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La bouillabaisse di Alexandre

La bouillabaisse di Alexandre

Il cuoco di cui alla caricatura, è Alexandre Dumas padre – al quale, come si può vedere,  non vengono risparmiate nemmeno le remote origini Haitiane – rappresentato mentre si dedica alla preparazione di qualcosa che molto rassomiglia alla sua attività di scrittore. E infatti, mentre la bouillabaisse – il complicato, per varietà d’ingredienti e procedure,  brodetto marsigliese di pesce –  sobbolle, lo chef che è in lui,   estrae dalla pentola, per esaminarne il grado di cottura, uno alla volta, moschettieri –  c’è D’Artagnan nel ramaiolo  -  ma si presume anche.. abati, visconti e regali collane con puntali di diamanti, nonchè tulipani tatoo e perfidi cardinali col felino in grembo. Il risultato di quella corvée sarà un’amalgama narrativa da feuilleton, cioè una trappola perfettamente costruita per catturare il lettore. Del resto, Alexandre, un libro di cucina l’aveva pur scritto . E dev’essere stata appunto la gran mole dell’opera, l’eclettismo e quei puntuali riferimenti storici  a insinuare  l’idea,  sin nei contemporanei, che  egli altro non fosse se non il titolare di una bottega di scrittura. Tuttavia, marchio di fabbrica o autore singolo che fosse, motivi per leggerne i romanzi sopravvivono ancora nel piacere di seguire impalcature narrative ben strutturate o per la scrittura un po retrò, così densa, maestosa, fluviale o per l’ innata inclinazione al flash back o quel  talento speciale nel costruire  le attese che precedono il Coup de Théâtre,  espediente così tipico  del  romans à sensation. Tutta un’orchestrazione, insomma,  che ancora  tiene incollato il lettore al racconto, quantunque di quelle storie si siano oramai  realizzati, film, sceneggiati e riduzioni, con conseguente perdita di suspence . Capita dunque a proposito, la traduzione di due inediti – in Italia –  tratti dalla raccolta  Les Crimes célèbres  pubblicata nel 1840, opera in cui vengono ricostruiti alcuni storici delitti – i Borgia, i Valois, i Cenci, Maria Stuarda, l’uomo  della maschera di ferro etc – tutti o quasi accomunati dal tema dell’arroganza e della malvagità del potere che ogni cosa stritola, pur di perseguire i propri scopi. La narrazione di questi casi procede nella consapevolezza vagamente libertaria  e tutta  contemporanea che i grandi crimini più che gesti individuali, sono l’esito naturale di società fondate  sull’iniquità e sull’ingiustizia legalizzata. Un po’ l’appeal dell’attuale noir assurto a letteratura di un certo interesse  per certe appropriate analisi dei contesti      I Due delitti celebri  – Giovanna di Napoli e Nisida edito da Spartacus, non sfuggono a questa considerazione generale espressa peraltro dall’autore nell’edizione francese, mentre una bella introduzione di Giuseppe Montesano titolata  Città che decadono. Etica del raccontare rapido. Donne misteriose. La storia è un incubo. La bellezza è rivoluzionaria e altre divagazioni intorno a Giovanna di Napoli , affronta ripetutamente  il tema della decadenza di Napoli, riuscendo nel tentativo di offrire più di un elemento di riflessione. Una esaustiva nota ai testi di Filippo Bonfante costituisce un valore aggiunto all’insieme. Per gli appassionati del romanzo storico d’antàn, di nobile, pletorica e minuziosa fattura.

