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Il montaggio è tutto!

Il montaggio è tutto!

Sarà che l’ interdisciplinarità  resta per me, oltre che un insostituibile ferro del mestiere, un assillo al quale sono particolarmente affezionata, sarà che l’idea di un ritratto del Novecento da costruire, attraverso un ‘operazione di vero e proprio montaggio – in senso cinematografico, sì – di brani letterari, filosofici, teatrali, musicali  oltre a quadri, fotografie e spezzoni di film, è incredibilmente attraente, vitale  e consona all’arco di tempo in questione, sarà che nel lavoro di collazione, la possibilità di abolire ogni tipo di gerarchia operando su interferenze ed attriti oltre che su associazioni, trasforma  il Novecento da secolo per definizione  breve a secolo interminato e (per vocazione) interminabile…

Saranno tutte queste cose messe insieme, ma la lettura – che poi non è solo lettura – di questo Ritratto del Novecento, mi ha fatto seriamente rimpiangere il non aver avuto modo di partecipare alle quattro serate dedicate rispettivamente alla Psicologia, al Montaggio, alle Avanguardie e alla Lotta di classe, tenutesi a Bologna dal 12 al 16 dicembre 2005 e il 2006,  di cui questo libro raccoglie i materiali preparatori.

Dunque in sessantotto tessere numerate sono contenuti cento interpreti – non i più importanti, secondo Sanguineti ma i più tipici – delle arti  figurative o della letteratura, della musica da  mescolare arbitrariamente ed assemblare in  infinite possibilità di mosaici o performances multimediali  (dai quali inevitabilmente discendono altrettante possibilità di  lettura.)

Il libro, ricca prolusione a parte, non ha testo, ma contiene, tessera dopo tessera,  l’indicazione dei brani o dei testi utilizzati nelle giornate di Bologna, con avvertenza che sia gli autori che i brani o le immagini, possono essere sostituiti ovvero se ne possono aggiungere altri, seguendo il filo di connessioni o rimandi che possono manifestarsi in corso d’opera  . Un manuale aperto dunque, per la scuola, si direbbe, ma anche per i teatri, per il cinema nonchè per personali tragitti esplorativi.

Qui di seguito un esempio. E’ tessera n. 43 ( Montaggio) dalla quale mancano  immagini filmate o fotografiche (che invece abbondano in altre tessere) sostituite da una particolare selezione di dipinti di Chagall.

Preludio : i primi minuti di Schelomò per violoncello e orchestra di Ernest Bloch

Lettura di cinque poesie di Nathan Zach :

– Il Cammello di Re Salomone

– Sfavorevole agli addii

– La forma e il paesaggio

– Nessun clamoroso cambiamento

– Confessione

Durante la lettura dei versi sullo schermo vengono proiettate diapositive ricavate da opere di Chagall

– Il violinista

– La donna incinta

– La passeggiata

– Il violinista verde

– La sposa dai due volti

– La fidanzata dal volto blù

– Il guanto nero

– l’Occhio verde

– Resistenza

– Liberazione

– Al crepuscolo

– Sogno di una notte d’estate

– La Guerra

– Il Matrimonio

– Le Luci del matrimonio

– Notturno

– La notte verde

– Autoritratto.

Nelle illustrazioni, due quadri di Chagall della selezione, Il violinista verde e la Passeggiata, (quest’ultima incantevole)

Ritratto del Novecento è un libro di Edoardo Sanguineti  curato da Niva Lorenzini ed edito da Manni

 

Lampo

Lampo

Una piccola notazione,per il fortunato lettore della Folie Baudelaire, libro non  semplice, ma solo perchè siamo sempre meno abituati ad esplorare i territori del pensiero complesso. Per giusto contrappasso però,la scrittura è nitida, scorrevole, naturale, anche se le citazioni sono davvero tantissime e richiedono qualche andirivieni tra  motore di ricerca, reminescenze e scaffali di casa – diciamo  quelli posizionati nelle parti alte –  Poco male. Quando si chiude il libro, la sensazione di aver aggiunto al proprio bagaglio qualcosa, è netta e vale quel piccolo impegno.

 Il cuore, in ogni senso, dell’Opera è quello che Calasso chiama   lampo analogico, lo stesso che ha ispirato la cultura europea dai suoi inizi, segnando specialmente il Rinascimento e il diciannovesimo secolo. Un metodo d’indagine sicuro, da preservare in epoca di frantumazione ( del pensiero  ma anche delle relazioni).

