) e lo stesso concetto di film da festival. Quel che un tempo era considerato un tipico, incomprensibile, prodotto d’autore, da presentare nelle rassegne minori e magari  nelle proiezioni di mezzanotte,  oggi fa bella mostra di sé  in Concorso, mentre al povero Indiana Jones non “rimane” che trasformare la facciata del Carlton in tempio atzeco. Con tanto di incredibile, anacronistico orologetto da polso Chopard, al centro della scena. Contraddizioni da accettare con serenità, senza musi, acredini e moralismi, c’è tanta di quella offerta culturale in questo Paese dei Balocchi, tanta capacità di rigenerarsi anno dopo anno, che puoi tranquillamente goderti la festa senza curarti dell’andirivieni di elicotteri, dell’abito di Fendi di Garrone  e di quelli Dior pour homme dell’intero cast del film brasiliano Linha de Passe e dopo aver appreso che persino il ribelle Deninis Hopper firma un video per Tod’s, vincere la gara di resistenza al freddo e alla pioggia con i buyers asiatici, l’unico vero must di quest’anno (resistere in sandali e Burberry)

Ecco Gomorra

Ecco Gomorra



L’unico rischio era quello che Gomorra diventasse, nella trasposizione, un documentario, ovvero un film di denuncia, cioè che di tutta quella materia ricchissima su cui poggia  il libro, si facesse, trascinati dall’enfasi, un’opera didascalica  –  il Bene e il Male distintamente allineati – con coronamento di giudizi ed esperte considerazioni. Su tutto – cronaca, sociologia, economia, criminologia, politica – invece ha prevalso il Cinema nel racconto di sei episodi emblematici, messi in scena da Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Maurizio Brauccio, interpretati da un gruppo di solidi attori teatrali sotto la direzione da Matteo Garrone, bravo anche nel maneggiare il magma con il distacco che richiede ogni narrazione già drammatica di per sè. Gli episodi s’incrociano determinando una trama in cui nulla è casuale  – fabbriche clandestine cinesi, stakeholder  dello smaltimento illegale, esecuzioni a freddo, ragazzini ansiosi di entrare a far parte del giro, mitologia malavitosa   - ma in cui Garrone riesce ad esprimersi differentemente  dalla nutrita schiera dei registi che si sono occupati del genere, proprio per quella sua attenzione ai fatti più che alle digressioni . Dietro la regia essenziale, tuttavia, come sempre capita in questi casi, s’intravede un lungo lavoro di ricerca introspettiva e sui contesti . Il film  non è sfuggito ai selezionatori di Cannes 2008. Inserito nella sezione Concorso  farà il suo esordio domenica prossima. Qui in Italia,  è nelle sale a partire da oggi.

Gomorra è un film di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster. Genere Drammatico, colore 135 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribution

Tentarle tutte

Tentarle tutte

Tutte le mostre del cinema sono macchine di mondanità, cinefilia e mercato, ma solo Cannes sa coniugare i tre elementi in chiave di scelte qualitative impeccabili e soddisfacenti. Il cinema non è più lo stesso, il festival quindi deve confrontarsi con queste trasformazioni evitando di chiudersi in se stesso, di diventare un circolo per i soli abbonati. aveva detto Thierry Frémaux il nuovo  délégué général   di Cannes alla presentazione parigina dell’edizione 2008, cosicché tutti avevano pensato a chissà quali cedimenti nei confronti del mercato. E invece niente, basta guardare la programmazione per capire quanto la sua Cannes sia ben lontana finanche da tentazioni scioviniste lasciando pochissimo spazio nella sezione dei film in gara,  sia alla potente cinematografia francese di stato ( che tutto paga, alla Sale Lumiére come nei dintorni per un raggio di venti chilometri ) che alle multinazionali ( che tutto possono ). La lista dei film in concorso parla chiaro:  tra gli altri, un dittico su Che Guevara di Steven Soderbergh : The argentine e Guerrilla girati il primo in 16 mm anamorfico, il secondo in super 16, niente Dolly, tutto macchina a mano e treppiede, prodotto con finanziamenti non USA.  E ancora Clint Eastwood con The Exchange, thriller indipendente con Angelina Jolie,  Wim Wenders con Palermo  Shooting, storia di un fotografo di mezza età in crisi. Intelligente anche la scelta di dedicare ampi spazi alle cinematografie latinoamericana, turca e israeliana, presenti sia in Concorso che alla Quinzane nel segno di una vitalità culturale di cui  Cannes non difetta  ma anche di un non voler demordere :  rispetto alla recessione che avanza e che ha dimezzato il volume d’affari del Sundance Festival, è necessario esplorare nuovi mercati.Tentarle tutte insomma . Vedremo.. è proprio il caso di dire . Menzione speciale a Richie Hevans che inaugura la Kermesse cantando Freedom in omaggio a Woodstock  – qui tra le altre cose si celebra il quarantennale del 68 con mitica filmografia d’epoca – al manifesto della Mostra firmato  David Lynch e al gran ritratto di Ingrid Betancourt, sul Palais per il quarto anno consecutivo. Il resto sono storielle per riempire la rubrica social dei giornali che ancora ne detengono una, (cioè quasi tutti)  : la cascata di diamanti e zaffiri di Chopard ( sponsor ufficiale e realizzatore del premio : la palma d’oro) sullo chiffon glicine di Bar Rafael, il pancione della divina Jolie, Sean Penn, presidente della giuria – sobrio! – che tanto per cambiare dice male di Bush e fuma al chiuso della sala di riunione insieme alla Satrapi, Madonna e Sharon Stone a raccogliere fondi per la ricerca sull’Aids, la Muti con scollatura abissale, Kashoggi, Afef, Eva Longoria, Natalie Portman in viola  …e non è ancora arrivato Indiana Jones con il suo ultimo film, ovviamente e rigorosamente fuori concorso…che gran lancio però.