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Anno: 2011

Gesuzza e Carmeliddu

Gesuzza e Carmeliddu

Al pari delle Serpieri, dei Franz Mahler, delle Sedara e dei principi di Salina  che con Visconti  hanno  raccontato il Risorgimento attraverso l’inesorabile declino di un mondo   –  agonizzante ma abbastanza vitale da  contaminare con i suoi  vezzi e le sue pessime inclinazioni il nuovo in ascesa –  Gesuzza e Carmeliddu, di quella stessa epoca risorgimentale, rappresentano non un differente punto di vista, ma direttemente un’altra dimensione.


Accomunate le visioni da un preciso intento antiretorico – ma per Visconti  anni 50- 60 era forse più facile che per Blasetti a metà degli anni 30 e dunque in pieno fascismo – il racconto dell’impresa dei Mille viene mostrata come atto improvvisamente risolutivo e drastico – l’allusione al 1921 è inevitabile, poichè 1860 è comunque  un film di regime –  di divisioni, di teorie,di argomentazioni e dissidi tra gl’italiani alla vigilia dell’unificazione e puntualmente annotati nel corso di un viaggio che Carmeliddu intraprende attraverso la penisola.


Protagonista principale non un singolo personaggio con la sua particolare vicenda, ma la massa, il popolo, risentendo il film degli echi del contemporaneo cinema russo, come pure riferito da Georges Sadoul  che anzi riconosce in 1860 la parentela di questo perfetto esercizio di stile con il Griffith di Birth of a nation e più ancora con l’Eseinstein di Que viva Mexico o il Pabst di Don Chisciotte.


Ma soprattutto in 1860 colpiscono le ragioni con le quali Blasetti spiega la vittoria dei garibaldini, numericamente inferiori e male equipaggiati rispetto ai soldati borbonici : quella milizia era un corpo senz’anima : mancava una coscienza centrale, mancava oramai lo scopo ideale di esistenza.Calatafimi oltre che un fatto d’armi è soprattutto una grande lezione di morale storica e di ottimismo : la stessa violenza non è mai cieca o bruta, ma agisce in funzione dello spirito che la informa.(Alessandro Blasetti, Il Mattino, Napoli 24 novembre 1933)


Facile a scriversi, meno a essere rappresentato in immagini (che saranno di rara potenza con inquadrature, data l’epoca, prodigiose).


La giustezza di una causa e le ragioni di una rivoluzione raccontate da due registi italiani che hanno reso grande il Cinema –  e non solo il nostro – sono motivi sufficienti per ritenere  futili e artificiosi i distinguo di questa giornata che comunque è riuscita ad essere lo stesso di festa.


La nostra storia del resto è storia di divisioni e disparati sentimenti  che spesso hanno reso difficile la ricerca del Bene Comune. Forse l’ultimo atto di quella rivoluzione sarà imparare a convivere con le differenze.

I nostri predecessori , tra repubblicani, monarchici, socialisti, autonomisti e ammiratori del  papa, ad un certo punto, misero da parte le loro, ritenendo prioritario sopra ogni forma di governo futuro, l’obiettivo di unificare la patria. Noi che viviamo epoche non meno difficili  non dovremmo rinunciare a  fare altrettanto



1860 – I mille di Garibaldi è un film di Alessandro Blasetti del 1934, con Giuseppe Gulino, Aida Bellia, Gianfranco Giachetti, Mario Ferrari, Maria Denis, Ugo Gracci, Vasco Creti, Totò Majorana, Otello Toso, Laura Nucci. Prodotto in Italia. Durata: 80 minuti.

Marriage is hard..

Marriage is hard..

The kid are all right. I ragazzi stanno bene. E se non ci si mettessero le stroncature e gl’insulti  della Critica Cinematografica delle Libertà, starebbero anche meglio.


Passi la  coppia omosessuale – se ne incontrano col marchio Medusa e senza particolari sconvolgimenti –  ma il regolare matrimonio con figli da fecondazione eterologa e per di più legalmente riconosciuti, dev’essere sembrato troppo persino ai libertari dell’ognuno a casa sua si regola come gli pare.


Tanto più se il caso vuole che la distribuzione Lucky Red renda ognuno libero da qualsiasi remora.


E allora vai con le espressioni, le spiritosaggini e la filosofia da bar di sotto e vai pure con la difesa sperticata del premier, incautamente contraddetto a Romafilmfestival da una esterrefatta Julianne Moore che alla domanda ” cosa ne pensa dell’ assunto meglio appassionarsi di belle ragazze che essere gay. ” aveva replicato come qualsiasi persona di buon senso avrebbe fatto ” ma che scemenza”. Apriti cielo.


Invece nel film la sceneggiatura risulta assai credibile, vicina a quella realtà, lodevolmente priva di  idealizzazioni lesbo militanti e piuttosto orientata  a lasciar trapelare dinamiche da coppia –  o famiglia –  qualsiasi. Proprio quelle che rendono ogni matrimonio  hard, a prescindere dal genere dei contraenti.


E se i ragazzi stanno tutti bene (e i Diritti delle persone, negli altri paesi, trovano miglior attenzione e rispetto che da noi),  le ragazze, cinquantenni e oltre ma senza  troppo trucco e ritocco, sono bravissime. Come pure la regista  Lisa Cholodenko, omosessuale dichiarata che qui mette in campo, con successo e disinvoltura,  tutto il suo know how matrimoniale.

Ovviamente, secondo i critici in questione, le signore non rappresentano che il segmento lesbo- chic – radical di propaganda omosessual hollywoodiana. Immaginando con quali parole d’ordine, lasciamoli dire.







I ragazzi stanno bene è un film di Lisa Cholodenko del 2010, con Julianne Moore, Annette Bening, Mark Ruffalo, Josh Hutcherson, Mia Wasikowska, Yaya DaCosta, Rebecca Lawrence, Kunal Sharma, Amy Grabow, Eddie Hassell. Prodotto in USA. Durata: 104 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

Vignette

Vignette

Secondo il nobile impianto (per dirla col Guardasigilli) dell’epocale (per dirla col Premier) riforma,  i magistrati posti a difesa dell’interesse pubblico e i cittadini che  attraverso i propri legali, difendono un interesse privato, devono essere sullo stesso piano.


La faccenda sarebbe meno complicata di quel che possa sembrare se solo la si vedesse come naturale epilogo di una lunga stagione che ha visto il Presidente del Consiglio alle prese con la Giustizia e questo in numerose circostanze e a vario titolo. Indagini, telefonate, scandali, rinvii a giudizio, hanno occupato cronache e dibattiti ma nei prossimi mesi, si può esser certi, tutto sarà  raccontato attraverso il filtro edulcorante di questa Riforma che di epocale, per la verità, ha solo la stortura di cui sopra.


L’ idea  del processo come competizione e non come accertamento o meno  di responsabilità penali, del resto, ci viene propinata sine die con l’immagine dello strapotere di Pubblici Ministeri persecutori la cui unica missione è chiedere condanne a prescindere. Così ovviamente non è.


Mentre invece si manifesta concretamente la volontà di scardinare l’autonomia della magistratura e di circoscrivere l’azione penale entro perimetri stabiliti dalla Politica.

Ma, violazione di Principi a parte, una Politica che da quindici anni muove solo in direzione dell’Impunità, come potrebbe, seppure fosse accertata la validità delle epocali proposte, decidere quali indagini effettuare e come o quali reati perseguire?

Questi ed altri interrogativi, promette il Guardasigilli, saranno sciolti nei mesi a venire anche attraverso un’attenta disanima dottrinale.(Che bellezza) Tempo – conclude – ce ne sarà.