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Anno: 2008

Silvia non è morta è ritornata dal canal

Silvia non è morta è ritornata dal canal


…e non si sa se questo sia un bene o un male, essendosi tirata dietro, nel suo risorgimento dalle acque, anche il consorte, incapace oramai di presenziare a qualsiasi evento senza illustrare i capisaldi della sua celebrata Mistica : Uno : (trapianti d’organi a parte), molte vite umane potrebbero essere salvate. Se ci fosse più sorveglianza da parte dei datori di lavoro e meno pigrizia negli operai.

Due : siamo vittime della degenerazione di governo e opposizione.

Tre : No al parcheggio sotterraneo del Pincio. Meglio il mare di lamiera che in superficie valorizza i monumenti, allieta l’esistenza dei cittadini romani, residenti e non, impedendo all’area di essere infine pedonalizzata ( io a Celentano farei fare una promenade  mentre spinge un passeggino gemellare tra marciapiedi microscopici, macchine parcheggiate e vicoli ..so beautiful ).

Nonostante tutto ciò, siamo lieti che Yuppi du, non un capolavoro della cinematografia, ma egualmente interessante nel panorama scarno, se non inesistente, dei musical italiani, sia stato restaurato e se ne sia realizzato un dvd da porre in commercio per la gioia degli estimatori . Ognuno pensa al proprio tornaconto è un altro  caposaldo della Mistica di cui sopra. E per una volta almeno, siamo d’accordo.

Ma veniamo al dunque :

Sull’ Avenida Paulista a San Paolo del Brasile, due amici s’incontrano, tentano una conversazione che però è continuamente interrotta dai trilli dei rispettivi  telefonini. Così decidono che l’unico modo per avere uno scambio reale è telefonarsi a loro volta. Parleranno di etica, di vita, di amicizia, incuranti del traffico e del via vai di persone che li circonda. Comincia così Venezia 2008, con questo corto emblematicamente titolato Do visivel ao invisivel , del centenario maestro ( ma che spirito, che tocco  e che verve..) Manoel De Oliveira. Metafora della attuale difficoltà a comunicare se non attraverso mezzi  ma anche la sintesi  di quel che cerchiamo nel cinema :  il racconto di ciò che ( ancora) non si vede.

 

Elaborato il tragitto di questa Mostra e, per sovrapprezzo, attraversato da polemiche spesso ridicolmente gonfiate da una copertura mediatica che, in quanto spropositata, bada sempre meno ai contenuti, offrendo più rilievo alla marginalità.

Marginalità data non solo dai muri del pianto di Ippoliti o dagli abbigliamenti informali di certi critici o dal menù servito per colazione a Brad Pitt ma anche dalle dispute blockbuster – cinefilia ( Più Risi meno Antonioni si è dovuto leggere in un editoriale di cui francamente non si sentiva la necessità) ovvero dalla imperdibile polemica se sia o meno servita la contestazione

Come se tenersi un regolamento di epoca fascista che consentiva ai governi esteri, tramite le loro ambasciate, di avere pesante voce in capitolo ( vedi alla voce censura) nella selezione internazionale, potesse giovare all’Arte.

Tuttavia – e questo è vero – le presenze sono calate, colpa della crisi economica ( di cui poco si  parla ) più che del programma definito (a torto ) anemico e del fatto che se Venezia è una città costosa per le Major hollywoodiane, come pure precisato da Variety in apposito articolo, figuriamoci per i ragazzini con lo zaino in spalla e i di loro parenti.

Ciò detto, Müller, a mio sommesso parere,  ha allestito una mostra significativa dell’attuale offerta cinematografica di qualità nel pianeta, compiendo slalom tra i diktat di Toronto, lo sciopero degli sceneggiatori che ha ovviamente avuto ricadute sui tempi di lavorazione e consegna , la censura cinese che sdogana solo film in cui tutto va bene e chissà quale altra diavoleria o capriccio del settore.

E’ giusto che una mostra sia la più variegata – o schizofrenica, fa lo stesso –  internazionale, eclettica, sperimentale,  possibile, che offra una panoramica sui generi, senza ridicole –  in epoca di ibridazione, poi.. – pretese gerarchiche,  che offra al pubblico la possibilità dell’incontro –  che diventa sempre più scontro – con la realtà, con il lirismo, con l’immaginario. Sotto questo aspetto  il talento esplorativo – nonostante la riconferma che avrebbe suggerito in chiunque, un minimo di surplace – della catena di comando Müller and co ha dato i suoi risultati.


