Ah se mia foste…
Chi ieri sera lamentava la mise en scéne azzardosa non ricorda le madame Butterfly vestite come Suzie Wong a scrutare il fil di fumo dalle finestre di un bordello a Nagasaki o su una sponda livida del mar del Giappone circondate da frantumi di specchi per tutti e tre gli atti. O le Turandot tra capoccioni di cartapesta issate su praticabili scenici più somiglianti alle ringhiere di periferia che alle terrazze della Città Proibita.
Del resto anche Visconti che alla fine del primo atto aveva fatto accasciare l’esausta Violetta su di una chaise longue mentre, una a destra e una a manca, sparava via le scarpe, aveva scandalizzato non poco.Filologicamente, però, era forse l’unico elemento fedele alla Francia di Napoleone III e all’ambiente di borghesi arricchiti e volgarotti in cui si muoveva Madamigella Valéry. Dumas figlio aveva parlato chiaro ma Visconti si era regolato egualmente come gli pareva : troppo raffinati gli arredi, le crinoline,le zingarelle, i toreri, a ben vedere, ma quella, scarpe o non scarpe, resta una regia memorabile.
Tornando a ieri sera e al furore destato da Alfredo che impasta la pizza o affetta un sedano mentre il padre lo richiama all’ordine (né rispondi di un padre all’affetto? E come vuoi rispondere? ) o a Violetta, pinza tra i capelli, in chemisier campagnarde marroncino tristanzuolo profilato bianco e ciabatte – in luogo degli impalpabili chilometri di mussola del secondo atto – inutile prendersela con l’infedeltà di Tcherniakov al sacro registro. Piuttosto vale la pena di osservare se all’interno di una scelta artistica, criticabile ma pur sempre scelta, non vi siano magari incongruenze o sbavature.
E se è vero che una Violetta che scruta preoccupata il soffitto manco ci fossero infiltrazioni o si accende un sigaro cubano mentre Alfredo le fa la dichiarazione d’amore più pomposa della lirica, non s’era mai vista, è altrettanto vero che questa è la storia di una donna che vuol essere sempre libera e che – sarìa per me sventura un serio amore – deve pertanto difendersi dalle insidie dei sentimenti. Non c’è di meglio dunque che una studiata indifferenza per comunicare tutto il timore che il caso richiede.
Lo stesso accade con Alfredo recante sontuoso mazzo di fiori più scatola di dolci ad una Violetta morente cui l’Ufficiale Giudiziario ha portato via persino il letto (oltre che il vaso per i fiori). Ma non è forse questa una delle tante storie di conclamata viltà maschile ?
Alfredo e Giorgio Germont, padre e figlio, accorrono tardivamente al capezzale della moribonda, uno promettendo partenze-risarcimento de’ corsi affanni, l’altro dannandosi inutilmente l’anima.Due gnomi al cospetto della superiorità morale di Violetta che hanno entrambi disprezzato relegandola al ruolo di donna facile. Fiori e dolci sono ridicoli e stridono al confronto dello squallore della stanza ma rappresentano assai bene l’insufficienza dell’omaggio finale.
Al netto dei puristi e dei Guardiani della Tradizione, Traviata è una di quelle solite storie che non merita di essere raccontata alla solita maniera.Per questo sono lodevoli i tentativi di renderla attuale seguendo, in questo, la lezione più forte di Verdi e Dumas : scrivere e comporre lavorando per il pubblico.
Ingiusto trattamento anche per Piotr Beczala che è stato Alfredo di complessiva prestanza e che insieme a Diana Damrau ha restituito un senso alla parola scenica con perfetta e scandita pronunzia.Entrambi teneri,divertenti (e divertiti, il che non guasta) appassionati o irritati come parte richiede.Lei, commossa con leggera incrinatura della voce alla fine del primo atto ma solo una volta e senza che questo potesse sciupare in alcun modo l’effetto. Lui, assai disinvolto dichiara di fare la pizza pure a casa sua.
E per una volta tanto è d’obbligo esser grati al servizio pubblico (RAI 5) per una prima così.