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Mese: Giugno 2008

8) Sinistra chi sei

8) Sinistra chi sei

Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia sinistra. Sarebbe un’operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio bisogna sempre che sia quello dell’avversario, mai il nostro. Tutte e due le tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro salariato con l’ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici. Altrimenti si diventa un’altra cosa.

9) Lavoro e sapere

9) Lavoro e sapere

La nuova e antica centralità: dare forma politica al pluriverso del lavoro. Ci vuole un’idea politica di lavoro, anzi, di lavoratore. Dopo l’esperienza storica del movimento operaio, in che modo la persona che lavora, uomo e donna in modo differente, può avere in quanto tale, non solo come cittadino, una funzione politica? Come i lavoratori associati possono contare politicamente? In che modo, per quali vie, con quali forme, possono esprimere un progetto di modello sociale, di sistema politico, di egemonia culturale? E, anche qui, chi sono oggi i lavoratori? C’è questo ceto medio acculturato di massa, che è diventato un po’ la caricatura del blocco storico per il centro-sinistra: perché è isolato e lontano dal resto della società reale. Ha una parte alta, che va verso le professioni, una parte bassa che va verso il precariato, a volte le due condizioni si congiungono. E’ prezioso lavoro della conoscenza, un decisivo pezzo di lavoro immateriale, con in mano il futuro di sviluppo del paese. Va ricongiunto al lavoro materiale, al lavoro manuale, che c’è anche quando manovra le macchine, al lavoro operaio, salariato. Il lavoro sans phrase, direbbe Marx. Ma qui ne va della dignità della sinistra il farsi carico e porre rimedio a questa disperata solitudine operaia, che si esprime, come abbiamo visto in tanti modi, a volte sconcertanti, che vanno riconosciuti, non giudicati. Solo assolvendo politicamente a questo compito si può riaprire il discorso sul nuovo “mondo del lavoro”. Lavoro e sapere, si dice oggi. Più la differenza del lavoro femminile. Il lavoro autonomo, di prima e seconda generazione, che va ricongiunto al lavoro dipendente, garantito o precarizzato. Così come il centro urbano va ricongiunto alle periferie metropolitane. Non è possibile accettare come un destino il rovesciamento di consenso che si è verificato tra questi spazi di territorio e in questi luoghi del sociale. Non è possibile. O altrimenti essere di sinistra non ha più senso politico. Ecco la vera missione di un forte partito della sinistra: recuperare il senso della propria funzione, nel “fare popolo” come “soggetto politico”. Ricongiungere, riannodare e stringere il nodo tra campo sociale e forza politica

10) Il vecchio che avanza

10) Il vecchio che avanza

Diceva Brecht: sul muro sta scritto “viva la guerra”/ chi l’ha scritto, è già caduto. Adesso si dice: non si può tornare indietro. Chi lo ha detto, ha già messo un piede nel vuoto. Il nuovo a tutti i costi restaura il vecchio che avanza. Abbiamo avuto a nostre spese, qui e ora, una lezione da manuale. Calcoliamo bene le mosse, prendiamoci il tempo necessario. Ma non escludiamo a priori il fatto che a volte è necessario fare un passo indietro per saltare in avanti.

11) Tracce di civiltà

11) Tracce di civiltà

Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia sinistra. Sarebbe un’operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio bisogna sempre che sia quello dell’avversario, mai il nostro. Tutte e due le tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro salariato con l’ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici. Altrimenti si diventa un’altra cosa.

Superiority complex ( una sinistra antipatia)

Superiority complex ( una sinistra antipatia)

 ricolfi

Sono all’edicola e un tale fisicamente ben messo – che magari si occupa di Priorità ma non di Precedenze –  piomba, dribbla la fila e chiede al gestore che la sua copia del Manifesto gli venga sostituita perchè stropicciata.  La battuta scatta spontanea  ed è del tipo  l’amore non dovrebbe guardare in faccia le stropicciature. Lui mi squadra e di rimando mi indirizza un  Certo ! carico e aggressivo, dietro al quale insiste un non vago sentore di disprezzo per la tranquillità borghese della divisa che indosso al momento ( anche lui ne ha una, di segno diverso  ma evidentemente non siamo pari ). Faccio segno con la mano al gestore che vorrebbe enumerare al manifestante anti stropiccio, le mie credenziali in termini di editoria schierata – ci mancherebbe altro –  poi, attraverso Largo di Torre Argentina e filo dritta a comperare il libro di cui all’oggetto e che promette spiegazioni sul perchè la gente di sinistra è antipatica. Alla fine – e devo dire non ci contavo troppo – mi sono fatta, in aggiunta, anche un'idea del motivo per cui difficilmente riconosce le metafore ( brutto segno), ha scarso senso dell’umorismo e non rispetta le file :