Lampo dunque, racchiudendo la bella  parola in sè, gli esiti di un entusiasmante tragitto tra connessioni interdisciplinari ed intuito. Analogo significato è nascosto in questi versi : 

La natura è un tempio dove colonne viventi
lasciano talvolta uscire delle confuse parole
l’ uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’ osservano con sguardi famigliari.
Come lunghi echi che da lontano si confondono
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e come la luce,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono

Baudelaire

Il sogno di Baudelaire, l’unico che si conosca, è la vasta rappresentazione di un bordello che è anche un museo. Il labirinto dell’inconscio funziona come una sorta di Esposizione : nelle sale si susseguono, Ingres,  Delacroix, Degas, Manet, Rimbaud, Proust, Baudelaire, Constantin Guys, Berthe Morisot, Mallarmè, Flaubert, Sainte-Beuve. Opere sublimi ma anche artisti e critici minori degni di nota ovvero pura e semplice paccottiglia. (e mentre una folla si accalca intorno alle rappresentazioni, sullo sfondo si manifesta per un istante Napoleone III, che non dice mai niente, e mente sempre)

Calasso, che di questo gioco dell’ immaginario è la guida, conosce minuziosamente  tutto quello che è avvenuto, che è stato scritto e dipinto in Francia dal 1830 al 1900 e ne propone di quando in quando interessanti digressioni. Siamo tuttavia ben lontani dalla banale esposizione di un erudito. Accostamenti continui tra un poeta e un pittore ovvero tra una poesia e l’ articolo di un giornale di moda, rivelano audacia e tutt’ altro approccio. 

Centro dell’attenzione è il Baudelaire scrittore di articoli e saggi su Delacroix, Gautier, Constantin Guys, Poe. Tutta la Folie Baudelaire  risente del suo punto di vista e del suo modo di sentire , ricercando Calasso con Baudelaire, una sorta di immedesimazione, particolarmente quando osserva  i personaggi o le figure mentali del proprio tempo. Ad un certo punto sarà Paul Valéry a sostituirsi a Baudelaire, il libro cambierà passo, forse perderà qualche nota di  entusiasmo, ritrovando  però, in cambio, una sorta di logico compimento.

 Valéry si augurava che un giorno potesse esistere una Storia Unica delle cose dello Spirito, che avrebbe sostituito ogni storia della filosofia, dell’ arte, della letteratura e delle scienze. Da allora – scrive Calasso –  la storia analogica non ha fatto molti passi avanti. Rimane un desiderata sempre più urgente in un’ epoca debilitata come la nostra.

Dunque la Folie Baudelaire è il tentativo di realizzare questo desiderio adottando come principale strumento interpretativo il lampo analogico di cui si è detto . Un’operazione coraggiosa, anche questa alla maniera di Baudelaire che non scriveva trattati ma al quale era sufficiente un cenno, nascosto in una considerazione sulla pittura, la letteratura o la politica, per cogliere, nuda, abbagliante, la verità metafisica.

 

 

E ancora, prosegue, Calasso a ribadire il concetto : Diderot non aveva propriamente un pensiero, ma la capacità di far zampillare un pensiero. Da lì, se si abbandonava al suo rapinoso automatismo, Diderot poteva arrivare ovunque

La Folie Baudelaire è un libro di Roberto Calasso edito da Adelphi

 

La parola più bella della lingua inglese

La parola più bella della lingua inglese

indignation

 

Penultimo libro – l’ultimo è in fase di elaborazione – di Philip Roth che qui risolve  i temi tradizionali della sua letteratura – angoscia esistenziale, senso di disfacimento – in disperata ribellione verso una vita che sembra riservare solo ingiustizia e dolore. Indignation è, secondo Roth, la parola più bella della lingua inglese, suggerendo il termine un moto disincantato, un ammorbidimento non annacquato, forse un’evoluzione dei termini  rabbia, vendetta, astio, assai frequenti nei suoi scritti.

Attraverso le reminiscenze indotte dalla morfina, la storia di disperazione ed inesperienza di Marcus Messner, gravemente ferito nella guerra di Corea e prossimo alla morte. Figlio di un macellaio Kasher del New Jersey,  per sfuggire alla personalità opprimente del padre, ad una famiglia iperprotettiva e alla propria stessa identità ebraica, decide di frequentare il Winesburg College, in Ohio.

