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Tag: La fabbrica del cinema

Io sono neorealista. Io pensavo stronzo

Io sono neorealista. Io pensavo stronzo

C’è qualcosa di risaputo nelle ambientazioni e forse anche nella trama di questo film che Francesca Archibugi ha tratto dall’opera prima di Umberto Contarello –  già sceneggiatore di Mazzacurati, Salvatores, Amelio, Placido, Piccioni –  Una questione di cuore. Di sicuro gli esterni pasoliniani, il Pigneto il Mandrione, Torpignattara e la Borgata Gordiani, luoghi del neorealismo trasformatisi, nel corso del tempo, in quartieri di tendenza ma anche l’asimmetria dei due mondi a confronto, quello del carrozziere e dello sceneggiatore che s’incontrano in un reparto di rianimazione, un luogo dove le questioni di cuore non nascondono complicate metafore.

Nulla di tutto questo però, prende pieghe narrative che possano definirsi scontate. C’è invece un dato di autenticità nel riferire  come i due, dagli antipodi,  affrontano la paura, il ritorno alla normalità e in definitiva il mondo, senza però sbilanciamenti da una parte o dall’altra, anzi mettendo a profitto il racconto proprio l’amicizia – ovvero la scelta di affrontare insieme il dopo-infarto – come prezioso e delicato  punto di equilibrio.

Kim Rossi Stuart, Antonio Albanese e Michaela Ramazzotti meritano di fare incetta di premi e riconoscimenti per il tocco leggero, il ritmo, la complicità di sguardi, le pause di una recitazione che, senza sbavature ed eccessi di sorta, conferisce  ai personaggi tutto quello di cui hanno bisogno : realistica ed intensa fragilità.

 

Questioni di cuore è un film di Francesca Archibugi. Con Antonio Albanese, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Francesca Inaudi, Andrea Calligari  Drammatico, durata 104 min. – Italia 2008. – 01 Distribution

(Carrozziere era Accattone, carrozziere è Angelo. Pasolini, a dispetto dei cambiamenti, aleggia ancora in quei luoghi e anche questo è risaputo)

L’Ape e la Corvette ( e altre meraviglie)

L’Ape e la Corvette ( e altre meraviglie)

L’epilogo  della contesa tra la panetteria di Davide e il fastfood di Golia ad Altamura, è noto. Alla fine, accerchiato dall’impasto fifty – fifty di  grani teneri e duri , dal lievito e dall’olio extra vergine etc etc, Mc Donald battè la ritirata lasciando gli autoctoni, soprattutto anziani, privi dell’unica multinazionale attrattiva : l’aria condizionata. Episodio non isolato nel centro meridione, dove la filosofia dello slowfood, take away, low price, affonda nella tradizione, antiche e consolidate  radici in forma di friggitorie, pizzerie, osterie e via dicendo.

Elogio del localismo gastronomico ma senza strafare – che alle volte, i cultori della cucina di mamma e di nonna risultano indigesti per totale mancanza di modus in rebus ed eccesso di nostalgici mugolii non esenti da bassi istinti di chiaro stampo conservative – con numerosi picchi di autentica allegria  per le esilaranti diatribe tra Arbore e Banfi sulle doti del lampascione o del fungo cardoncello ovvero per lo strepitoso cameo di Nichi Vendola. 

Correte dunque dietro a queste dieci copie – ma si può ? - del lavoro di  Nico Cirasola, estroso (Albania Blues , Bll’Epoker) regista di un pregiato e fantasioso apologo o docu-fiction che dir si voglia : Focaccia Blues, plot scoppiettante di improbabili quanto avvincenti dicotomie, (origine di altrettante contese) :  

E se la focaccia si mangia l’hamburger , l’Ape riuscirà a mangiarsi la Corvette? – ovviamente non di competizioni su strada si tratta – E come avverrà l’amalgama del genere fantastico col documentario? E quella del formato digitale col 35 mm ? – e qui la soluzione si fa interessante ed  esteticamente apprezzabile – E come finirà il tentativo di Onofrio da Altamura di  colonizzare con l’omonima focaccia nientedimeno che gli USA?