Due delitti celebri – Giovanna di Napoli e Nisida è un libro di Alexandre Dumas padre. Introduzione di Giuseppe Montesano. Edizione Spartacus

La grande aventure d’être moi

La grande aventure d’être moi


Castor ( à cause de son esprit constructeur) ha compiuto cent’anni in gennaio, qui da noi è stata distrattamente ricordata per la sua relazione con Sartre, mentre ha fatto gran parlare la pubblicazione di una foto di Art Shay che la ritrae nuda,  di schiena, in una stanza, presumibilmente da bagno, in quel di  Chicago. Correva l’anno millenovecentocinquantadue. Shay era amico di Nelson Algren, lo scrittore americano  con il quale Simone de Beauvoir aka Castor ebbe una, chiamiamola movimentata, storia d’amore. Tanto bastò per autorizzare i contemporanei  a concludere che la furia astiosa de Le deuxième  sex , si doveva al risentimento nei confronti dell’amante. I posteri non furono da meno. Castor del resto, era una figura votata allo scandalo, le definizioni – frigida, ninfomane, manipolatrice, Notre Dame de Sartre, e poi ancora troppo femminista, troppo misogina, fragile, vendicativa – l’hanno trafitta per l’intero arco della vita, mentre  la tendenza a leggere il contributo intellettuale delle donne alla luce dell’avvenenza o delle frequentazioni maschili di un certo rilievo, ha completato l’opera,  curando bene  che il suo nome non fosse mai citato senza essere disgiunto  da quello di Sartre. In Francia comunque, il centenario è stato occasione di numerose iniziative, gran parte incentrate sul suo On ne naît pas femme, on le devient , la premessa cioè di tutta la sua indagine, una sorta di mutazione antropologica in cui tra sesso e genere non c’è causalità ne’ relazione mimetica. Un concetto chiave questo, al quale  è stata dedicata la giornata dell’8 marzo. Si deve invece a Gallimard  la ristampa del suo saggio del 1948 titolato L’esitenzialismo e la saggezza delle nazioni ma soprattutto l’edizione de Les Cahiers de jeunesse (1926 – 1930) una raccolta di diari inediti che differentemente dalle ricostruzioni autobiografiche a posteriori, hanno il pregio di essere un resoconto senza filtri, delle sue giornate da studentessa nella Parigi degli anni venti. Chi è già abituato allo stile  memoires di Simone, troverà in queste pagine una differente verve e la felice scoperta di un panorama culturale raccontato con l’entusiasmo di una giovane donna, vivace e assai dotata. Sono enumerati elenchi impressionanti di opere filosofiche e letterarie, i pomeriggi al  cinema  a vedere Man Ray o più modesti film d’avventura,  la passione per Sophie Tucker, regina del ragtime. Ma il tema centrale del libro è soprattutto  la riflessione meticolosa e sempre  attenta alle dinamiche di costruzione del sé, è qui che si sviluppa la fatica consapevole  di  parlare con la propria voce e non con quella dei genitori, della classe sociale alla quale si appartiene o dell’epoca in cui si vive . Per Castor crescere significava liberarsi dall’impostura dell’ io fittizio ereditato. E  scegliere . Ciò importa la necessità della decisione – sempre onerosa –  che individua e segue  desideri e valori . Decisione che dilaga in queste pagine esuberanti e dalla quale prende forma la “certezza di una vocazione” al pensiero e alla libertà. Una bella introduzione al percorso intellettuale di Simone della quale emerge da queste pagine un ritratto vivo e credibile. Donne, le dovete tutto scrisse Elisabeth Badinter dopo la morte di Simone De Beauvoir ed è sicuramente vero che nelle elaborazioni  di Simone rimangono tutt’ora intatte potenzialità politiche e filosofiche, soprattutto le va dato merito di aver inaugurato una nuova era. Il pensiero delle donne non aveva mai smesso,nei secoli,  di prodursi : scrittrici, mistiche, suffragette, anonime….un magma in ebollizione che aveva però la necessità di essere meditato, chiarito, proclamato. Aveva bisogno che fossero trovate le parole per dirsi. Simone de Beauvoir è riuscita nell’impresa e i prodromi di questa ricerca sono contenuti in questi diari.