Sognando un’altra Cannes, la Mostra ha schierato in concorso ben quattro film italiani.  Scelta giustificata date le affermazioni primaverili da mettere a profitto che però non ha sortito l’effetto sperato, ne’ si può considerare la coppa Volpi a Silvio Orlando un risultato soddisfacente. 

L’impeccabile,  quanto a gusti, Wim Wenders, lo ha pur spiegato : peccato che il regolamento impedisca di premiare  il miglior attore se il film in cui recita è stato già insignitondel Leone d’oro.

Come dire : avremmo premiato più volentieri Rourke –  notevolissimo peraltro nell’ interpretazione del wrestler  Randy “The Ram” Robinson.

Non che i nostri film fossero  brutti , intendiamoci, ma le grandi aspettative della vigilia e soprattutto il confronto – in alcuni casi umiliante – con la cinematografia di altri paesi,  hanno orientato le scelte dei giurati su opere di differente spessore.

Poco male. Ne’ per questo sembra giustificata la recita dei requiem – dopo l’alleluja di Cannes sarebbe in ogni caso troppo tempestiva – già avviata dai giornali in salvezza dell’anima del defunto cinema italiano.

In definitiva : Opzetek ha sperimentato ( ben venga, a prescindere) un differente registro rispetto al consueto e anche se il suo film  ha un che di incompiuto ( bravi gli attori, toccante la storia ma..) è già  a Toronto e sarà al Moma di New York in autunno con una retrospettiva.

Corsicato è tornato tra noi con un film innovativo, vivace, che riesce finanche ad alleggerire il gravoso testo di Von Kleist già trasposto da Rohmer anni fa,  e anche se il richiamo ad Almodovar è pura invenzione ( ah la critica, oramai è diventata un coretto ben intonato ) ha messo in circolazione un’opera dignitosa e di discreta qualità.

E’ possibile dunque che il pubblico riservi  a questi film un trattamento differente, pareggiando così i conti con il giudizio non sempre generoso degli addetti.


Ma il punto non è questo, la difficoltà del nostro cinema, probabilmente  risiede nella cifra narrativa, troppo chiusa in ambiti angusti, di coppia, familiari, privati, troppo incentrata sulla psicologia dei personaggi, laddove il massimo della contestualizzazione è dato da una lei che lavora in un call center.

Anche Jerichow di Christian Petzold è la storia di un triangolo classico, anche Nuit de chien di Werner Schroeter, ruota su di un ossessione amorosa, anche Rachel getting married di Demme  racconta del ritorno a casa di una problem child la cui presenza mette in moto nella sua famiglia, dinamiche infami .

 

Ma intorno ad ognuna di queste storie si muovono  universi interi dei quali la narrazione puntualmente si appropria e che ci restituisce, non meno indispensabili delle singole vicende

Sono lì. Non vengono lasciati fuori della porta di casa. Persino Calopresti ci ha raccontato di aver costruito il suo documentario sulla Thyssen ( ahimè brutto ) sul dolore, un sentimento privato che per diventare collettivo e quindi motore di cambiamento, abbisogna di un’ impalcatura robusta : la presa di coscienza.

Ma quanto del necessario senso civile viene sottratto allo scopo principale : informare allineando i fatti. Che, soprattutto in questo caso, sono un cazzotto nello stomaco e annichiliscono assai più di qualunque altro racconto. Torneremo a riparlarne.

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Temperie culturale

Temperie culturale

min 4

Da quando ho assunto la responsabilità di ministro ho avanzato alcune proposte per cambiare uno stato di cose non più tollerabile. Voglio ricordarne alcune. Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell’ educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave della scuola che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana.