Una  prima edizione di Perchè siamo antipatici sottotitolo la sinistra e il complesso dei migliori era già uscita nel 2005 a ridosso delle precedenti elezioni politiche. Luca Ricolfi che ne è l’autore,  sosteneva allora che quelli di sinistra non sono antipatici solo alla destra, cioè al proprio naturale antagonista ma pure a tutti gli altri, a quelli cioè che non appartenendo ad una preciso schieramento, decidono dei propri orientamenti elettorali sulla scorta di considerazioni rispettabilissime ma  che con l’ideologia non hanno nulla a che vedere. Un target con il quale sarebbe indispensabile dialogare e che mai come ora è sembrato infinitamente distante e totalmente impermeabile  sin ai messaggi di elementare  ragionevolezza politica.   I motivi della sinistra antipatia, erano individuati dall'autore nell’adozione di un  linguaggio oscuro, codificato,  spesso  in contrasto con una visione realistica delle cose e in una sorta di ostentata supponenza morale e culturale, in un primato etico, in qualunque circostanza, orgogliosamente rivendicato. Un problema questo, che nel corso del tempo, è stato più volte segnalato da intellettuali di spessore, animando i pubblici dibattiti  di una precedente transizione, quando cioè , rispetto ai cambiamenti di quel complicato periodo che seguì la caduta del muro , ci si accorse non essere più i comunisti, i soli  a perseguire l’obiettivo di una società più giusta. Certo, la ricostruzione di un’identità sociale nuova è un lavoro che richiede anni, per capire però a che punto siamo o per meglio dire, quanto ritardo abbiamo accumulato, basta osservare il comportamento delle persone ritenute politicamente più sensibili al cospetto dell’ultima  sconfitta elettorale:  da quelli che vogliono sdegnosamente espatriare a quelli che  ritengono il popolo italiano una massa d’imbecilli ammaliati da Berlusconi, si snoda una vasta gamma  di propositi e sentimenti che non escludono nostalgici  ritorni ad un passato di coerente militanza oppure che spensieratamente sostengono il tanto peggio tanto meglio . C’è persino chi nega la sconfitta o chi è fermamente convinto che dall’opposizione si possa più agevolmente costruire una ripartenza. Ed è per l’appunto alla luce dell’ultima  debacle elettorale che Ricolfi aggiorna il suo Perchè siamo antipatici  aggungendo carne al fuoco e nuovi indizi di antipatia come per esempio   la resistenza  a  prendere atto di una semplice verità e cioè che messaggi più chiari e convincenti abbiano catturato i voti sin degli elettori  tradizionalmente vicini alla sinistra e che il successo della destra  sia stato ottenuto col contribuito decisivo della pessima immagine che ha mostrato di sè, durante l’ultimo governo Prodi.  E questo nonostante, Veltroni ci abbia provato a non alimentare il razzismo etico, inaugurando in campagna elettorale,  un linguaggio semplice, cercando di promuovere il rispetto dell’avversario, smorzando gli atteggiamenti di superiorità morale, prospettando un’idea differente  di rapporto tra le forze politiche. Non tutte le asserzioni del libro –  che comunque contiene qualcosa di più di un semplice fondo di verità –  sono condivisibili, la lettura procede agevolmente e se s’inceppa è solo perchè a tratti risulta irritante. Tuttavia sorge il dubbio che, in questo caso, siano proprio le nostre  reazioni di ripulsa ad avere bisogno di un attenta disanima, suscitando in noi quel  sospetto che è sempre una  preziosa risorsa per indagini e  riflessioni. Valentino Parlato all’indomani della sconfitta elettorale di Roma, adottando nei confronti della sinistra l'aggettivo repellente ben definiva le reazioni degli elettori al cospetto della stessa. Ed è vero, lo si avverte sin nell'osservazione di banali episodi quotidiani quando in certi contraddittori, pur esponendo ragioni improntate a criteri di buon senso, si viene guardati come marziani. Evidentemente con il nostro atteggiamento non rendiamo apprezzabili nemmeno i buoni principi di cui vorremmo essere portatori. Questo libro è anche un contributo sulla via della messa a punto di un linguaggio, le modifiche del quale oggi si ritengono indispensabili per contrastare il semplicismo con immediatezza degli spot di governo laddove tra disagio nostro e repellenza altrui bisognerà pur trovare un punto di approdo.Non senza una presa d’atto dei nostri errori. Ma, tristemente, sembra proprio quella che tarda ad arrivare.

Il sentimento di superiorità morale della sinistra riaffiora continuamente nel discorso politico, indipendentemente dalla carica e dai ruoli ricoperti. Che si tratti di dirigenti politici, di militanti o di semplici cittadini, che si tratti di moderati o di radicali,di riformisti o di massimalisti, l’idea di una superiorità etica della sinistra,sembra essere una convinzione profonda di una parte tutt’altro che minoritaria di coloro che fanno politica a sinistra e in qualche misura anche del popolo di sinistra in quanto tale.

Perchè siamo antipatici, la sinistra e il complesso dei migliori, è un libro di Luca Ricolfi edito da Longanesi.