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Mese: Luglio 2008

Un caso di regressione istituzionale

Un caso di regressione istituzionale

Beppino

Vincenzo Carbone,  primo presidente della Corte di Cassazione, sceso in campo di recente per il caso Englaro è stato netto  : La Corte si è espressa nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale , affermando un principio di Diritto,  sulla base  della interpretazione costituzionalmente orientata della legislazione vigente. Mentre la Corte d’ Appello di Milano, nella sua autonomia e valutando in concreto le prove raccolte, ha deliberato che potessero essere sospese alla Englaro, l’idratazione e l’alimentazione forzata. Insomma, sostiene giustamente Carbone, in entrambi i casi, i giudici hanno svolto scrupolosamente il proprio lavoro. Non sono stati dello stesso avviso  i 40 senatori ( Quagliarello, Cossiga e altri)  firmatari di una mozione  che chiede al  Senato di sollevare un conflitto tra Poteri dello Stato nei confronti della Corte di Cassazione. La mozione assume  che il giudice  abbia violato il Principio della Separazioni dei Poteri e abbia leso le attribuzioni del Parlamento Legislatore, adottando una pronuncia creativa, nel vuoto normativo conseguente alla mancanza di una legge applicabile. La questione discussa dieci giorni fa in Commissione Affari Costituzionali, è stata posta ai voti quest’oggi in Aula, ottenendo l’approvazione. Se, come prevedibile, il Senato confermerà il voto della Camera, sarà compito della Corte Costituzionale appurare l’esistenza o meno di un Conflitto tra poteri dello Stato. Siamo ad una iniziativa senza precedenti all’interno della quale, per sovrapprezzo,  è annidata una tale forma di cieca e subdola violenza da non giustificare nemmeno il più innocuo atteggiamento interlocutorio. Eppure quella sentenza, lungi dal aver creato Diritto, ruota intorno a Principi e Norme presenti nel nostro Ordinamento ed esplicitamente  vi si riferisce  : gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d’ Europa, la Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea, la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978, gli articoli del Codice di deontologia medica con richiami a sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione. Dove sarebbe il vuoto normativo? Dove l’indebita supplenza? . I giudici si sono mossi con coerenza su di un percorso quasi obbligato, se  si fossero rifiutati di decidere, vi sarebbe stato un caso clamoroso di “denegata giustizia”. Essi non hanno “condannato a morte” Eluana. Hanno adempiuto al loro difficile dovere, applicando principi e norme generali ad un caso concreto, così come, prima di loro, avevano fatto giudici di corti nazionali e internazionali, dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Germania (tutte decisioni scrupolosamente ricordate dalla Cassazione). Beppino Englaro non meritava  quest’aggressione ne’ che il suo dolorosissimo caso fosse materia per un ennesimo conflitto tra Politica e Giustizia. Egli chiede solo che di  Eluana siano rispettati i voleri e la dignità ma ogni volta che nella sua pluriennale battaglia per i Diritti, riesce a conquistare una parvenza di risultato, infiniti ostacoli vengono posti sul suo percorso. La novità  dei giudici costituzionali, non avrebbe influenza diretta sulle scelte di Beppino che comunque sta già combattendo altre guerre per rimuovere altri impedimenti ma certo ci piacerebbe che su questa investitura popolare che ultimamente sembra autorizzare tutto, finanche il  conferimento all’Assemblea Parlamentare della  natura di giudice di estrema istanza, la Corte si esprimesse con nettezza onde evitare che un caso di corretta amministrazione della Giustizia venga ricordato come un caso di regressione culturale e istituzionale. 

 

C’era una volta il piano Air France

C’era una volta il piano Air France

 