Les Cahiers de jeunesse ( 1926 – 1930 ) è un libro di Simone De Beauvoir edito da Gallimard, Francia 2008

Superiority complex ( una sinistra antipatia)

Superiority complex ( una sinistra antipatia)

 ricolfi

Sono all’edicola e un tale fisicamente ben messo – che magari si occupa di Priorità ma non di Precedenze –  piomba, dribbla la fila e chiede al gestore che la sua copia del Manifesto gli venga sostituita perchè stropicciata.  La battuta scatta spontanea  ed è del tipo  l’amore non dovrebbe guardare in faccia le stropicciature. Lui mi squadra e di rimando mi indirizza un  Certo ! carico e aggressivo, dietro al quale insiste un non vago sentore di disprezzo per la tranquillità borghese della divisa che indosso al momento ( anche lui ne ha una, di segno diverso  ma evidentemente non siamo pari ). Faccio segno con la mano al gestore che vorrebbe enumerare al manifestante anti stropiccio, le mie credenziali in termini di editoria schierata – ci mancherebbe altro –  poi, attraverso Largo di Torre Argentina e filo dritta a comperare il libro di cui all’oggetto e che promette spiegazioni sul perchè la gente di sinistra è antipatica. Alla fine – e devo dire non ci contavo troppo – mi sono fatta, in aggiunta, anche un'idea del motivo per cui difficilmente riconosce le metafore ( brutto segno), ha scarso senso dell’umorismo e non rispetta le file :

Una  prima edizione di Perchè siamo antipatici sottotitolo la sinistra e il complesso dei migliori era già uscita nel 2005 a ridosso delle precedenti elezioni politiche. Luca Ricolfi che ne è l’autore,  sosteneva allora che quelli di sinistra non sono antipatici solo alla destra, cioè al proprio naturale antagonista ma pure a tutti gli altri, a quelli cioè che non appartenendo ad una preciso schieramento, decidono dei propri orientamenti elettorali sulla scorta di considerazioni rispettabilissime ma  che con l’ideologia non hanno nulla a che vedere. Un target con il quale sarebbe indispensabile dialogare e che mai come ora è sembrato infinitamente distante e totalmente impermeabile  sin ai messaggi di elementare  ragionevolezza politica.   I motivi della sinistra antipatia, erano individuati dall'autore nell’adozione di un  linguaggio oscuro, codificato,  spesso  in contrasto con una visione realistica delle cose e in una sorta di ostentata supponenza morale e culturale, in un primato etico, in qualunque circostanza, orgogliosamente rivendicato. Un problema questo, che nel corso del tempo, è stato più volte segnalato da intellettuali di spessore, animando i pubblici dibattiti  di una precedente transizione, quando cioè , rispetto ai cambiamenti di quel complicato periodo che seguì la caduta del muro , ci si accorse non essere più i comunisti, i soli  a perseguire l’obiettivo di una società più giusta. Certo, la ricostruzione di un’identità sociale nuova è un lavoro che richiede anni, per capire però a che punto siamo o per meglio dire, quanto ritardo abbiamo accumulato, basta osservare il comportamento delle persone ritenute politicamente più sensibili al cospetto dell’ultima  sconfitta elettorale:  da quelli che vogliono sdegnosamente espatriare a quelli che  ritengono il popolo italiano una massa d’imbecilli ammaliati da Berlusconi, si snoda una vasta gamma  di propositi e sentimenti che non escludono nostalgici  ritorni ad un passato di coerente militanza oppure che spensieratamente sostengono il tanto peggio tanto meglio . C’è persino chi nega la sconfitta o chi è fermamente convinto che dall’opposizione si possa più agevolmente costruire una ripartenza. Ed è per l’appunto alla luce dell’ultima  debacle elettorale che Ricolfi aggiorna il suo Perchè siamo antipatici  aggungendo carne al fuoco e nuovi indizi di antipatia come per esempio   la resistenza  a  prendere atto di una semplice verità e cioè che messaggi più chiari e convincenti abbiano catturato i voti sin degli elettori  tradizionalmente vicini alla sinistra e che il successo della destra  sia stato ottenuto col contribuito decisivo della pessima immagine che ha mostrato di sè, durante l’ultimo governo Prodi.  E questo nonostante, Veltroni ci abbia provato a non alimentare il razzismo etico, inaugurando in campagna elettorale,  un linguaggio semplice, cercando di promuovere il rispetto dell’avversario, smorzando gli atteggiamenti di superiorità morale, prospettando un’idea differente  di rapporto tra le forze politiche. Non tutte le asserzioni del libro –  che comunque contiene qualcosa di più di un semplice fondo di verità –  sono condivisibili, la lettura procede agevolmente e se s’inceppa è solo perchè a tratti risulta irritante. Tuttavia sorge il dubbio che, in questo caso, siano proprio le nostre  reazioni di ripulsa ad avere bisogno di un attenta disanima, suscitando in noi quel  sospetto che è sempre una  preziosa risorsa per indagini e  riflessioni. Valentino Parlato all’indomani della sconfitta elettorale di Roma, adottando nei confronti della sinistra l'aggettivo repellente ben definiva le reazioni degli elettori al cospetto della stessa. Ed è vero, lo si avverte sin nell'osservazione di banali episodi quotidiani quando in certi contraddittori, pur esponendo ragioni improntate a criteri di buon senso, si viene guardati come marziani. Evidentemente con il nostro atteggiamento non rendiamo apprezzabili nemmeno i buoni principi di cui vorremmo essere portatori. Questo libro è anche un contributo sulla via della messa a punto di un linguaggio, le modifiche del quale oggi si ritengono indispensabili per contrastare il semplicismo con immediatezza degli spot di governo laddove tra disagio nostro e repellenza altrui bisognerà pur trovare un punto di approdo.Non senza una presa d’atto dei nostri errori. Ma, tristemente, sembra proprio quella che tarda ad arrivare.

