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Il risentimento del perdente radicale

Il risentimento del perdente radicale

La bibliografia di Hans Magnus Enzensberger vanta titoli suggestivi come Che noia la poesia.Pronto soccorso per lettori stressati o Dialoghi tra immortali,morti e viventi o La breve estate dell’anarchia.Vita e morte di Buonaventura Durruti oppure Ma dove sono finito.La mia nota è necessariamente breve  poichè per contenere i titoli dell’opera omnia,non basterebbe l’intera pagina di un giornale.Tedesco,classe 1929 animatore insieme a Günter Grass ed Heinrich Böll del Gruppo 47, costituito nella Germania Federale per il rinnovamento della letteratura tedesca,Enzensberger  è una figura di spicco nel panorama culturale europeo,un vero e proprio maître a penser  che non ha mai tralasciato d’ intervenire  nella discussione pubblica esprimendo posizioni quasi sempre in controtendenza.Nel breve saggio Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer, Suhrkamp, 2006 (Uomini del terrore. Saggio sul perdente radicale) pubblicato di recente da Einaudi con il titolo de Il perdente radicale, Hans Magnus Enzesberger mette in relazione gli sterminatori adolescenti di Colombine,gli attentatori suicidi palestinesi,i talebani e i coniugi di Erba, accomunandoli in una unica tipologia  – perdenti radicali  – persone cioè che le vicende del mondo globalizzato ma sempre fondato su una competizione senza esclusione di colpi, ha messo fuori gioco,sospinti ai margini,privato agli occhi degli altri e soprattutto ai propri di ogni valore. A differenza del fallito, rassegnato alla propria sorte, però, il perdente radicale si ritrae in disparte,diventa invisibile,coltiva il suo fantasma,raduna le proprie energie e attende la sua ora.L’ora della resa dei conti .Non limitandosi a patire la propria condizione,si interroga cercando un colpevole e immancabilmente individuandolo nel vicino di casa rumoroso,nel campo di nomadi accampato nel suo quartiere,nello strapotere del Grande Paese o nel Complotto Internazionale.Certo nel suo desiderio di vendetta è un caso singolo , un’ anomalia, ma è un’ anomalia che la contemporaneità riproduce in serie,moltiplica a ritmo vertiginoso  e che va  ad infoltire a dismisura le fila dei perdenti radicali.Cosa accade allora quando questa molteplicità di sconfitte singolari, trova la sponda di un collante ideologico o una comunità pronta a mettere a profitto la valenza distruttiva ed autodistruttiva del perdente radicale?Facile per un intellettuale tedesco pensare subito a Versailles 1919,alla congiura “giudaico bolscevica” contro il popolo germanico e al nazionalsocialismo che speculando sul sentimento di sconfitta trascina  la Germania verso la guerra di sterminio e l’autodistruzione.Sulla scia di questo ragionamento sono anche i signori della guerra e i movimenti armati più o meno affetti da fanatismo o da perdità di realtà,pronti a raccogliere gli sconfitti della storia e della vita quotidiana.Sostiene inoltre  Enzesberger che oggi,tramontata la stagione delle utopie rivoluzionarie,vi è un solo movimento all’altezza dei tempi,capace di far scattare il dispositivo su scala globale con la possibilità di coinvolgere le masse di diversi paesi  ed è l’Islamismo.Esso dispone di tutti i requisiti necessari per trasformare la moltitudine dei perdenti che la globalizzazione dissemina lungo il suo cammino, in forza politico-militare : innanzitutto la frustrazione araba che vive il declino secolare di una civiltà che si era affacciata sul Mediterraneo vincente e innovativa,all’epoca del Califfato,come una intollerabile sconfitta inflitta ai credenti dalle schiere sopraffattrici degli infedeli coloro che non credono in nulla,rinnovata dal colonialismo e dallo Scambio Ineguale.Da ultimo il paragone drasticamente sfavorevole tra le condizioni di vita delle società arabe e quelle opulente dell’Occidente.Tuttavia – argomenta Enzesberger – l’islamismo non può vincere la sua guerra totale ,ponendosi come obiettivo il Califfato Planetario e la distruzione di tutti gl’infedeli e dunque finirà col volgere la sua volontà di distruzione in autodistruzione.Un’intera civiltà starebbe dunque correndo verso l’annientamento non senza aver inflitto al mondo condizioni d’insicurezza e di minaccia capaci di revocare tolleranza diritti e libertà anche nel cuore dell’occidente democratico.E’ un po’ il destino dell’attentatore suicida che di questa generale tragedia è l’ efficace metafora.