Dopo essersi assicurati il tempo necessario ad effettuare la due diligence, costato al contribuente la sciocchezza di trecento milioni, l’altra parola magica per la fantasmagorica cordata è Piano Industriale, lo vorrebbe conoscere per esempio, Colaninno padre, incerto sulla profittabilità dell’operazione e sul proprio futuro ruolo imprenditoriale,  ma anche Gilberto Benetton che a Berlusconi e Tremonti le ha cantate chiare dicendo, in poche parole : noi c’impegnamo ma…mica siamo l’IRI. Come dire : qui non si fa beneficenza, senza considerare il fatto che un partner internazionale assicurerebbe più facilmente il successo all’impresa. Se lo dice lui…Insomma la cordata c’è  ma sono tutti lì  a condizionare la propria partecipazione ad un progetto più chiaro e delineato.
Ovviamente si parla di Alitalia e, atteso che ogni notizia sulla compagnia è  reperibile ovunque –  il sito, i giornali, le prime pagine dei quali questa vicenda ha occupato per mesi – appare chiaro che le tattiche dilatorie sono sempre in grande spolvero. Tutto questo con il  tempo che non ha smesso di essere denaro, poi,  visto l’incremento del prezzo dei carburanti, il cielo sa se la perdita quotidiana, attestata intorno al milione, sia contenuta ancora in tale cifra . Altre notizie trapelano, la più inquietante riguarda la crescita esponenziale degli esuberi :  dai duemila stimati da Air France si è passati a quattromila poi ai cinquemila attuali ( ma qualcuno giura che siano settemila)  che però adesso comprendono anche quelli  Air One che venderebbe alla Nuova Alitalia alcune delle sue attività ( flotta aerea, autorizzazioni e contratti di acquisto dei nuovi aerei …). Ha un bel dire Corrado Passera che non sono previste fusioni visto che in quel caso  la nuova società acquisirebbe i debiti  – intorno al miliardo di euro – di Air One, ma se il personale viene gestito come fosse un esubero Alitalia e le attività liquidate con azioni della nuova società, sbaglio o abbiamo inventato un nuovo tipo di slalom gigante in cui  oltre al fatto che non si è capito chi paga i debiti della vecchia Alitalia, la remissione per i  lavoratori di entrambe le compagnie è certa? Poi dicono che manca il Piano Industriale. …Da quel che si capisce l’intrepida cordata, vuol rilevare  Alitalia ripulita dei debiti e degli esuberi, scaricando sulla collettività diversi costi.
C’era una volta il piano Air France  che prevedeva un investimento immediato di due miliardi di euro. Che sarebbero serviti  :  150 milioni di esborso per gli azionisti di Alitalia, più 600 milioni di rimborso delle obbligazioni emesse da quella società, più l’ assunzione dei debiti che figuravano nel bilancio della Compagnia di bandiera. Air France si era impegnata inoltre  a ricapitalizzare l’ azienda con un miliardo di euro . (e siamo a tre ).  Inoltre l’impegno sarebbe stato  di portare la società a profitto  entro cinque anni col taglio degli esuberi ( stimati in 2000 unità) , il rinnovamento della flotta, l’ abbandono di Malpensa e un investimento complessivo di 6,5 miliardi entro il 2013 nel quadro di un grande gruppo che comprende Air France, Klm, ed  eventualmente  la stessa Alitalia. L’ impegno totale dell’ acquisto e del rilancio contemplava dunque 10 miliardi di investimenti.
Qui invece è grasso che cola se la cordata arriverà a stanziare un miliardo di cui  trecento milioni del prestito ponte sono già da restituire al Tesoro.Il tutto per mettere in pista una Compagnia Bonsai che coprirà  per lo più le tratte nazionali e qualcosa in Europa. Si ritorna all’assetto degli anni 60. Con  qualche condizione al contorno decisamente mutata. Ma poco poco. C’era una volta il piano Air France, abortito che era già grandicello, sacrificato all’orgoglio nazionale che come tutti i sentimenti roboanti, costa molto, rende poco e non si sa mai cosa nasconda davvero.

Arrivano i nostri

Arrivano i nostri


Se non più tardi di un anno fa, autentiche scene di  disperazione seguivano gli exploits denigratori di Quentin Tarantino, quest’anno non c’è angolino o sezione del Festival di Venezia che non ospiti uno o più film italiani. Venti in tutto, tra documentari, lungometraggi, résumé ed inediti. Cannes, con il doppio  riconoscimento e l’incombente Festa di Roma, hanno probabilmente suggerito a Müller, un cambio di indirizzo e l’offerta di un maggiore spazio alla cinematografia nazionale. Ma anche se le schede dei film evidenziano  tematiche differenti rispetto a quelle che hanno valso i premi francesi a Garrone e Sorrentino, la scelta  è caduta egualmente su una gamma di opere che rappresentano il cinema italiano nella sua ampiezza e con i suoi diversi modi di raccontare la realtà. Il punto non è difendere i nostri film a prescindere, laddove si capirebbero i nasi arricciati della Critica Criticante al cospetto di questo inedito e ancorchè massiccio schieramento di rappresentanti l’orgoglio nazionale, ma semmai adoperarsi affinchè i migliori, siano mostrati a quanto più pubblico possibile. Non ci sono altri modi per far sì che si continuino a produrre film. Ad ogni buon conto, non mancherà occasione di scrivere di questi nostri possibili capolavori, non appena saranno presentati al Lido :
I
l primo ad entrare nella fossa dei ( si spera ) Leoni, sarà Ferzan Ozpetek con il suo ultimo lavoro  Un Giorno Perfetto . In ottima collocazione – sabato 30 agosto alle 19,30 in punto –  inaugurerà la parata  dei film italiani in concorso . Seguiranno Pupi Avati con Il Papà di Giovanna , Marco Bechis con Birdwatchers  e – finalmente! –  la gran rentrée di Pappi Corsicato con il Seme della discordia.
Ricca  e interessante, quest’anno la sezione Eventi : un’intera giornata sarà dedicata alle morti sul lavoro con la proiezione di due documentari Tyssen Krupp blues di Monica Repetto e Pietro Ballo e La fabbrica tedesca di Mimmo Calopresti. Un’altra ancora all’invasione del Lido da parte del Movimento Studentesco nel settembre 1968 : Venezia 68 di Antonello Sarno ed ancora :  Antonioni su Antonioni di Carlo Di Carlo. Mentre una sicura promessa, Mirko Locatelli  rappresenterà l’Italia con Il Primo giorno d’ inverno alla sezione Orizzonti. Fuori Concorso sarà presentata La Rabbia di Pierpaolo Pasolini di cui si è già detto qui,  tempo fa, in versione inedita. Ed ancora : il film Puccini e la fanciulla del bravissimo Paolo Benvenuti, Nel blu dipinto di blu ( Volare ) di Paolo Tellini (1959) e infine un documentario di Mario Monicelli Vicino al Colosseo c’è …Monti. Premio alla carriera – ed era ora – al maestro Ermanno Olmi e un’intera rassegna Questi Fantasmi sul  cinema dimenticato tra gli anni 50 e 70.
A questo punto… i Nostri stanno per sbarcare al Lido, Alemanno & Rondi dovranno andare a ravanare tra i filmini di famiglia ( meglio quelli di Rondi) per celebrare, come si conviene, il cinema italiano alla Festa di Roma,  il tag Venezia 2008 è stato inaugurato. Non resta che preparare i bagagli.Tra un po’.