Tutto questo e molte altre meraviglie vedrete recandovi nelle sale in cui si proietta Focaccia Blues , non prima di aver visitato il bellissimo sito  e possibilmente prenotato al ristorante che la visione mette fame e la probabilissima scarpinata – ah com’è bella l’avventura – per trovare il cinema, non ne parliamo. A meno di essere tra quei fortunati spettatori ai quali il biglietto sarà venduto insieme ad un pezzo di focaccia sottovuoto. Da consumarsi preferibilmente nell’Intervallo.

Morale ( apocalittica) : Così come non c’è quasi più posto per i negozi singoli, ma solo per le catene e gli show room delle grandi distribuzioni globalizzate, anche nel cinema sta per essere dato il colpo di grazia alle singole sale. Oramai i centri cittadini rischiano di essere ovunque sempre più  vuoti ….Le nostre città saranno sempre più mcdonaldizzate? ( dal sito di Focaccia Blues).

Che s’ha da fà.

Focaccia Blues è un film di Nico Cirasola. Con Dante Marmone, Luca Cirasola, Tiziana Schiavarelli, Renzo Arbore, Lino Banfi  Commedia, – Italia 2009. Distribuzione Pablo.

Il digitale introverso Guevara

Il digitale introverso Guevara


Mai cortese iniziativa  fu tanto celebrata dalla critica come quella del produttore di distribuire un cestino nell’intervallo tra la prima parte – L’Argentino –  e la seconda  – Guerrilla – del Che di Sodebergh. Cinque ore di proiezione possono anche esigere un ristoro a metà del tragitto,  ma in fin dei conti  non si era trattato che di un sandwich e di una bottiglia d’acqua, quantunque adagiati  in graziosa  mise en place. Eppure se ne può rinvenire entusiastica menzione in ogni quotidiano del giorno dopo, addì 23 maggio 2008, alla pagina delle  critiche cannensi, con enfasi più marcata rispetto all’introversa scontrosità di Del Toro – che poi però si rifece con la palma del miglior attore, alla faccia degli inguardabili predecessori Sharif e Rabal –  o della trepidante attesa di un distributore che all’epoca dell’imprevisto dejeuner, non s’era ancora trovato.

Le cinque ore di (autentica e cinematografica) passione allora erano già destinate a diventare due film, per esigenze di sala, ma va da sè che il lavoro non può essere giudicato che nella sua interezza. La seconda parte sarà distribuita qui da noi, il primo di maggio, ma si sarebbe potuta tranquillamente offrire l’opportunità agli spettatori di vedere i due lungometraggi in sequenza, pur mantenendo la distinzione.

Costruita, in parte, adottando la falsariga del libro dello stesso Guevara titolato Sulla Sierra con Fidel – Cronache della rivoluzione cubana, essenziale nella sua digitale bellezza, a siderali distanze da altre celebranti e motociclistiche operazioni, poco trionfale, e retorica nemmeno un po’, ecco servita una delle imprese più anticommerciali mai viste al cinema.

Dunque pregevole, soprattutto nel proposito ben riuscito di  restituire al Che il posto che gli spetta nella Storia. Liberata l’icona dalle fin troppo calde drammatizzazioni e dall’abbrutimento del merchandising, possiamo ritrovare integro lo spessore dell’uomo politico e del soldato, grazie alla particolare attenzione posta  da Sodebergh nel rappresentare  il luogo e i sentimenti che animavano il tempo in cui è ambientato il film. Cronaca di un progetto rivoluzionario, più che di un sogno, seguito minuziosamente e a passo di documentario da una regia tesa a non invadere mai il campo, questo Che rappresenta un diverso modo di affrontare il biopic, più fondato sulla ricostruzione storica  che sulle indagini intorno alla psicologia del personaggio. Probabilmente chi ha definito il film di Sodebergh come qualcosa che Rossellini, Coppola e lo stesso Guevara avrebbero molto apprezzato, non aveva tutti i torti.