Il ragionamento è suggestivo e non privo di verità e riscontri ,tuttavia a me sembra non tenere conto del fatto che oggi  l’Islam non solo mobiliti  le masse con visioni apocalittiche e speranze di Califfato ma persegua nel contempo obiettivi più concreti  – mantenimento di equilibri nel mondo arabo,conservazione di vecchie gerarchie messe in discussione dalla modernizzazione o dal differimento di spazi di potere e autonomia dati dall’immigrazione islamica nel mondo –  l’ottenimento dei quali non è esente da compromessi ed astuzie.Ma pur mantenendo l’impianto suggerito da Enzesberger manca alla sua visione la percezionei di un Occidente egualmente perdente e alla ricerca di un collante ideologico, egualmente minacciato,egualmente irrazionale,egualmente incline a restaurare certezze assolute come rimedio alla propria fragilità, nella convinzione o nel terrore di non poter mantenere a lungo i propri privilegi,la propria opulenza,il proprio stile di vita.E il senso di minaccia invariabilmente si traduce in chiamata alle armi contro nemici che si avvertono e si moltiplicano ovunque, rispetto ai quali si ritiene finanche di dover rinunciare a a Garanzie Democratiche e Stato di Diritto.Oltre il senso di Sconfitta Radicale a me sembra sia il Risentimento a tenere insieme in modo del tutto trasversale le diverse forme d’inimicizia.Risentimento moraleggiante :  una Parte  identifica la ricchezza con la corruzione, l’Altra vive la diversità come un affronto.Da una Parte s’ imparenta con lo Spirito Religioso dall’Altra si traduce in Autoritarismo.Funziona nella dimensione globale come nella violenza privata.E’ il risentimento che tiene insieme i coniugi di Erba e i martiri di Alqaeda,il razzismo della lega e l’antisemitismo arabo,gli elettori di Bush e quelli di Ahmdinejead,i teppisti dello stadio e quelli della tolleranza zero.I poteri grandi e quelli piccoli ,i pastori di greggi e gli strateghi del capitale lo sanno bene e se ne servono a piene mani

Il perdente radicale (Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer) è un libro di Hans Magnus Enzesberger edito da Einaudi

Marc delle meraviglie

Marc delle meraviglie

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Un compendio di  sensualità dato dal bisticcio tra espressione di abbandono e  compostezza dell’intera mise – dalla capigliatura all’irreprensibile polsino –  di questa donna che con il suo sconcerto, sovrasta e quasi nasconde la figura dell’amante. Di lui  egualmente s’intuisce la passione : sono quelle braccia intorno al collo ma soprattutto è la leggera pressione della mano di lei sull’avambraccio a rivelarne l’intensità.Sullo sfondo il colore più adatto a rappresentare quel che sta accadendo tra questi due esseri.

Marc Chagall – Gli amanti in rosa – Complesso del Vittoriano.Mostra  Chagall delle meraviglie a cura di Claudia Beltramo e Meret Meyer.Fino al 1 luglio.

Ingannevole è l’immagine (con nuova prefazione)

Ingannevole è l’immagine (con nuova prefazione)

