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Categoria: Venezia 2017

Vedi Napoli.

Vedi Napoli.

Vedi Napoli (e dammi retta :  evita accuratamente le discussioni sul “gomorrismo” e, già che ci sei, anche le incredibili polemiche del Codacons su come dev’essere l’immagine di Napoli nel mondo). A tal proposito avrei volentieri mostrato la foto di scena con Pino Mauro seduto su ‘nu trono e cuorni  (un trono di corni) in mezzo a Piazza Plebiscito mentre  canta Chiagne femmena, (di Raiz-Nelson : un pezzone) ma non l’ho trovata. Il significativo cameo è inserito nel film dei Manetti Bros Ammore e Malavita, rivisitazione della sceneggiata  in chiave musical  e completa di tutti gli ingredienti del caso : amore, passioni, intrighi, azione, scene madri, Isso Essa e molti Malamenti, splatter q.b più musica e coreografie quando e soprattutto dove meno te le aspetti. Inutile dire che a partire dalle prime inquadrature con visita  alle Vele di Scampia manco fossero i Musei Vaticani  – questa è un’esperienza turistica definitiva! Chiosa gridando il tour operator – è tutta una parodia, una presa in giro dello stereotipo televisivo/cinematografico. La risposta a Thriller di Michael Jackson, assicurano i Manetti  (per me,  un sincero “vatti a nascondere” a La-la-land)

Veleni (inevitabilmente). Quando si parla di eccessi narrativi si dovrebbe tener conto che  applicare levità e sorrisi a determinati temi è praticamente impossibile. Così è per i rifiuti tossici e  per le orribili conseguenze che gli abitanti dei territori avvelenati subiscono . Veleno è il racconto del campo assediato da biechi speculatori che ne vorrebbero fare una discarica e del dilemma dei proprietari tra il  restare (lavorando e combattendo) o l’accettare la ricca via di fuga offerta dai criminali. Fuga beninteso dalla fatica mal ricompensata, dal dolore, dalla morte e dalle intimidazioni. Sarà anche vagamente televisiva la regia di Olivares e un po’ di maniera la stesura, tuttavia questo bel film è una discreta  prova di come si possa aiutare a capire quel che a distanza non si può nemmeno immaginare. Incisiva la recitazione degli attori  tutta curiosamente fuori dagli abituali registri. Musica di Enzo Gragnaniello.

Ma non è tutto,  tornando al cartellone veneziano, la cospicua presenza di film napoletani – da L’Equilibrio di Vincenzo Marra a  “Nato a Casal di Principe” a Malamenti di Francesco Di Leva, a “La chimera” del Comitato Vele per finire con l’originalissima “Gatta Cenerentola” – segnala che la tradizione avviatasi in città con la stessa nascita del Cinema prosegue e si rinnova con i laboratori, le scuole di cinema, i dipartimenti universitari e produce discreti risultati. Credo che poche città possano vantare una simile attività. Quanto ai temi apocalittici che animano le polemiche gli stessi  sono ampiamente bilanciati dal filone comico che vanta esponenti come Salemme, Siani etc. L’intrattenimento leggero è salvo. Il botteghino pure.

Ammore e malavita è un film  di Antonio ManettiMarco Manetti. Un film con Giampaolo MorelliSerena RossiClaudia GeriniCarlo BuccirossoRaiz. Titolo internazionale: Love and Bullets. Genere Musical, – Italia2017durata 134 minuti distribuito da 01 Distribution.

Tutti i mostri, le madri, gli anziani e i cattivi della Laguna

Tutti i mostri, le madri, gli anziani e i cattivi della Laguna

I mostri siamo noi . Noi che vessiamo, emarginiamo, torturiamo dileggiamo i diversi. E fin qui niente di nuovo : da Tod Browning a Walt Disney passando per Jack Arnold, cinematograficamente è tutta una lettura filomostruosa. Rincara Guillelmo del Toro con la storia d’amore tra una creatura acquatica –  anfibia, per la precisione –  e la cleaner  del laboratorio scientifico in cui è tenuto prigioniero il mostro . Lui ha tutti, ma proprio tutti gli attributi, incluso  l’apparato che gli consentirà di dare un senso alla liaison sospingendola con i suoi modi garbati  fuori dalle secche delle carinerie e degli sguardi innamorati. Lei  è muta, il che rafforza l’approccio comunicativo a mezzo stratagemmi espressivi  (se poi lei  è Sally Hawkins il gioco è fatto). Film bello in senso proprio e formalmente ineccepibile , con bravi attori e molte citazioni cinefile correndo dietro alle quali ci si può anche perdere. A molti spettatori  del resto piace il Ripasso della Storia del Cinema. Ed eccoli accontentati. Il resto è  guerra fredda, malvagi, colleghe di colore e amici gay discriminati sul lavoro. Condivido il giudizio estetico, apprezzo la regia, comprendo il Leone d’oro ma non mi unisco al coro degli emozionati per la delicata storia di amore e sesso tra diversi.