 L’allontanamento  si rivelerà un’ inutile fuga con esilio da se stesso, ne’ Marcus riuscirà a comprendere il senso dell’insegnamento paterno, in cui, al netto di atteggiamenti ossessivi ed isterici, era contenuta una verità nella definizione del  modo terribile e incomprensibile in cui anche le scelte più banali, occasionali e comiche, ottengono il risultato più sproporzionato. Marcus Messner  molto somiglia a Roth: dolorosamente intelligente, consapevole di sè e controllato, esteta di natura. Sempre alle prese con le proprie scissioni nevrotiche :  tra mente e corpo, sesso e ragione, desiderio e dovere. Tra la famiglia e se stesso, tormentato, inoltre  da donne impossibili, genitori protervi, e per finire, dalla sua cattiva coscienza.

Del resto, di che altro si potrebbe scrivere? Tuttavia, con la sua prosa così naturale, agile,  forte, Roth, a torto definito romanziere intimista ed egotico, particolarmente per l’andamento dei suoi lavori dalla fine degli anni 90 in poi, non tralascia mai di restituirci un ritratto ben confezionato del proprio paese . Sotto questo aspetto Indignation romanzo della crescita come frattura e del dolore di vivere, non fa troppo rimpiangere ne’ Pastorale ne’ Portnoy ne’ la Controvita.I suoi capolavori.

Indignation è un libro di Philip Roth edito da Houghton Mifflin Company. Boston  2008

 

 

La sua cattiva strada (dite a mia madre che non tornerò)

La sua cattiva strada (dite a mia madre che non tornerò)

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La cattiva strada nasce in collaborazione con Francesco de Gregori, nel 1975. Ma come luogo deputato del proprio sistema etico e di valori, Fabrizio de Andrè l’aveva concepita già da tempo. Anzi era proprio lì che aveva cominciato, dalle cattive compagnie – mia madre mi disse: non devi giocare con gli zingari del bosco ma il bosco era scuro l’erba già alta, dite a mia madre che non tornerò – Nei versi di Sally,  che ovviamente non alludono ne’ agli zingari ne’ alla mamma di De Andrè,  &egraveNB; indicata con nettezza, la  scelta  di chi abbandona i privilegi di una condizione borghese con il suo bagaglio di regole e proibizioni, per adottare una filosofia di vita meno agevole ma più libera. Una strada che è cattiva ma solo perchè impervia.  

Quel tragitto prosegue  nel segno di  François Villon e, attraverso l’ascolto delle sue canzoni, di una vera e propria presa in carico dell’ Universo Brassens, in una sorta di educazione sentimentale distante appena un soffio da quella politica. Tutto ciò sospingendo De Andrè ad un approdo che ben definiva la sua visione del mondo : il pensiero anarchico di Bakunin, Stirner, e Malatesta.

Tutta la sua produzione viaggerà su questa direttrice. Dalla Città Vecchia a  Preghiera di gennaio fino ad Anime salve, De Andrè non abbandonerà mai la cattiva strada. Più che per un tratto di coerenza, per caparbietà nella convinzione che solo quella zona fosse davvero franca, inibita al Potere.

Diverse iniziative, nel decennale della sua scomparsa, sono già in cantiere, sollecitate da una memoria viva e  vitale che continua a produrre  un atipico fenomeno di diffusione della sua musica, anche tra i giovanissimi.

Tra queste – presentato in anteprima al Festival di Roma, il documentario di Teresa Marchesi  Effedià sulla sua cattiva strada.

Un lavoro di paziente (ed amorevole) collazione di stralci tratti da interviste, clip, concerti, in cui l’assenza di una voce narrante lascia molto spazio alla manifestazione in proprio della  personalità cordiale, aperta di un musicista colto, versatile e con un grande talento per la ricerca e la divulgazione.

Io credo che qui da noi Georges Brassens, pur affidato alle intelligenti cure di Nanni Svampa e Fausto Amodei che avevano preferito tradurre quel francese così denso nei rispettivi dialetti o di Beppe Chierici, raffinato interprete ma pochissimo noto, non sarebbe sopravvissuto nella memoria di ognuno, se Fabrizio de Andrè non se ne fosse appropriato, restituendoci condensata in sei brani, tutta l’essenza della sua vastissima produzione. Così come la curiosità per Mutis, Lee Masters, Pivano, Dylan, Coen, nasceva spontanea, essendo sufficiente una sola canzone o un accenno,  per innescarne il dispositivo.  Un tratto questo di generosità intellettuale come di chi  spalanca al prossimo il suo mondo e lo rende disponibile a nuove appropriazioni.