Inga102715842_456a53430dDi  J.T.Leroy, veneratissimo autore  di Sarah e di Ingannevole è il cuore, fino ad un anno fa, sapevamo che era nato nel 1980, che aveva alle spalle un’infanzia di abusi  e di vagabondaggi con la madre prostituta dalla quale ad un certo punto era stato abbandonato.Recuperato da un’assistente sociale e da uno psicologo che gli aveva suggerito di raccontare per  iscritto le sue esperienze, aveva dato vita a romanzi ritenuti autobiografici di grande potenza emotiva.Da qui, pubblico adorante,vendite da best seller e lodi sperticate degli autori più cool del momento da Dave Eggers a Zadie Smith . Poi accade che 2006,  il New York Times scrive di avere le prove che J.T. è in realtà tre persone :  una certa Laura Albert  materialmente l’autrice,una tal Savannah sorella del marito della Albert, controfigura per le apparizioni in pubblico e  la Albert di nuovo a impersonare la finta assistente sociale trasformatasi in manager e portavoce di T.J.Sul perchè sia,la Albert  ricorsa a una controfigura, la risposta è scontata, basta  pensare ai meccanismi dell’editoria – spettacolo che probabilmente non ritenendo sufficente pubblicare i   libri  di un autore bravo e sfortunato, ritiene sia utile anche  esibirlo.Assai più interessante invece, è il racconto di Laura Albert sulle ragioni che possono aver indotto una scrittrice non priva di talento a costruirsi una falsa biografia e per di più quella di una vittima.Sostiene la Albert che in realtà quell’identità non desiderabile, è proprio  la sua, che abusi e sopraffazioni non diversamente da J.T, hanno contrassegnato anche la sua infanzia e che il fingersi qualcun altro, l’ha sostenuta nell’ingrato compito di difendersi dai colpi della vita,che indossando maschere ha potuto chiedere aiuto,reclamare attenzione e soprattutto parlare di sè.Queste ed altre considerazioni sono contenute in una lunga intervista che  dell’ultima edizione del libro  Ingannevole è il cuore, è l’interessante introduzione.Penso che certa gente dia per scontato il fatto di essere tenuta in considerazione e non trascurata,ma la mia esperienza è stata quella di una persona completamente ignorata,trattata con indifferenza e disprezzata.Ed è di questo che scrivo.Quello che la Albert esprime è l’indicibile sofferenza di chi, privo d’indentità, non ha gli strumenti per costruirsene una autentica e dunque assembla una storia,finge di essere qualcun altro.Con lei siamo al ribaltamento dell’antico trucco del nome de plume ,dello scrittore cioè che volendosi nascondere,separa la verità del proprio nome dall’invenzione della sua opera.La scrittrice americana ha dovuto inventarsi invece, un corpo perchè la verità consegnata ai suoi romanzi,continuasse a esistere.Sulla patologia che l’affligge indagheranno gli psichiatri e tra questi quelli che sostengono l’identità, essere non un blocco unico ma una sorta di “assemblaggio", avrebbero molto da dire, mentre invece qualche domanda sull’editoria – spettacolo che oramai  tratta  la Albert come un’appestata,s’impone.Quei romanzi  firmati J.T Leroy,ora che abbiamo scoperto non essere stati scritti da un ragazzino efebico e tanto glamour ma da una quarantenne sfigata e di scarso appeal,non sono più dei capolavori? L’opera di una scrittrice stramaledettamente brava che non ha più un’immagine da esibire ma probabilmente altri libri da pubblicare,non interessa più a nessuno? 

Ingannevole è il cuore è un libro di T.J.Leroy tradotto da Marina Testa ed Edito da Guanda.L’edizione che contiene l’intervista con la Albert è del 2007

Nell’illustrazione la locandina del film di Asia Argento tratta dal libro di Leroy e opportunamente corretta dopo la scoperta della vera identità dell’autrice

L’ultima foto di famiglia

L’ultima foto di famiglia

 