Il sentimento di superiorità morale della sinistra riaffiora continuamente nel discorso politico, indipendentemente dalla carica e dai ruoli ricoperti. Che si tratti di dirigenti politici, di militanti o di semplici cittadini, che si tratti di moderati o di radicali,di riformisti o di massimalisti, l’idea di una superiorità etica della sinistra,sembra essere una convinzione profonda di una parte tutt’altro che minoritaria di coloro che fanno politica a sinistra e in qualche misura anche del popolo di sinistra in quanto tale.

Perchè siamo antipatici, la sinistra e il complesso dei migliori, è un libro di Luca Ricolfi edito da Longanesi.

La bellezza ci salverà?

La bellezza ci salverà?

Omaggio al principe Myskin prekrasnyj – pieno di splendore  alla sua compassione, alla sua generosità, al  suo talento nel farsi carico delle altrui sofferenze – Ci salverà la bellezza –  campeggia quest’anno sulla Fiera del Libro di Torino che ospita gli scrittori di lingua ebraica nel 60° anniversario della nascita dello stato d’ Israele. Paura, Incombenza, Perturbazione sono i sentimenti di cui è intrisa la cultura ebraica. Confinati sullo sfondo  dei racconti di  Yehoshua che se ne serve con discrezione rendendo paradossalmente  il  senso del pericolo ancora più incombente o protagonisti in Ahron Appelfeld insieme all’autoinganno di fronte alla crudeltà del reale, attitudine tra le più tragiche che il genere umano conosca. Ovvero nascosti tra le righe delle promesse dell’avanguardia che sembrano esprimere tutt’altro mondo :  Etgar Keret – meraviglioso – ossessionato dall’assurdità dell’esistenza, dalle distorsioni della morale che  dietro ai suoi racconti, minimalisti, urticanti  rivela la presenza di Kafka, di Bruno Schultz. Della grande speranza cassidica. Keret tradisce un’insofferenza per il mondo contemporaneo israeliano tutta moderna e  ne aggredisce le peculiarità con violenza, sarcasmo, spregiudicatezza .  La letteratura israeliana è un’onda anomala che porta con sè una nuova visione dell’ebreo  - non ce ne facciamo più nulla della letteratura da piagnistei, chiosa Amos Oz –  E se è vero che dove la tradizione incontra la modernità e la storia il quotidiano, la letteratura prolifera, non deve stupire che uno staterello con una popolazione inferiore a molte megalopoli americane, consegni al mondo un così straordinario numero di scrittori. Non ha gran senso il boicottaggio di coloro i quali ci raccontano le cose come stanno in termini di reale distribuzione di responsabilità , di errori, di torti subiti e inflitti. Da Yehoshua a Keret, nei decenni che intercorrono, si dipana sotto ai nostri occhi tutto il mutamento della società israeliana e anche se gli scrittori  non rappresentano , purtroppo, la voce dell’intera società o dei suoi assetti di potere, ne sono l’irrinunziabile  coscienza critica. Sia il concetto eretico e sovversivo di  Bellezza, ovvero l’attenzione all’altro, come Dostoevskij ce lo ha raccontato, a salvarci. E a salvare chi alle parole, vuole sostituire l’aridità e l’insensatezza degli slogan.

