Sono all’edicola e un tale fisicamente ben messo – che magari si occupa di Priorità ma non di Precedenze – piomba, dribbla la fila e chiede al gestore che la sua copia del Manifesto gli venga sostituita perchè stropicciata. La battuta scatta spontanea ed è del tipo l’amore non dovrebbe guardare in faccia le stropicciature. Lui mi squadra e di rimando mi indirizza un Certo ! carico e aggressivo, dietro al quale insiste un non vago sentore di disprezzo per la tranquillità borghese della divisa che indosso al momento ( anche lui ne ha una, di segno diverso ma evidentemente non siamo pari ). Faccio segno con la mano al gestore che vorrebbe enumerare al manifestante anti stropiccio, le mie credenziali in termini di editoria schierata – ci mancherebbe altro – poi, attraverso Largo di Torre Argentina e filo dritta a comperare il libro di cui all’oggetto e che promette spiegazioni sul perchè la gente di sinistra è antipatica. Alla fine – e devo dire non ci contavo troppo – mi sono fatta, in aggiunta, anche un'idea del motivo per cui difficilmente riconosce le metafore ( brutto segno), ha scarso senso dell’umorismo e non rispetta le file :
Una prima edizione di Perchè siamo antipatici sottotitolo la sinistra e il complesso dei migliori era già uscita nel 2005 a ridosso delle precedenti elezioni politiche. Luca Ricolfi che ne è l’autore, sosteneva allora che quelli di sinistra non sono antipatici solo alla destra, cioè al proprio naturale antagonista ma pure a tutti gli altri, a quelli cioè che non appartenendo ad una preciso schieramento, decidono dei propri orientamenti elettorali sulla scorta di considerazioni rispettabilissime ma che con l’ideologia non hanno nulla a che vedere. Un target con il quale sarebbe indispensabile dialogare e che mai come ora è sembrato infinitamente distante e totalmente impermeabile sin ai messaggi di elementare ragionevolezza politica. I motivi della sinistra antipatia, erano individuati dall'autore nell’adozione di un linguaggio oscuro, codificato, spesso in contrasto con una visione realistica delle cose e in una sorta di ostentata supponenza morale e culturale, in un primato etico, in qualunque circostanza, orgogliosamente rivendicato. Un problema questo, che nel corso del tempo, è stato più volte segnalato da intellettuali di spessore, animando i pubblici dibattiti di una precedente transizione, quando cioè , rispetto ai cambiamenti di quel complicato periodo che seguì la caduta del muro , ci si accorse non essere più i comunisti, i soli a perseguire l’obiettivo di una società più giusta. Certo, la ricostruzione di un’identità sociale nuova è un lavoro che richiede anni, per capire però a che punto siamo o per meglio dire, quanto ritardo abbiamo accumulato, basta osservare il comportamento delle persone ritenute politicamente più sensibili al cospetto dell’ultima sconfitta elettorale: da quelli che vogliono sdegnosamente espatriare a quelli che ritengono il popolo italiano una massa d’imbecilli ammaliati da Berlusconi, si snoda una vasta gamma di propositi e sentimenti che non escludono nostalgici ritorni ad un passato di coerente militanza oppure che spensieratamente sostengono il tanto peggio tanto meglio . C’è persino chi nega la sconfitta o chi è fermamente convinto che dall’opposizione si possa più agevolmente costruire una ripartenza. Ed è per l’appunto alla luce dell’ultima debacle elettorale che Ricolfi aggiorna il suo Perchè siamo antipatici aggungendo carne al fuoco e nuovi indizi di antipatia come per esempio la resistenza a prendere atto di una semplice verità e cioè che messaggi più chiari e convincenti abbiano catturato i voti sin degli elettori tradizionalmente vicini alla sinistra e che il successo della destra sia stato ottenuto col contribuito decisivo della pessima immagine che ha mostrato di sè, durante l’ultimo governo Prodi. E questo nonostante, Veltroni ci abbia provato a non alimentare il razzismo etico, inaugurando in campagna elettorale, un linguaggio semplice, cercando di promuovere il rispetto dell’avversario, smorzando gli atteggiamenti di superiorità morale, prospettando un’idea differente di rapporto tra le forze politiche. Non tutte le asserzioni del libro – che comunque contiene qualcosa di più di un semplice fondo di verità – sono condivisibili, la lettura procede agevolmente e se s’inceppa è solo perchè a tratti risulta irritante. Tuttavia sorge il dubbio che, in questo caso, siano proprio le nostre reazioni di ripulsa ad avere bisogno di un attenta disanima, suscitando in noi quel sospetto che è sempre una preziosa risorsa per indagini e riflessioni. Valentino Parlato all’indomani della sconfitta elettorale di Roma, adottando nei confronti della sinistra l'aggettivo repellente ben definiva le reazioni degli elettori al cospetto della stessa. Ed è vero, lo si avverte sin nell'osservazione di banali episodi quotidiani quando in certi contraddittori, pur esponendo ragioni improntate a criteri di buon senso, si viene guardati come marziani. Evidentemente con il nostro atteggiamento non rendiamo apprezzabili nemmeno i buoni principi di cui vorremmo essere portatori. Questo libro è anche un contributo sulla via della messa a punto di un linguaggio, le modifiche del quale oggi si ritengono indispensabili per contrastare il semplicismo con immediatezza degli spot di governo laddove tra disagio nostro e repellenza altrui bisognerà pur trovare un punto di approdo.Non senza una presa d’atto dei nostri errori. Ma, tristemente, sembra proprio quella che tarda ad arrivare.
Il sentimento di superiorità morale della sinistra riaffiora continuamente nel discorso politico, indipendentemente dalla carica e dai ruoli ricoperti. Che si tratti di dirigenti politici, di militanti o di semplici cittadini, che si tratti di moderati o di radicali,di riformisti o di massimalisti, l’idea di una superiorità etica della sinistra,sembra essere una convinzione profonda di una parte tutt’altro che minoritaria di coloro che fanno politica a sinistra e in qualche misura anche del popolo di sinistra in quanto tale.
Perchè siamo antipatici, la sinistra e il complesso dei migliori, è un libro di Luca Ricolfi edito da Longanesi.