A Lucia Annunziata va sicuramente il merito di avere messo insieme, episodio dopo episodio,documento dopo documento, il racconto di un anno – il 1977 –  denso di accadimenti.La cronaca non scarna e al contempo rigorosa di uno dei passaggi chiave della storia della sinistra italiana, è accompagnata da analisi e considerazioni nonchè da una conoscenza puntuale delle forze in campo,il  Movimento soprattutto, nelle sue articolazioni e con le sue dinamiche.Tuttavia il punto di vista prevalente rimane quello della testimone, più che quello della protagonista (nel doppio ruolo di cronista del Manifesto e di militante ) e questo ci fa ritrovare quella felice modalità del giornalismo  che non solo vuole i fatti distinti dalle opinioni ma che considera professionale la  limitazione del narcisismo e dell”invadenza delle sensazioni del narratore, sulla materia trattata.E quantunque il libro non sia privo di percezioni che attengono anche alla sfera emotiva,va detto che la scelta degli umori è caduta su sensazioni  ampiamente condivise di rabbia,spavento,incertezza ma anche di voglia di venirne a capo,di continuare nonostante gl’innumerevoli lutti, i fallimenti e il conseguente senso d’impotenza.Nessuno di quelli che “fecero l’impresa” è autorizzato, a mitizzare.Ma ognuno di noi può riconoscersi nel racconto.Ognuno potè “vedere" ,come l’Annunziata, il materializzarsi sotto i propri occhi,  del conflitto politico generazionale tra i militanti del PCI e i sindacalisti da una parte e il Movimento dall’altra,la mattina del 17 gennaio 1977 alla Sapienza.Ognuno potè prendere atto della infinita distanza tra l’uno e l’altro schieramento mentre si fronteggiava,rincorreva,picchiava  e dell’indisponibilità caparbia a qualsiasi tipo di interlocuzione politica.Ecco dunque il tema centrale del libro: il rifiuto  di confrontarsi, in primo luogo da parte di quel Pci che dopo aver superato, un anno prima, il 35 per cento dei voti, ritenne che il modo migliore, o forse l’unico, per utilizzare quei consensi, fosse la politica di unità nazionale, scomoda anticamera forse del compromesso storico o forse, chissà, di una democrazia dell’alternanza del futuro. Chiudendosi a riccio nei confronti di chi questa scelta la contestava, nella convinzione che, magari “oggettivamente”, lo facesse per contrastare “l’ascesa della classe operaia alla direzione dello Stato”: non a caso “diciannovismo” e “sovversivismo” furono le maledizioni più utilizzate.
Non era semplice trovare interlocutori nel Movimento. Ma, se non ci si provò neppure, non fu solo perché il movimento, tutto il movimento, a quella politica era fieramente avverso. Fu prima  ancora perchè quella generazione appariva letteralmente incomprensibile, del tutto diversi com’era dalla gruppettistica dei primi anni Settanta. Così diversi da rendere inservibili, nonostante fossero oltre ogni dire, estremisti, una categoria classica come quella dell’estremismo: quasi degli alieni che erano cresciuti attorno alla sinistra tradizionale senza che questa ne avesse il minimo sentore.Alieni Ostili. E più di tutto colpiva, come ha scritto Adriano Sofri, quel loro voler essere prima di tutto comunità, senza tema di vedersi ristretti in una sorta di riserva indiana: Non aveva voglia, quel movimento, di conquistare il potere e nemmeno di guadagnare alla propria causa la maggioranza, ma di mettersi in proprio. E se non si riuscì in alcun modo a comunicare fu pure perché quel movimento, quei giovani anticipavano a modo loro un mondo nuovo, il nostro, che di emancipazione del lavoro, movimento operaio, blocco storico, egemonia e strategia delle alleanze, non si ricorda neanche più; e irridevano prima ancora di contestare non solo i sindacati ma i partiti, anzi, il sistema dei partiti, proprio quando questo si sentiva invincibile, e come si vide poi,non lo era affatto.

Per me tra le ultime foto di famiglia più eloquenti c’è quella qui in alto : E’ il 17 febbraio 1977,il ragazzo che sta cancellando la scritta alla Sapienza fa parte di una task force di iscritti al PCI e al sindacato che precede di poche ore la visita di Lama e ha il compito di ripulire l’ateneo dalle scritte irriverenti degli Indiani Metropolitani.L’obiettivo non può cogliere la sua perplessità che è data sia dai baroni (da cacciare) definiti bianchi rossi e neri (quindi tutti sullo stesso piano), sia da quell’ a pallini espressione fantasiosa ed inedita nell’ambito della comunicazione politica che all’epoca si avvale  di registri seriosi e severissimi.Quel giorno furono  i canti,i balli,le invettive e i calambours,i giochi di parole (Lama non l’ama nessuno, o i Lama stanno in Tibet) ad alimentare il  clima di tensione.Curiosamente quei segnali di evidente diversità tra loro e gli altri inquietarono i militanti del PCI assai più che i servizi d’ordine agguerriti.Cominciò così…con la decisione di opporre a Lama,prestigioso capo sindacale,l’ironia.Finì come finiva sempre allora.Botte e cariche della polizia.

