Monday morning quarterbacking
Mentre Calderoli rimpiange i Vivai – intesi come scuole calcio – e il bel gioco nostrano che fu o che avrebbe potuto essere, attribuendo parte dell’ insuccesso in Sudafrica ai campionati interni con troppi calciatori d’importazione – ma tutte le scuse sono buone per buttare lì un po’ di nazionalismo a presa rapida – in Francia l’esclusione dell’Equipe, oltre che una questione di Stato, è diventata l’occasione per rispolverare il meglio del repertorio Sarkozy prima dell’ Eliseo e della cura Bruni.
Non siamo ancora al famoso kärcher, terribile metafora del repulisti nelle periferie in fiamme, ma poco ci manca.
Così Les bleus, a detta di qualche deputato dell’UMP, sono tornati ad essere racailles – feccia – bande de voyous – delinquenti – et de petits merdeux, oltre che caïds – capetti mafiosi – immatures qui commandent à des gamins apeurés e manco a dirlo, pas “dignes” de porter le maillot national.
Dichiarazioni queste ultime, rese mica a caldo, davanti ai soliti microfoni spianati ma nientedimeno che all’Assemblée National da esponenti del governo, come quella Madame Bachelot, ministro dello sport e della salute, la retorica della quale – Non siete più eroi ! – giorni fa, aveva di molto infervorato la stampa di casa nostra. Vedi tu che piglio e che coraggio nell’affermare che l’ Equipe con i suoi ammutinamenti e le sue querelles, aveva infangato l’immagine della Francia nel mondo.
E in effetti di coraggio ce ne sarà voluto parecchio, non fosse altro per l’ ondata di veri scioperi che percorre la Francia e per l’eloquio governativamente irrituale – nessuna delle definizioni riferite ai calciatori appartiene ad un francese, non dico colto, ma quantomeno civile –
Sono passati i tempi in cui l’effige di Zizou – onnipresente a Clichy, come nel resto delle banlieu – rappresentava il monito manco troppo subliminale ai giovani beurs – ce la puoi fare anche tu ! – Oggi Les bleus, squadra per lo più composta da francesi di origine magrebina, funziona, al contrario, come dicono da quelle parti, da boucs émissaires, capro espiatorio.
Ergo, come spesso accade in queste circostanze, contro le affermazioni infamanti, si sono scatenati i vari professori di sociologia, tutti concordi con la metafora Prêt-à–porter del calcio, specchio della società e comodo recipiente di malesseri.
E fin qui niente di nuovo. A parte il fatto che la Politica all’epoca della crisi – di se stessa – è sempre più invadente e sempre più disponibile ad appropriarsi di questioni irrilevanti. Non solo qui da noi.
Nello schema generale delle faccende di un paese, il calcio, con tutto il rispetto per il gioco più bello del mondo, lo è. Quantunque moleste, meglio le infinite diatribe sulle scelte del ct, sui moduli, sui Grandi Assenti, sui Presenti troppo anziani, troppo appagati, troppo juventini, troppo ricchi o troppo terroni che dir si voglia.
Resta il fatto che proprio mentre studiavamo da nazionalisti francesi, siamo dovuti tornati a casa. Meritatamente. Il bel gioco non si è visto e forse manco il gioco, a parte qualche guizzo nel pantano della noia mortale. Il bello adesso è che, liberati da ogni sciovinismo, si può tifare per chi, secondo i gusti di ciascuno, gioca meglio. Non una magra consolazione se il panorama è quello di scelte – calcistiche, ma anche non – obbligate.
L’illustrazione è della Reuters le fonti Libération et L’Equipe.fr