Morire per Tripoli
Sanzioni e mandati di cattura internazionali a parte – siamo quasi alle ipotesi di scuola – la sensazione è che l’Occidente non sappia bene a quali orientamenti affidarsi mentre, con esiti incerti, si combatte intorno ai terminali petroliferi di Ras Lanuf e Zawiyh (e Gheddafi sembra riguadagnare terreno).
Nemmeno i cronisti presenti sul campo, riescono a valutare se, per esempio, i festeggiamenti di stamane, preceduti da un’ondata di violenze inaudite, a Tripoli siano pura propaganda o un autentico segnale di vittoria dei lealisti.
E anche le notizie sembrano avere peso differente a seconda dei Paesi in cui vengono diramate : ieri Obama, qui da noi, era dato per interventista assai più di quanto non lo fosse per il resto d’Europa e l’insediamento del National Transitional Temporary Council in Libya, praticamente ignorato dalla nostra Informazione trovava – giustamente, secondo me – differente rilievo in Francia o in Gran Bretagna.
Nell’epoca in cui nulla dovrebbe sfuggire grazie alle sofisticate dotazioni delle intelligence e ai mezzi di comunicazione, della questione libica s’ignora quasi tutto. Sono stati sufficienti una società ancora organizzata in tribù ed una milizia di ribelli coraggiosi ma equipaggiati alla meglio e privi di rappresentatività oltre che di una vera e propria catena di comando, a far saltare i parametri di lettura e dunque a rendere ancora più problematico l’intervento.
In realtà a nessuno è dato sapere chi si candidi a sostituire Gheddafi. E se in Tunisia ed Egitto la transizione può essere garantita dall’esercito, non altrettanto in Libia dove i militari, pur passati, almeno in parte, con gli insorti, hanno peso ed organizzazione differenti.
All’epoca dei furori neocon, delle guerre sante e della democrazia d’esportazione, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori di Bush and co era lo stigma della Vecchia Europa, più incline all’uso della diplomazia che a quello dell’intervento militare.
E vecchi lo sembriamo sul serio al cospetto di queste masse di venticinque – trentenni (e anche meno) che reclamano democrazia e che invece ci ostiniamo a guardare con gli occhi sospettosi del fallimento neocon. Proprio ora che l’uso della della forza risulterebbe inefficace – una delle poche cose che conosciamo è la tipologia e la quantità delle armi che, nel corso del tempo, abbiamo venduto ai libici – forse vale la pena di concentrare l’impegno sui negoziati. Ben sapendo quanto Gheddafi sia poco disposto a cedere sul terreno dell’abbandono del potere e tuttavia confidando nel fatto che ad un uomo braccato dentro e fuori del proprio paese, forse un’ onorevole via d’uscita dall’impasse, potrebbe interessare.
O così o la Libia si candida ad essere l’ennesima zona di guerra in Africa. Viste le grandi potenzialità e il sacrificio in termini di vite umane, sarebbe un delitto non tentare.
la foto del miliziano è della Reuters da Libération