Chi ha paura di Giuliano?

Chi ha paura di Giuliano?

Giuliano Ferrara, della vittima non ha l’inclinazione , ne’ l’allure ne’, tantomeno, le phisique du  rôle . Basterebbe osservare con quanta veemenza ieri a Bologna,  rilanciava insulti e ortaggi all’indirizzo dei suoi detrattori per rendersene  conto. Di questa sua reattività, dovremmo essergli grati, c’è un che di aggressivo nelle vittime silenti e nei martiri  che calcano un po’ troppo la mano nell’esposizione di soprusi e illiberalità. Lui no, interloquisce con la piazza e risponde per le rime agl’insulti e così facendo, almeno  risparmia ad altri  il disturbo di una solidarietà che non esula dal semplice fatto di non aver potuto tenere il suo comizio ieri a Bologna. Male. Male per essere stato, insieme ai cittadini che volevano ascoltare le sue parole, privato di un diritto elementare. Male, data la delicatezza del momento – la campagna elettorale – e dell’argomento che sbattuto in una piazza che ribolle , facilmente inclina a diventare una contesa tra pietosi  amanti della vita e del buonumore e tristi sostenitori di morte e selezione della specie. Penso alla pacatezza dei toni con i quali Adriano Sofri smonta pezzo per pezzo l’impalcatura costruita da Ferrara sulla Moratoria dell’Aborto nel suo bel libro Contro Giuliano e in cui non c’è ragione etica, giuridica, umanitaria, politica che non sia chiamata in causa per chiarire, in premessa quanto sia difficile, se non impossibile, per un maschio il solo ragionare di aborto sostituendosi ad una donna e a seguire, quanto un discorso di revisione della legge 194 nella direzione voluta da Ferrara incrinerebbe quel principio di autodeterminazione e responsabilità senza il quale non sarebbe lecito parlare di etica della vita. Farebbe piacere anche a me un avversario imbecille e grossier  in questa partita. Purtroppo non è così , Ferrara è un uomo intelligente e non sarà raccontando a noi stessi  la favola bella della sopraggiunta stupidità che lo renderemo inoffensivo. Chi ha paura di Giuliano Ferrara può darsi pace, non sarà tappandogli la bocca che se ne neutralizzerà l’impatto (scarsetto in verità), in questo bisognerebbe prendere esempio dalle donne che dopo aver  deciso di non raccogliere provocazione alcuna , hanno tuttavia fatto sapere di essere pronte a prendere la parola quando sarà il momento. Nelle more, decidano gli elettori .Ma per tornare a noi , in questo dibattito culturale o elettorale  che sia,  non entriamo a nessun titolo, ne’ ci appartiene,  men che meno per agevolare l’ennesima strumentalizzazione. Per noi la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è un’ altra storia.

Contro Giuliano  è un libro di Adriano Sofri edito da Sellerio con una ricca appendice di interventi da Natalia Ginzburg a Pierpaolo Pasolini a Norberto Bobbio.Nell’illustrazione un dipinto di Felice Casorati titolato Conversazione Platonica che sulla copertina del libro,  ben introduce il tema in questione.