Mariastella Gelmini Quarant’anni da smantellare Corriere della Sera 22 agosto 2008

Mentre il ministro Bondi con spensierata civetteria si vanta di non capire nulla di arte moderna e annuncia l’istituzione del solito comitato censorio sul contributo pubblico alla cinematografia  – alle volte qualche spettatore, stanco delle mistificazioni televisive,  dovesse rivolgere al cinema la propria ansia di sapere come stanno le cose – il ministro Gelmini dirama il suo progetto di riforma della scuola, com’è nella migliore tradizione delle accademie militari : in termini di guerra batteriologica, tracciando inoltre un percorso che ricalca in tutto e per tutto il più classico dei discorsi da bar. Come  dire : a noi c’hanno rovinato il dottor Spock e il 68 invece che la guera ( una sola r) e le donne . Mica i governi che abbiamo avuto nel quarantennio successivo. Ora, se il vuoto pedagogismo, consta del principio democratico del diritto alla formazione, il ministro non si disturbi a includere nella sua lunga marcia verso il futuro, l’insegnamento dell’educazione civica. Data la patente contraddizione, a qualche meritevole discente potrebbero non tornare i conti. Col successivo rischio che intorno alle scuole si ricominci a disselciare, poi me la saluti la gerarchia e soprattutto l’ineffabile e ardito distinguo :  autorità slash autorevolezza – qui invece che al bar, siamo saliti sul tram – Senza considerare che tutta questa logica da castigamatti,  fatta di voti di condotta e divise, fatica e smantellamenti, lascia poco spazio all’affermazione di un principio sovrano : apprendere dovrebbe essere soprattutto un (impegnativo) piacere. Da un ministro, in genere, ci si attendono progetti strutturali, informazioni sui finanziamenti, indirizzi guida, qui, mai sia, ci si discosta dal tema disciplinare ci s’imbatte in concetti di recupero della tradizione che manco la destra più convinta oramai legge in questi termini :
Noi vogliamo una scuola che insegni a leggere, scrivere e far di conto. Una scuola in cui si torni a leggere I Promessi Sposi e dove non si dica più che lo studente dovrà “padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’ interazione comunicativa verbale in vari contesti”
Di favorire la formazione di uno spirito critico, non si parla. Un po’ asfittico come progetto ministeriale del terzo millennio per la formazione culturale e professionale dei giovani e, insieme, la costruzione del futuro di una nazione. Leggiamo pure i Promessi Sposi ma facciamone un uso migliore di quello prospettato dal ministro.
C’è poco da scherzare : che si tratti di istruzione, di  sicurezza, di immigrazione, di sviluppo, di tasse o di stato sociale, nessuno dei provvedimenti di questo esecutivo, scalfisce davvero la sostanza delle cose, tantomeno ne rimuove le storture. Gelmini non fa eccezione, qualitativamente non propone nulla diverso dai soldati nelle strade o dal presidio delle frontiere o dal licenziamento dei fannulloni nella pubblica amministrazione. Guai però a sottovalutare la cultura che sottende la politica degli annunci roboanti e dei provvedimenti shock. Dietro al fumo, c’è un progetto consistente di smantellamento di un sistema di Diritti che oggi vengono spacciati come la palla al piede di questo paese. Qualsiasi progetto autoritario comincia a lavorare così :  prima la cultura ivi compresa la libertà di stampa messa in seria crisi dall’abolizione indiscriminata dei finanziamenti all’editoria, poi la scuola e a seguire tutto il resto finchè dell’ ideologia politicamente corretta come la chiama il ministro nel suo  dizionario dei luoghi comuni, non rimarrà  che un ricordo. Queste le idee di modernizzazione. Ai tempi del colera.

Nell’illustrazione : il Ministero della Pubblica Istruzione ( anche se pare il Mocambo, con palmizi e tutto)

Spettabile bouganvillea

Spettabile bouganvillea

 

 

Le bouganvillea del terrazzo sono di due varietà, questa è quella che fiorisce per ultima. Comincia dopo la metà di agosto e se la stagione regge, può tirare avanti fino ai primi di novembre.

