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Mese: Marzo 2011

Morire per Tripoli

Morire per Tripoli

Sanzioni e mandati di cattura internazionali a parte – siamo quasi alle ipotesi di scuola –  la sensazione  è che l’Occidente non sappia bene a quali orientamenti affidarsi mentre, con esiti incerti,   si combatte intorno ai terminali petroliferi di Ras Lanuf e Zawiyh (e Gheddafi sembra riguadagnare terreno).

Nemmeno i cronisti presenti sul campo, riescono a valutare se, per esempio,  i festeggiamenti di stamane, preceduti da un’ondata di violenze inaudite, a Tripoli siano pura propaganda o un autentico segnale di vittoria dei lealisti.

E anche le notizie sembrano avere peso differente a seconda dei Paesi in cui vengono diramate :  ieri Obama, qui da noi, era dato per interventista assai più di quanto non lo  fosse per il resto d’Europa e l’insediamento  del  National Transitional Temporary Council in Libya, praticamente ignorato dalla nostra Informazione trovava – giustamente, secondo me –   differente rilievo in Francia o in Gran Bretagna.



Nell’epoca in cui nulla dovrebbe sfuggire grazie  alle sofisticate dotazioni delle intelligence e ai mezzi di comunicazione, della questione libica s’ignora quasi tutto. Sono stati sufficienti una società ancora organizzata in tribù ed una milizia di ribelli coraggiosi ma equipaggiati alla meglio e privi di rappresentatività oltre che di una vera e propria  catena di comando, a far saltare i parametri di lettura e dunque a rendere ancora più problematico l’intervento.


In realtà a nessuno è dato sapere chi si candidi a sostituire Gheddafi. E se in Tunisia ed Egitto  la transizione può essere garantita dall’esercito, non altrettanto in Libia dove i militari, pur passati, almeno in parte, con gli insorti,  hanno peso ed organizzazione differenti.

All’epoca dei furori neocon, delle guerre sante e della democrazia d’esportazione, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori di Bush and co era lo stigma della Vecchia Europa, più incline all’uso della diplomazia che a quello dell’intervento militare.



E vecchi lo sembriamo sul serio al cospetto di queste masse di venticinque – trentenni (e anche meno)  che reclamano democrazia e che invece ci ostiniamo a guardare con gli occhi sospettosi del fallimento neocon. Proprio ora che l’uso della della forza risulterebbe inefficace – una delle poche cose che conosciamo è la tipologia e la quantità delle armi che, nel corso del tempo, abbiamo venduto ai libici – forse vale la pena di concentrare l’impegno sui negoziati. Ben sapendo quanto Gheddafi sia poco disposto a cedere sul terreno dell’abbandono del potere e tuttavia confidando nel fatto che ad un uomo braccato dentro e fuori del proprio paese, forse un’ onorevole via d’uscita dall’impasse, potrebbe interessare.


O così o la Libia si candida ad essere l’ennesima zona di guerra in Africa. Viste le grandi potenzialità e il sacrificio in termini di vite umane, sarebbe un delitto non tentare.





la foto  del miliziano è della Reuters da Libération