 

 

 

Che è un film di Steven Soderbergh. Con Benicio Del Toro, Demiàn Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Yul Vazquez, Ramon Fernandez, Julia Ormond, René Lavan, Roberto Santana, Vladimir Cruz, Sam Robards, Jose Caro, Pedro Adorno, Jsu Garcia, María Isabel Díaz, Mateo Gómez, Octavio Gómez, Miguelangel Suarez, Stephen Mailer, Roberto Urbina, Marisé Alvarez, Christian Nieves, Andres Munar, Liddy Paoli Lopez, Francisco Cabrera, Pedro Telémaco, Milo Adorno, Alfredo De Quesada, Juan Pedro Torriente, Jay Potter, Blanca Lissette Cruz, Laura Andújar, Euriamis Losada, Unax Ugalde. Genere Biografico, colore 126 minuti. – Produzione USA, Francia, Spagna 2008. – Distribuzione Bim

 

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

Lotta di classe con garbugli in Piccardia

 

 

Quando Gustave de Kerven  della premiata Delépine & Kervern  arrivò al Festival di  Roma – proveniente da Cannes e San Sebastian e diretto al Sundance, in un continuo mietere premi – a presentare il suo esilarante Louise Michel, storia  surreale –  ma non troppo – della chiusura di una fabbrica in Piccardia, nessuno avrebbe immaginato che di lì a poco, l’idea di rivalersi sui manager per i soprusi patiti e i licenziamenti , sarebbe divenuto per molti  lavoratori, il metodo di lotta del futuro.

Non nuovo a dire il vero, nemmeno qui da noi, visto che quello di sequestrare i fattori mentre i latifondisti si tenevano lontani ed al sicuro, protetti nelle loro residenze cittadine, faceva parte di un protocollo consolidato nelle lotte contadine fin de siécle e oltre. Per non tacer di Valletta e d’altri.

I manager come si sa, non sono i proprietari delle imprese, come i fattori non lo erano delle terre, ma intanto – in circostanze in cui è peraltro difficile stabilire chi sia il proprietario –  ne rappresentano la diretta  emanazione, per di più incarnando il massimo dell’ ingiustizia: quella di essere strapagati indipendentemente dall’efficacia dell’apporto produttivo. Aggiungendo al quadro il caos e la debolezza del sindacato, avremo un combinato disposto di latitanze  e  disagi in cui il dàgli al manager risulta essere l’unico modo in cui rabbia e senso d’impotenza possono esprimersi.

Anche Louise e le compagne, beffate da chi prima di spedirle a casa compera loro nuove divise e con il benservito di una liquidazione da fame, decidono, dopo aver esaminato diverse opportunità,  che l’unico investimento proficuo è mettere insieme il denaro per assoldare un killer e uccidere il boss che nel frattempo si è rifugiato in un paradisco fiscale, non si sa se di lista nera o grigia.

Di qui un susseguirsi di avventure incredibili si consumano sulle tracce del manigoldo. Poichè  non solo Michel, il designato killer,  è  piuttosto maldestro e nondimeno  intruppone mentre la sua coadiutrice Louise, non ne parliamo, ma come se non bastasse, in passato fu  donna e meno male – poi si scoprirà –  perchè anche Louise è stato uomo e da cosa può nascere cosa.

Sorta di western sociale secondo le intenzioni di Delépine & Kervern che hanno messo mano al progetto intenzionati a far sì che i più buoni potessero diventare cattivi e  i cattivi fossero degl’irriducibili criminali.