 

 

L’eterno colore d’estate delle facciate romane, ben si addice  al magenta della bouganvillea spectabilis. (Sullo sfondo Sant’Andrea della Valle )

La bouillabaisse di Alexandre

La bouillabaisse di Alexandre

Il cuoco di cui alla caricatura, è Alexandre Dumas padre – al quale, come si può vedere,  non vengono risparmiate nemmeno le remote origini Haitiane – rappresentato mentre si dedica alla preparazione di qualcosa che molto rassomiglia alla sua attività di scrittore. E infatti, mentre la bouillabaisse – il complicato, per varietà d’ingredienti e procedure,  brodetto marsigliese di pesce –  sobbolle, lo chef che è in lui,   estrae dalla pentola, per esaminarne il grado di cottura, uno alla volta, moschettieri –  c’è D’Artagnan nel ramaiolo  -  ma si presume anche.. abati, visconti e regali collane con puntali di diamanti, nonchè tulipani tatoo e perfidi cardinali col felino in grembo. Il risultato di quella corvée sarà un’amalgama narrativa da feuilleton, cioè una trappola perfettamente costruita per catturare il lettore. Del resto, Alexandre, un libro di cucina l’aveva pur scritto . E dev’essere stata appunto la gran mole dell’opera, l’eclettismo e quei puntuali riferimenti storici  a insinuare  l’idea,  sin nei contemporanei, che  egli altro non fosse se non il titolare di una bottega di scrittura. Tuttavia, marchio di fabbrica o autore singolo che fosse, motivi per leggerne i romanzi sopravvivono ancora nel piacere di seguire impalcature narrative ben strutturate o per la scrittura un po retrò, così densa, maestosa, fluviale o per l’ innata inclinazione al flash back o quel  talento speciale nel costruire  le attese che precedono il Coup de Théâtre,  espediente così tipico  del  romans à sensation. Tutta un’orchestrazione, insomma,  che ancora  tiene incollato il lettore al racconto, quantunque di quelle storie si siano oramai  realizzati, film, sceneggiati e riduzioni, con conseguente perdita di suspence . Capita dunque a proposito, la traduzione di due inediti – in Italia –  tratti dalla raccolta  Les Crimes célèbres  pubblicata nel 1840, opera in cui vengono ricostruiti alcuni storici delitti – i Borgia, i Valois, i Cenci, Maria Stuarda, l’uomo  della maschera di ferro etc – tutti o quasi accomunati dal tema dell’arroganza e della malvagità del potere che ogni cosa stritola, pur di perseguire i propri scopi. La narrazione di questi casi procede nella consapevolezza vagamente libertaria  e tutta  contemporanea che i grandi crimini più che gesti individuali, sono l’esito naturale di società fondate  sull’iniquità e sull’ingiustizia legalizzata. Un po’ l’appeal dell’attuale noir assurto a letteratura di un certo interesse  per certe appropriate analisi dei contesti      I Due delitti celebri  – Giovanna di Napoli e Nisida edito da Spartacus, non sfuggono a questa considerazione generale espressa peraltro dall’autore nell’edizione francese, mentre una bella introduzione di Giuseppe Montesano titolata  Città che decadono. Etica del raccontare rapido. Donne misteriose. La storia è un incubo. La bellezza è rivoluzionaria e altre divagazioni intorno a Giovanna di Napoli , affronta ripetutamente  il tema della decadenza di Napoli, riuscendo nel tentativo di offrire più di un elemento di riflessione. Una esaustiva nota ai testi di Filippo Bonfante costituisce un valore aggiunto all’insieme. Per gli appassionati del romanzo storico d’antàn, di nobile, pletorica e minuziosa fattura.

Due delitti celebri – Giovanna di Napoli e Nisida è un libro di Alexandre Dumas padre. Introduzione di Giuseppe Montesano. Edizione Spartacus

Autodistruttivi, letargici e piagnoni

Autodistruttivi, letargici e piagnoni

Mucillagine

Posso dire che odio la parola opinione, figlia di processi culturali che mirano a far opinione con l’emozione. Mai con la coscienza. (Giuseppe De Rita –  Repubblica del 19 agosto 2008 pag 11)