 

A mezzo posta

A mezzo posta

La diceria che in Poste l’assunzione non fosse più soggetta a concorso ma a sentenza del giudice del lavoro circolava dai tempi successivi alla privatizzazione, da quando cioè  il taglio di 22.000 addetti aveva reso indispensabile il ricorso alla flessibilità dei nuovi contratti.  Tutta colpa, dunque, di un imponente, malaccorto  ( e sovradimensionato)  Piano di Assunzioni a tempo determinato, mai sottoposto ad autorizzazione degli Uffici competenti, quindi invalido, proprio come i contratti di lavoro che originava e che risultando, privi della condizione essenziale per l’apposizione del termine, erano nulli. Scoperta che fu la falla, ben presto si capì che sarebbe stato sufficiente aver lavorato venti giorni, per essere in condizione di fare un ricorso, rivendicando, con buona probabilità di successo,  risarcimento e reintegro. Inutile dire che le Preture furono, in breve tempo, invase da richieste, minimo di un ristoro in denaro. Questa faccenda che va avanti in realtà da una decina d’anni, non riguarda solo i 27.000 , sopraggiunti agli onori delle cronache per il famoso emendamento antiprecari, poichè a quelli  andrebbero  sommati  i 17.454 che hanno vinto la causa e sono già stati reintegrati. Appare chiaro che se l’enorme contenzioso si avviasse ad esito positivo per i ricorrenti, si produrrebbero per Poste Italiane le condizioni ( esuberi più esborsi) di un sicuro fallimento. Taccio sulla misura proposta dal Governo che risolve una questione e ne apre altre mille e su questo modo di infilare di soppiatto tra le pieghe della Finanziaria, qualsivoglia emendamento con la speranza di farla franca. Mi domando invece cosa ne sarà del mercato del lavoro, se a fronte di una gestione impropria della flessibilità, la via più breve per essere assunti o per recuperare un po’ di soldi, è fare causa e questo con buona pace degli sbandieratori del merito, dello studio, dell’impegno e della qualità del servizio che certo con queste migliaia di avvicendamenti, non ci guadagna. A noi contribuenti resta, al solito,  da pagare il prezzo dell’ennesima gestione dissennata e, con ogni probabilità, clientelare.

Gl’Indios però, no…

Gl’Indios però, no…

Mi sento un po’ presa per i fondelli quando leggo che Vladimir Luxuria parteciperà all’Isola dei Famosi per portare all’attenzione dei telespettatori le problematiche che  affliggono gl’Indios  in Honduras. A me non sarebbe sembrato così  stravagante, concluso il mandato parlamentare, che Luxuria, professione soubrette – seppur sui generis –  fosse tornata alle  sue tradizionali occupazioni magari   sostenuta dall’impatto della  sua centuplicata notorietà. Non vedo, dunque,  per quale motivo si senta la necessità di nobilitare una scelta attinente alla carriera, strumentalizzando condizioni umane la tragicità delle quali, mal si addice allo Spettacolo e alla disinvoltura delle sue regole, alla conduttrice strillazzante e con pretese, al clima complessivo dei realities che tutto maciullano in nome dell’audience. Credo che questa trovata della missione sociale nasconda una bella dose di moralismo. Non si ha il coraggio di dire che il cachet, unica ragione possibile di una  scelta tanto deprimente, è tale da sostentare interi villaggi di honduregni per tutta la vita? Si rinunzi, starebbe a significare che un minimo di buon gusto ancora è rimasto. Coloro  che di Luxuria hanno apprezzato la battaglia, si sarebbero fatti bastare quello. Diversamente  si vada al lavoro in Honduras, non si può dire a testa alta, vista la scarsa qualità dell’impegno richiesto, ma con un briciolo in più di schiettezza, lasciando ad altri le ipocrisie. La politica spettacolo non può disturbare solo quando è di berlusconiana provenienza.