Donald, dopo la pausa Obama si ricomincia.Il percorso è segnato fin dai tempi di Bush figlio : registi, attori, produttori, star e starlette approfittano della visibilità offerta dai festival per lanciare  invettive e appelli sul Pessimo Stato in cui versa l’Unione poi, intorno alla metà mandato (presidenziale), passano alle vie di fatto dirigendo, interpretando, producendo film sconsolati di aperta denuncia che nella disperazione generale del paese allo sbando possono anche degenerare in apocalittici horror  quando non in sanguinolenti splatter (è già successo)

 

Clooney. Apre le danze il caro George in compagnia della piuccheperfetta consorte determinando entrambi un delirio di ciance su capelli e vestiti e scarpe (cosa sarebbero i festival senza glamour, ma poi bisognerebbe anche trovare il modo per parlare di Cinema). Il film di cui è regista ha subito una complicata gestazione ed è la storia di un tipico e ridente quartiere residenziale americano negli anni cinquanta,  Suburbicon appunto,  la cui tranquilla  esistenza viene turbata dall’arrivo di una famiglia di colore. Script dei fratelli Coen e regia di Clooney : la tripletta funziona, George regista è meno immaginifico di Joel e Ethan ma qui la sceneggiatura prevale e i tratti tipici della Premiata Ditta sono ben visibili e quasi integri. Ma la notiziona è che George non vuole fare il presidente degli Stati Uniti (per ora)

 

Madri – Non sono il mio tema prediletto (abusato quindi potenzialmente a rischio e infine riduttivo) soprattutto quando il lato materno diventa punto di vista pressoché unico sulla femminilità ma, a parte questa notazione di gusto, amorevole, anaffettiva o indifferente  che sia, c’è madre cinematografica  e madre cinematografica. La Mildred Hayes per esempio interpretata dalla gigantessa Frances McDormand è assolutamente fuori da tutti gli schemi, molto per scrittura (Martin McDonagh che ha infatti  portato a casa il Leone della miglior sceneggiatura) moltissimo per una recitazione calibrata quantunque messa a dura prova dal dover rendere disperazione, istinto di vendetta e  sensi di colpa senza ricorso a trucco del mestiere alcuno. Altra madre alle prese questa volta con l’impossibilità di esserlo dovendo vendere ad altri genitori impossibilitati i figli che appositamente partorisce (dramma su dramma) è Micaela Ramazzotti. Brava e diligente come sempre senza però disporre di una sceneggiatura e di un dialogo all’altezza del tema. (Peccato). Velo pietoso su Jennifer Lawrence. Tutti quelli che hanno detto, e sono parecchi, che Darren Aronofsky» ha sbagliato il film hanno ragione.

Anche basta.  Prima che le trame  con, degli, e sugli anziani diventino genere, facciamo qualcosa. Avviatosi con Amour il filone non accenna a estinguersi e sebbene  alcune prove, prima ancora di Venezia 74, assai  rimarchevoli abbiano incoraggiato il prosieguo, il terrore è che il filone, esaurendosi con l’andar del tempo, ci regali mappazzoni  ( esempio : non ti ricordi come si fa ? Prenditi il tuo tempo detto all’indirizzo di Redford, cara Fonda, carissimi sceneggiatori, nun se po’ sentì) mielosi  ridicoli ed indigesti sulla quarta, quinta e forse sesta età. Senza contare i prevedibili a volte ritornano dei sequel e i c’era una volta dei prequel. Adorabili dunque Sutherland, Mirren, Fonda, Redford, Dench Ma come disse Quello : anche basta. E considerato il fatto che ognuno di questi superbi attori appartiene ad una generazione che, ovunque si trovi, qualunque cosa faccia, non  schioda manco a cannonate, un provvedimento s’impone. Avete raccontato la rivoluzione, ora fate un po’ di silenzio. Magari raccontate quello. Non fosse altro per evitare che il prossimo premio al cinema del futuro lo incassi un qualche emergente oramai brizzolato.