Al triangolare Moretti, Scalfari, Veltroni, protagonisti, in questi giorni, di un dibattito articolato tra egemonia culturale, perdita dello spirito pubblico e rimozione della memoria, si è aggiunto ieri su Repubblica il contributo – prezioso come sempre  –  di Giuseppe  De Rita, presidente del Censis, ed estensore di interessanti quanto veritieri, rapporti sullo stato delle cose di questo Paese. Mesi fa De Rita, aveva definito mucillagine la frantumazione di singole realtà, incapaci di integrarsi, di fare sistema.
Questo fenomeno disgregativo trova ragion d’essere in un recente passato, da quando cioè, finita di colpo l’era dei partiti d’opinione contrapposti ai partiti di massa – una delle nostre anomalie più eclatanti è questa trasformazione radicale del quadro politico, avvenuta senza una rivoluzione, ne’ una guerra, praticamente un inedito sulla faccia del pianeta -   l’opinione pubblica ha incontrato  Berlusconi e trovato in lui, ovvero in un sistema di non valori che è un  misto di emotività e pulsioni tese all’ indivudualismo, la propria piena  identificazione. Un fenomeno così importante – Berlusconi è, vuoi o non vuoi, la biografia di questo Paese – non può non condizionare anche l’operato di coloro i quali, in quel complesso di ragioni, non s’identificano affatto.
E qui, più che prendersela con Veltroni per le indubbie difficoltà di oppore una risposta efficace alle sollecitazioni di Moretti e Scalfari, forse varrebbe la pena  di ricordare le responsabilità enormi – da peccato originale – della sinistra.
Responsabilità che risalgono ad anni addietro e che non coinvolgono solo l’incapacità a disporre un provvedimento sul conflitto d’interessi, ma soprattutto l’aver sempre caparbiamente sottovalutato l’importanza del potere mediatico. Questa costante ha accompagnato tutto l’ agire politico degli ultimi anni :  dall’epoca in cui tramite Consob si sarebbe potuto limitare l’ascesa delle aziende di Berlusconi, che tra l’altro non navigavano nemmeno in ottime acque, fino al periodo delle ultime campagne elettorali, laddove il potere dato dalla connessione media – destra, di determinare un clima d’insicurezza, è stato contrastato con un tardivo gioco, per di più, di rimessa.
Oggi il PD è a dibattersi in problemi identitari – come da vent’anni a questa parte, del resto, accade nella principale formazione che ne ha determinato la nascita – e nel difficile compito, stante i rapporti di forza, di dar vita ad un’ Opposizione visibile.
Ma l’Opposizione non si fa solo in Parlamento, se così fosse, basterebbe lo scarno bollettino dei Lavori tra Camera e Senato, ne’ si può pensare che le manifestazioni di piazza o le raccolte di firme possano sostituire l’azione di contrasto data dalla protesta che deve nascere nella società civile : sindacati, associazioni, movimenti, fondazioni  e quant’altri avvertono l’esigenza di un cambio di rotta.
Di opinioni, noi di sinistra, ne abbiamo tante e narcisisticamente ce le rimiriamo e rimpalliamo – ma quanto siamo bravi, colti, preparati, fichi e incazzati –  mentre galleggiano – come dice De Rita – nella mucillagine. Anche noi siamo tanto emotivi e tanto incapaci di fare sistema.  
Solo il ritorno della Coscienza può fare da collante alle particelle sparse nel blob  e determinare il miracolo di una vera ed incisiva opposizione. Ma per mettere insieme la pletora di realtà e di persone che si distanziano dalla poltiglia di massa,  serve quella che De Rita chiama  la Macchina. Liquida, solida o spray che sia l’organizzazione a venire, Veltroni non può pensare di fare senza. Ne’ di affidare il suo-nostro pensiero alle lettere aperte sul recupero della memoria.Tutto sacro e santo ma noi, tanto per dirne una, avremmo urgente bisogno di dibattere sui guasti – se ce ne sono –  del federalismo fiscale e di capirne le ricadute. E i cittadini che in maggioranza hanno votato contro la devolution, hanno invece da capire che nesso c’è tra quel diniego e la nostra attuale convergenza di massima sul progetto. Siccome è un argomento complesso in cui non mancano buone ragioni  ma che importa concretamente il futuro di ognuno, non sarebbe male avviare una discussione seria.  Diversamente, dalla fase  letargica, per dirla con Moretti, si passerebbe immediatamente a quella  piagnona e, francamente, nonostante la protervia dell’avversario e l’inevitabile senso di frustrazione che questa sconfitta si è tirata dietro, vorremmo arrivare vivi, quantomeno alla fine della legislatura.

 

nell’illustrazione :  mucillagine (veneta )