Tutto questo è contenuto nel DVD e in due libri fotografici (ma non solo), curati entrambi da Guido Harari, uno titolato Fabrizio de Andrè Una goccia di splendore, una biografia corredata da foto inedite e appunti  e un altro Evaporati in una nuvola rock in cui interviene anche Franz di Cioccio che è invece il diario collettivo del tour con La Premiata Forneria Marconi. Entrambi davvero belli corposi ed imperdibili.

E chissà che la Fondazione non voglia anche editare le riprese video del Tributo a Fabrizio De Andrè al Teatro Carlo Felice del 12 marzo 2000. Di quell’evento alcune interpretazioni sono presenti nel dvd : Zucchero,Vasco Rossi e Franco Battiato così commosso da non poter ultimare l’esecuzione di Amore che vieni  amore che vai.

Effedià sulla mia cattiva strada è un documentario di Teresa Marchesi prodotto dalla Fondazione de Andrè 2008

Fabrizio de Andrè, Una goccia di splendore è un libro curato da Guido Harari edito da Rizzoli 2008

Fabrizio de Andrè & PFM Evaporati in una nuvola rock è un libro curato da Franz Di Cioccio e Guido Harari edito da Chiare lettere.2008

Un libro necessario

Un libro necessario

goliarda

Sono molto felice del successo, ancorchè postumo, del libro di Goliarda Sapienza L’arte della gioia e del fatto che in virtù di questo sussulto editoriale, si sappia di lei, della sua vita, del suo tragitto, in ogni caso, fuori da tutti i tracciati. Goliarda mi aveva interessata all’inizio degli anni ottanta con un libro che poi si rivelò straordinariamente efficace (e vero) sul carcere, titolato L’ Università di Rebibbia,  racconto in presa diretta su una realtà che è condensato e specchio fedele di conflitti e storture sociali ( questo era, è , sarà, se nulla cambia, la reclusione di cui oggi si intenderebbe fare uso indiscriminato ). Ma più di ogni altra cosa, è stata la spina dorsale della sua scrittura ricca e vitale, il suo punto di vista orgoglioso e ostinatamente dalla parte delle donne a determinare in me la voglia di conoscere il resto della sua produzione artistica. Vennero altri libri, egualmente caratterizzati dall’ampio respiro di una visione del mondo straordinaria e differente e infine, nel 1988 l’Arte della gioia, un’opera costata a Goliarda dieci anni di lavoro, rimasta nel cassetto per altri venti  perchè rifiutata dagli editori e infine pubblicata da Stampa Alternativa e, purtroppo, passata quasi inosservata. Solo nel 2005 dopo essere stata tradotta in Francia per l’editore  Viviane Hamy e aver venduto, in meno di tre mesi, 72.000 copie, diventa un caso letterario. Ma Goliarda è oramai morta. Un epilogo classico. Un tipico nella sua vicenda umana.   Ora, qui da noi, grazie alla pubblicazione con Einaudi, c’è una gara entusiastica a definire il romanzo un Gattopardo o un Horcynus Orca al femminile. Ma non bisogna dar retta :  sono vezzi della critica che lasciano il tempo che trovano. Il fatto vero è che l’Arte della gioia è un’opera come nessun’ altra, talmente originale da rendere inopportuno qualsiasi paragone. Protagonisti  la grande ansia di vita e una commisurata curiosità verso il mondo di Modesta, donna siciliana forte, determinata, consapevole dei suoi desideri e del suo corpo che farà della ricerca del piacere un insostituibile strumento di conoscenza e libertà e una vera e propria Arte. Amerà uomini e donne in un ampliamento del concetto d’amore che ne vede rafforzati i contorni. Mentre sullo sfondo si avvicendano i fatti di cronaca più importanti dell’inizio del secolo scorso – eros e politica sono  connessi e tenuti insieme da un irreprimibile istinto libertario – si materializza anche il raggiungimento della gioia e la difesa della propria libertà; . Un romanzo, com’è stato scritto, che  insegna a desiderare. Dunque : un libro necessario.