L’ Ultima foto di famiglia è un libro di Lucia Annunziata edito da Einaudi

Pasque di sangue

Pasque di sangue

Il bel gruppo dell’illustrazione rappresenta il martirio del Beato Simonino ed è custodito nel Museo Diocesano di Trento.Nel marzo del 1475 l’intera comunità ebraica di quella stessa città, fu accusata di un atroce assassinio rituale: ne sarebbe stata vittima un bambino cristiano, il piccolo Simone, torturato e crocifisso in periodo pasquale in evidente spregio della fede cristiana. I presunti responsabili, fatti imprigionare dall’inflessibile vescovo Renetta, principe della città e sottoposti a interrogatorio e a tortura, naturalmente finirono col confessare e furono condannati a morte.Su questo caso Ariel Toaff nel suo Pasque di sangue assume,una posizione  che è stata motivo di aspre polemiche in seno alla comunità ebraica italiana e tra i medievisti.In sostanza Toaff   non  fornisce le prove  inconfutabili e definitive di un fatto che davvero sarebbe per noi sconvolgente –  la realtà di quell’assassinio rituale – ma si limita, con  dovuta prudenza ed esemplare coraggio, a osservare che in assenza di prove ma dinanzi a una casistica storica quanto mai complessa, nessuno è autorizzato a scartare aprioristicamente la possibilità che le indagini condotte dalle autorità del tempo fossero corrette e che ci si trovi veramente dinanzi a uno spaventoso delitto.L’indagine si basa sulle carte processuali ,in particolare quelle inquisitoriali piuttosto minuziose nella descrizione degli usi liturgici ebraici, sostenendo Toaff essere queste troppo dettagliate,troppo al corrente degli usi e costumi ,per non essere vere, assume in buona sostanza gli stessi documenti dei negazionisti,rovesciandone però l’interpretazione.Non sono in grado di stabilire attraverso l’esame delle carte quale sia la corretta interpretazione di quell’episodio,tuttavia mi sono sembrate eccessive le preoccupazioni possibili istigazione all’antisemitismo espresse con forza dalla Comunità Ebraica Romana e dallo stesso padre di Ariel,il rabbino emerito Elio Toaff .E’ di oggi la notizia del ritiro del libro,probabilmente per fare in modo che Ariel vi aggiunga alcune annotazioni.L’idea di poter essere strumentalizzato ha prevalso su tutte le altre,io spero che il libro,che è bellissimo,torni sugli scaffali delle librerie opportunamente chiosato ma integro.A me sembra che Toaff piuttosto che consolidare un odioso luogo comune antisemita,contribuisca a formulare un’altra ipotesi egualmente  irrispettosa della figura classica dell’ebreo come vittima inerme e rassegnata al proprio destino.Nelle sue pagine si legge quanto fosse diffuso e violento l’anticristianesimo in alcune frange delle comunità ebraiche in quelle regioni e a quei tempi,e che tale  ostilità espressa per lo più con insulti o derisioni era motivata dal clima di particolare oppressione che cristiani esercitavano in maniera cruenta e sistematica.La storia che Toaff racconta è quella di una una probabile forma di esasperazione aggressiva come reazione ad infinite violenze subite.Non discuto che siano contestabili le tesi ma è innegabile che da parte di alcuni la lettura che di questo libro è stata data, è emotiva e non del tutto equilibrata. In Occidente, fu Agobardo di Lione, nel nono secolo, il primo ad accusare gli ebrei di infanticidio rituale. Alcuni decenni più tardi, alla fine dell’undicesimo secolo, i crociati in partenza dall’Europa per la Terra Santa si resero responsabili di orribili e odiosi massacri contro le comunità ebraiche tedesche e boeme. Da allora, la storia del popolo d’Israele nella nostra Europa è stata una sequenza continua di violenze e di soprusi, culminati nel tentato genocidio durante la seconda guerra mondiale. Ebbene: è poi così antistorico, così privo di plausibilità, il pensare che, fra tante migliaia di vittime innocenti e silenziose, di tanto in tanto non ci fosse qualcuno che – più feroce, più disperato e meno rassegnato degli altri – concepisse e mettesse in atto qualche atroce disegno di vendetta? 

Pasque di Sangue Ebrei d’Europa  e omicidi rituali è un libro di Ariel Toaff edito da il Mulino