Un film divertente, piacevole, paradossale,   illuminato dalla presenza di Yolande Moreau, sguardo verde di rapinosa bellezza, attrice prediletta da Agnès Varda – quindi non si discute – , tre César, un vero talento al servizio di un personaggio duro, difficile e vagamente  trash. Da vedere senza pensare ad improbabili istigazioni a delinquere con la consapevolezza che non c’è proprorzione tra la tragedia della perdita del lavoro e di prospettive e  il chiudere a chiave un manager per mezza giornata in una stanza, il più delle volte per costringerlo ad ascoltare ragioni e richieste delle quali sembra non importare più a nessuno. Dedicato dai registi – anarchici – alla comunarda Louise Michel

  

Louise Michel è un film di Benoît Delépine, Gustave de Kervern. Con Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Sylvie Van Hiel, Jacqueline Knuysen, Pierrette Broodthaers, Francis Kuntz, Hervé Desinge. Genere Commedia, colore 90 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Fandango

Cronaca di una morte dimenticata

Cronaca di una morte dimenticata

Un giovane entusiasta che ama  – ed è quindi impegnato a valorizzare – il proprio lavoro, è una mina vagante anche se fa l’impiegato del catasto, figurarsi se ha scelto il mestiere di fare informazione.

C’è un modo dello stare al mondo che non può esimersi dal continuo interrogare ciò che accade. Si riescano o meno ad ottenere risposte, quel modo è vissuto come sovversivo di un ordine delle cose che non è solo appannaggio delle organizzazioni criminali.

Interrogarsi è il primo importante passaggio sul tragitto del costruirsi un’Etica. Se ciò si realizza su scala sociale, difficilmente le cose restano come sono. Per questo chi ha un’etica ed un’integrità,  ha molti nemici naturali ma anche insospettabili detrattori nella tendenza fatalista e distruttiva di quell’entusiasmo che sta alla base della voglia di cambiare.

Giancarlo Siani viene ucciso non solo per l’importanza delle rivelazioni – esito di un lavoro scrupoloso d’indagine –  ma perchè il  suo semplice continuare a stare al mondo, avrebbe infranto più di un teorema, in primo luogo quello che vede la mafia, impermeabile alla giustizia, come  unica, ineludibile prospettiva.

C’è nel film di Marco Risi un linguaggio essenziale e maturo che, dal traveling aereo iniziale ai titoli di coda, molto si adopera nel seguire il filo del racconto, disegnando il ritratto dell’antieroe : un giovane uomo reso vulnerabile dall’età, dalle proprie contraddizioni e dalla solitudine in  un contesto di fatto ostile . Sostenuto in questo, anche dall’interpretazione sfumata ed estremamente rispettosa del personaggio di Libero De Rienzo, il film è alimentato da un continuo conflitto che in virtù di una scelta cinematografica  del tutto  intenzionale  non viene risolto, ne’ sospeso.

Il film non dovrebbe richiamare troppo il confronto con Gomorra, trattandosi di due stili narrativi differenti ma soprattutto di una materia che nell’arco di oltre vent’anni è profondamente cambiata. Tuttavia a Risi, nulla nel settore dei parallelismi fantasiosi è stato risparmiato, nemmeno il raffronto col padre Dino. Ne’ il ricorso all’iconografia di genere, quantunque da quando le telecamere ci hanno mostrato, dopo il loro arresto, le vere abitazioni dei camorristi, non è più chiaro se gli stili prediletti, siano dettati dal cinema o se il cinema si sia ispirato a tali tendenze d’ arredamento.

Va invece dato merito a Risi per la tenacia spesa in una realizzazione che, nel corso del tempo, ha incontrato parecchi ostacoli. Ma soprattutto per essere riuscito nell’impresa di un film non didascalico che nel contempo consente una visione agevole anche da parte di chi, troppo giovane, nulla può sapere di quella stagione.


Fortapasc è un film di Marco Risi. Con Libero de Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Massimiliano Gallo, Ernesto Mahieux, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Gianfranco Gallo, Antonio Buonomo, Duccio Camerini, Marcello Mazzarella, Daniele Pecci, Ennio Fantastichini, Renato Carpentieri, Gianfelice Imparato. Genere Drammatico, colore 108 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribution