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Finisce qui ( almeno per ora )

Finisce qui ( almeno per ora )

Speriamo nella vittoria di  Obama, il primo contendente afroamericano per la sfida presidenziale negli USA . Non prima però di aver dato merito e rilievo alle qualità di Hillary Clinton : una carriera politica impeccabile, una competenza costruita con tenacia ancor prima del suo ruolo di First Lady alla Casa Bianca, una capacità di suscitare ammirazione in qualunque ambiente politico americano, ivi compreso quello repubblicano, senza contare il fatto di essere lei, eventuale prima donna a sedere nello studio ovale , la vera idea dirompente, la vera  inversione di tendenza,  rispetto alla politica di Bush. Rispetto a qualunque politica. Aveva le carte in regole per vincere ma ha incontrato un competitor più in grado di lei  di incarnare il rinnovamento. Obama non è più competente, non ha una carriera brillante alle spalle, non si è distinto per particolari iniziative politiche, non ha un cognome leggendario ma è un trascinatore, un entusiasta capace di infondere fiducia. Soprattutto è lontano miglia da quella detestata idea di establishement che invece la figura di Hillary facilmente suggerisce : il rovescio della medaglia per Obama consisterà in  un maggior impegno nel convogliare sulla sua candidatura i voti di quegli ambienti moderati che vedevano in Hillary la risposta  alle loro attese di cambiamento senza troppe avventure. Ovvero i consensi dei fedelissimi ispanici o quelli delle donne. I voti che la Clinton ha caparbiamente continuato a raccogliere anche quando tutto sembrava perduto dimostrano, oltre la grande affezione del suo elettorato che le resistenze di parte dei democratici per Obama sono tutt’ora vive e presenti in questa competizione. Sabato Hillary dichiarerà ufficialmente l’endorsment chiedendo ai suoi di sostenere la candidatura di Obama anche in nome dell’unità del partito. Un’eventuale trattativa per la vicepresidenza per lei, parte da un notevole punto di forza proprio per quanto detto. Obama per vincere ha bisogno di catturare i voti del centro e l’elettorato di Hillary potrebbe riservare brutte sorprese. D’altro canto il ticket dei sogni, non è meno insidioso per Barack : una vicepresidente  assai più capace e avvezza al ruolo pubblico ne offuscherebbe con buona probabilità  il mandato. Vedremo come Obama saprà sbrogliare la matassa e condurre la battaglia contro McCain che, diversamente da lui, ha alle spalle un partito coeso. Per Hillary for president finisce qui. Era cominciata con il “Mettiti il cappotto e vieni a votare per me” nel freddissimo Iowa. Nelle tappe seguenti nulla le è stato risparmiato : dalla mancanza d’ispirazione nei discorsi, alla freddezza, all’onnipresente marito. Persino il fatto di non occuparsi direttamente del gatto Socks è diventata un ‘onta grave da diffondere tramite i media .E poi c’è l’ambizione,  quella che ben prima delle capacità,  alle donne  non si perdona mai, come se per diventare presidente degli Usa, si potesse far senza.

Il sorriso del vincitore ( ten)

Il sorriso del vincitore ( ten)

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L’ultima volta che mi è capitato di vedere Obama in un programma televisivo, l’ho trovato attraente e davvero friendly mentre portava ad uno dei seggi  di Washington DC una scatola delle (immangiabili) ciambelle di Dunkin’ Donuts. Di lì a poco, avrebbe stravinto il Potomac, costringendo Hillary Clinton, addirittura ad un cambio di staff. Ma nel preciso istante in cui la camera, ne riprendeva  le immagini, Obama altro non avrebbe potuto fare se non compiacersi dell’eccezionale affluenza e del fatto di essere riuscito a stanare i giovani dai campus portandoli  a votare. Il Barack Obama che percorre il vialetto antistante la scuola-seggio a fianco di un  amico infatti, non ha niente di trionfale , è un giovane uomo con un bel po’ di responsabilità sulle spalle. Non avendo ancora nozione della vittoria, non si sente obbligato a gesto plateale o largo sorriso in favore di camera alcuno. Le ali plaudenti di supporter arriveranno ma adesso c’è solo gente che dopo aver votato, viene via dal seggio alla spicciolata. Obama sorride brevemente, qualcuno gli chiede come va ” sto andando!” risponde, parafrasando uno dei suoi slogan.  A vederlo però si capisce subito perché nonostante il suo programma sia meno strutturato di quello di Hillary  e tutti i media gli rimproverino di avere poca esperienza, abbia fatto egualmente man bassa di voti e perché, nel luogo simbolo dello schiavismo sudista, abbia riportato più di un  risultato inatteso : hanno preferito lui anche le donne e i bianchi , voti in parte sottratti al bacino elettorale di Hillary. In questa marcia trionfale lo hanno soccorso di sicuro il desiderio – sin repubblicano – degli elettori  di liberarsi di Bush, la paura della recessione, il desiderio di uscire dal disastro dell’Iraq ,  ma soprattutto la sua grandissima capacità di trasmettere entusiasmo e di rinfocolare le speranze. Era così diverso Robert Kennedy, per storia , estrazione sociale, stile e linguaggi  ma aveva un talento speciale. Quel talento era però riflesso sui volti delle persone che lo andavano ad ascoltare, un talento che ricorda, molto da vicino quello di Obama. Dopo Robert Kennedy, i più sostengono, l’America smise di sperare, di coltivare il sogno che qualcosa potesse cambiare

Niente di importante è mai accaduto in questo Paese se non quando qualcuno, da qualche parte, è stato disposto a sperare . Ci sono persone disposte a lottare quando si sentono dire «No, non potete», e loro rispondono invece «Sì;, noi possiamo». È così che questo Paese è stato fondato. Un gruppo di patrioti che dichiarava l´indipendenza contro il potente impero britannico; nessuno pensava che avessero la minima chance, ma loro hanno detto: «Sì, noi possiamo». È così che schiavi e abolizionisti hanno resistito a quel sistema perverso, ed è così che un nuovo presidente ha tracciato una strada per fare in modo che non rimanessimo metà schiavi e metà liberi. È così che la più grande delle generazioni ha sconfitto Hitler e il fascismo, ed è riuscita anche a tirarsi fuori dalla Grande Depressione. È così che i pionieri sono andati ad ovest quando la gente diceva che era pericoloso; loro dicevano: «Sì, noi possiamo». È così che gli immigrati si sono messi in viaggio da Paesi lontani quando la gente diceva che il loro destino sarebbe stato incerto, «Sì, noi possiamo». È così che le donne hanno conquistato il diritto di voto, i lavoratori il diritto di organizzarsi, è così che giovani come voi hanno viaggiato verso sud per marciare, fare sit-in e andare in galera, e qualcuno di loro è stato picchiato e qualcuno è morto per la causa della libertà. Ecco così  è  la speranza.

Ha ragione Obama, niente di importante può accadere in politica senza una forte spinta ideale e una buona dose di coraggio.Peccato che Hillary Clinton che pure è una delle teste politiche più brillanti di ambito democratico – basta leggere i suoi progetti di legge sulla Sanità Pubblica o le sue proposte di riforma sociale – non riesca ad ispirare gli stessi sentimenti. Colpa dei pregiudizi di genere o del fatto che la sua candidatura non viene vissuta come un elemento di vera discontinuità con l’establishment, quindi non in linea con l’idea di cambiamento che anima, a destra come a sinistra, il voto di queste primarie. Fatto è che le ultime due prove Hawaii e Wisconsin le infliggono una perdita secca , lo sfaldamento progressivo del blocco sociale  che la sostiene -donne ,anziani e bianchi – sembra inarrestabile. Vero è che le Hawaii sono il paese natale di Obama  e che il Wisconsin è considerato in America  lo stato progressista per eccellenza ma questo non basta a spiegare la misura del successo di Obama che evidentemente conta anche su una sorta di effetto trascinamento secondo il quale le vittorie alimentano nuove vittorie ed entusiasmi.Se così fosse Hillary – battagliera più che mai durante un confronto televisivo con il rivale di questa notte – sarebbe sull’orlo del tracollo anche se i prossimi Stati in calendario – Texas, Ohio e Vermont – che assegnano al vincitore un consistente numero di delegati, potrebbero contribuire a raddrizzare la situazione.Qualcuno già le consiglia il ritiro ma questo è accaduto anche dopo il primo insuccesso in Iowa.Pensare al ticket con Obama sarebbe la cosa più naturale ma il partito Democratico si troverebbe di fronte al problema di scegliere se andare alla sfida finale con una sommatoria di razzismo e misoginia da servire sul piatto dell’avversario e poi Hillary non è tipo da mollare la sfida in corso d’opera anche se le cattive notizie si susseguono senza sosta : ultima la defezione del sindacato dei camionisti i Teamsters guidato da James Hoffa Jr che si è schierato con Obama.ma vista lo scarsissimo seguito delle indicazioni di voto e il fallimento dei sondaggi in diversi stati,la partita si prospetta ancora aperta.(qui si ammira Obama, ma si fa un tifo sfegatato per Hillary)

Thinking points (il metodo Reagan)

Thinking points (il metodo Reagan)

Ronald Reagan , o meglio il suo stratega principale Richard Wirthlin aveva capito che una scelta elettorale è più improntata sulla capacità del candidato di entrare in sintonia con la gente che sul vero e proprio programma politico e che sono i valori, l’autenticità, la capacità di ispirare fiducia e di offrire un modello in cui identificarsi a determinare il voto. Reagan era considerato una persona vera ed aveva instaurato un rapporto  così viscerale che l’elettorato lo sostenne anche dopo aver capito che la sua politica economica non avrebbe dato impulso al Paese. Incarnava  un ‘ idea di America in cui si riconoscevano i repubblicani , gli elettori indipendenti e persino una larga fetta di democratici. Metodologicamente Obama guarda molto a Reagan, la sua proposta è diametralmente opposta ma la sua idea ricorrente di unire il paese e di colmare il deficit di empatia  tra politica e cittadini permea i suoi discorsi esaltando il pragmatismo del fare politico che produce risultati concreti per le classi più deboli e i ceti medi in notevole difficoltà in questo momento negli Stati Uniti. A differenza di Hillary Clinton che ha sempre sottovalutato l’acume politico di Reagan, ritenendo che il successo ottenuto per il prevalere della personalità sulla politica fosse in qualche modo, illegittimo . Al centro di queste Primarie però, non ci sono solo i candidati ma una profonda divisione nel Partito Democratico : la prima è una triangolazione :  spostarsi a destra per ottenere più voti,è stato uno dei motivi di successo di Bill Clinton e anche Hillary pensa di fare altrettanto quando parla di Bipartisansheep.Per Obama invece questo termine significa  riconoscere che i principi morali progressisti sono gli stessi di tutti gli americani,in questo modo non è costretto ad annacquare i suoi principi per apparire bipartisan. Poi c’è il gradualismo cioè la determinazione di Hillary a far passare una alla volta  una serie di decisioni ben strutturate e concrete mentre Obama crede nelle scelte coraggiose e nella costruzione di un movimento del quale farsi interprete. Entrambi i metodi, hanno guadagnato un maggior numero di elettori alla causa democratica, basti pensare al supermartedì e alla quantità di indipendenti che ha votato per i democratici sottraendo,dati alla mano, voti ai repubblicani ed è un bene che nelle prossime settimane altri elettori abbiano la possibilità di essere raggiunti dai messaggi e dalle sollecitazioni di Hillary e di Obama.Intanto le primarie e i caucuses di stanotte in Kansas, Louisiana, Nebraska e Isole Vergini se li è aggiudicati Obama raggiungendo i 1039 delegati contro i 1100 di Hillary e con buona probabilità accadrà altrettanto negli stati  in cui si voterà dal 10 al 19 febbraio , Maine, Maryland ,Columbia Virginia, Wisconsin e Haway che però attribuiscono pochi delegati. Una nuova  resa dei conti è prevista il 4 marzo con Texas, Ohio, Vermont e Rodhe Island ma in quel caso il raffronto inevitabile sarà con i repubblicani.In realtà tutto lascia intendere che sarà la Convention con i Superdelegati a decidere chi correrà la partita finale.

Che bella cosa ( a nation vote )

Che bella cosa ( a nation vote )


Il lungo programma elettorale della CNN segue  primarie e  caucuses del supermartedì riuscendo nell’impresa  di interessare anche quando sfiora gli argomenti classicamente ostici delle complicate ingegnerie elettorali (non tutti gli stati seguono le stesse regole) Per fare questo si avvale di tecnologie spettacolose (ma funzionali) e di una discreta compagine di commentatori, analisti, giornalisti ed esperti in sondaggi. Dopo un paio d’ore di carte geografiche e numeri ti accorgi che il programma tiene il ritmo e fila liscio per il semplice motivo che in studio mancano i politici, non tanto quelli interessati che presidiano i rispettivi headquarters circondati da famiglie ( McCain oltre che moglie patinata esibisce la mamma novantaseienne che pare sua sorella) e sostenitori, quanto quelli che invece da noi sgomitano per occupare i palinsesti, dalle ricette al liscio passando per lo sport e che in analoga circostanza sono soliti presenziare l’affluenza dei dati continuando a berciare o ad attribuirsi vittorie. Anche in caso di evidenti disfatte. Come dire le solite facce ma quel che è peggio – qualunque cosa accada – sempre gli stessi argomenti. L’informazione politica senza i politici. Che bella cosa.


Obama non viene contattato da studio per la dichiarazione di rito e nemmeno affida il compito ad un portavoce, così pure Hillary e McCain, di tutti viene mostrato il discorso di ringraziamento.Poi si torna all’analisi del voto. Manco a dire che i politici in America non si servano dei media. O forse proprio per questo, perchè ne considerano seriamente le potenzialità e i rischi. Pochi paralleli possono essere tracciati tra quel paese e il nostro, per ovvi motivi.Certo però che se la politica da noi rinunciasse ad un uso dissennato delle presenze televisive, ci guadagneremmo tutti.

 

Al momento non è possibile conoscere i dati definitivi, si sa che Hillary si è aggiudicata il maggior numero di delegati e che Obama può invece contare su una quantità maggiore si stati, che McCain sbanca il supermartedì ma che Huckabee, il candidato repubblicano che corre senza particolare appoggio del Partito e con mezzi infinitamente più contenuti rispetto a quello dei suoi avversari in entrambi i campi , colpisce il segno negli stati più autenticamente repubblicani.Infine che, repubblicani o democratici, il meccanismo delle primarie sta evidenziando un dato incontrovertibile : per quanto potenti possano essere le Unions o i Partiti, gli elettori stanno scegliendo il loro candidato secondo criteri che con le indicazioni degli apparati hanno poco a che vedere.


E mano mano che aumenta il successo degli outsider – anche Obama in qualche modo lo è – la partecipazione e l’entusiasmo crescono mostrando che la domanda di cambiamento non viene solo dagli stati tradizionalmente attenti alla politica  ma dal cuore del paese , dagli stati del sud che premiano Huckabee , dal Conneticut dal Minnesota e dallo Utah in cui vince Obama. Senza parlare del risultato del Massachussetts appannaggio tradizionale della famiglia  Kennedy in cui vince Hillary nonostante l’endorsment del governatore dello stato, di Kerry e dello stesso clan kennediano.Così come sembrerebbero messi i risultati ,nessun candidato democratico ha la certezza di essere il predestinato per lo scontro finale.In questo momento sarebbe folle pensare ad un ticket, il prosieguo della corsa con candidati contrapposti, garantisce ampia partecipazione e poi nessuno, ne’ Hillary ne’ Obama,  ha intenzione (giustamente) di fare il vice. Buon segno.


State of the Union (in casa repubblicana)

State of the Union (in casa repubblicana)

Mc CainGeorge W. Bush pronunzia il suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione in coincidenza con le primarie repubblicane in Florida. – Pazienza in economia e costanza in guerra! – ha raccomandato al futuro presidente. Come dire : beccatevi la recessione che avanza e continuate a inviare truppe in Iraq . L’intero discorso ha funzionato da assist per Mac Cain che, ad urne aperte (ma in America si può), ne ha riannodato i fili con i temi classici della propria campagna soprattutto nei numerosi passaggi dedicati alla speranza (che altro sennò?) Poi, incassato il risultato del 36%,  ha annunciato l’intenzione di ispirare il proprio mandato presidenziale alla rivoluzione di Ronald Reagan, il che è indubbiamente musica per le orecchie dell’anziano e repubblicanissimo elettorato locale. Dunque McCain vince le primarie in Florida onorando i sondaggi, un po’ meno le aspettative del Partito,  più propenso a sostenere Romney. Questo potrebbe essere il momento per Rudolph Giuliani che molto aveva puntato su queste primarie della e su quelle della California, di tirare i remi in barca per entrare in squadra con Romney (e quindi presumibilmente in eventuale staff presidenziale) ma sono illazioni che qua e là spuntano sui giornali. Giuliani, che porta a casa un risultato assai deludente, ha già dichiarato ai propri sostenitori  che continuerà a battersi fino alla fine : The responsibility of leadership doesn’t end with a single campaign. If you believe in a cause, it goes on and you continue to fight for it, and we will. I’m proud that we chose to stay positive and to run a campaign of ideas. Rudolph finoinfondo come direbbero negli States.Ma è ancora tutto da vedere.

Tabelle del New York Times  (le primarie erano solo repubblicane ma i democratici hanno votato lo stesso pur non potendo eleggere in Florida alcun delegato.Vince Hillary Clinton) Foto di John McCain trionfante con immancabile famiglia.