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Che barba che noia che rabbia ( quei bravi ragazzi)

Che barba che noia che rabbia ( quei bravi ragazzi)

L’ultima borchia al ritratto di famiglia prima dello scioglimento del partito – che avverrà sabato prossimo –  la scolpisce Bruno Vespa schierando in studio cinque esponenti AN di differenti generazioni e tre giornalisti  – Pansa, Feltri e  Sansonetti – a garantire pluralismo e a commentare il tutto.

Certo, per costruire un’immagine dignitosa al Movimento Sociale – antesignano di Alleanza Nazionale –  che fu fondato nel 1946 da un gruppo di ex repubblichini, non è sufficiente un semplice sforzo di fantasia ma per quanto riguarda il conduttore – che ce vò? – la semplice allusione alle ignominie compiute dai partigiani – sennò Pansa che ce sta a ffà? – e alle relative persecuzioni – mica provvedimenti dei tribunali   all’indomani della liberazione e oltre,  basta e avanza per riequilibrare il quadro fornendo ampia motivazione . Insomma tra fucilatori e fucilati, sostenitori delle leggi razziali e no, è tutta una gran marmellata dei tempi lontani. Riconciliamoci.

Le persecuzioni e il famoso arco parlamentare restano al centro dei primi cinquanta minuti di trasmissione perchè – concorda anche Pansa – i missini furono di fatto emarginati dalla vita politica italiana, con grave danno per la Democrazia e per noi tutti.

Flebili  allusioni agli appoggi esterni di certi governi – vedi Tambroni – tra i più illuminati di cui questo paese ha potuto disporre, non scalfiscono la granitica  tesi della conventio ad escludendum .

Non parliamo poi delle  ripetute violazioni alla legge Scelba o i reati di attentato alla Costituzione o Istigazione all’insurrezione armata, in carico a Giorgio Almirante e che tennero impegnati Giunta delle autorizzazioni a procedere e Parlamento fino a tutto il 1974 . Ovvero il fatto che l’ MSI ispirasse i propri modelli a quelli dei regimi  reazionari di   Salazar, Papadopoulos e Franco e che da ultimo, inneggiasse ad Augusto Pinochet senza nessun  pudore.

Infatti non se ne parla. Ci prova Sansonetti ma con poco esito.

Più che una lustratina all’immagine con abbondante dose di omissis sembra direttamente un’ opera di Falsificazione. Del resto, esaurito l’alibi  dei crudeli partigiani, forse che non s’erano materializzate nel frattempo le Brigate Rosse? E dunque. Tutto torna. Le radici sono salve.

Peccato che la nascita delle  BR risalga al 1970 e che già dall’ aprile 1968, Giorgio Almirante, padre nobile del partito,  avesse personalmente guidato una squadraccia da 200 mazzieri reclutati nelle palestre di Caradonna, per ripulire la Sapienza occupata dai rossi. Che poi erano i ragazzini delle scuole medie superiori convenuti per uno sciopero. Proprio il  16 di marzo,  stessa data della trasmissione.Tante volte il destino… Ma su questo, buio totale.

Peccato che i perseguitati della generazione di mezzo, bravi ragazzi, tutti covo del Colle Oppio a Roma e casa di Julius Evola a Corso Vittorio, a far ballare i tavolini a tre gambe oppure a farsela con gli stragisti, i massoni, le spie e i cultori dell’alchimia e della cabala, avessero per la testa ben altro che le Brigate Rosse alle quali sopravvissero oltre il 1989, data dell’ultima prodezza conosciuta del primo cittadino.

Ma nemmeno di tutto questo si fa cenno e in men che si dica, archiviata la Roma clericofascista dei bracieri accesi e delle mimetiche per commemorare i nostri morti – se l’iconografia non è decadente che gusto c’è  ci si ritrova in men che si dica proiettati a Fiuggi e a Gerusalemme. Fini monda il partito dai peccati suoi, le persecuzioni sono finite e si comincia a risalire la china. Come se avessero mai smesso.

Ovvio che lo sdoganamento definitivo avviene ad opera di Silvio Berlusconi che inaugurando un supermercato della Bassa, dichiara che se fosse stato romano, tra Fini e Rutelli, avrebbe votato Fini. E’ il segnale.

Tutta qui la favola bella della Destra Buona le cui bravate altro non sono se non il riflesso delle malefatte della Sinistra Cattiva. E se tutto è dimenticato già da oggi, chissà cosa sarà di un passato non certo limpido quando, a fusione avvenuta diventeranno un sol partito con quelli del PDL.

Con un solo leader – loro non hanno problemi di contrasti tra Fini e Berlusconi – Una sola anima – loro non sono come il PD – Una sola identità – infatti tra destra sociale e  liberali, in fondo che differenza c’è ? – Un solo Pantheon – hanno anche quello – dal quale non sono esclusi Gobetti e Flaiano, Fellini e Leone. Tanto sono tutti morti, più che rivoltarsi nella tomba, non possono.

Meno male che l’ora è oramai tarda e la disinformazione può raggiungere solo i fascisti senza speranza e gl’insonni, dato che chiunque provvisto di buona memoria è rimasto senza parole, mentre spera in una presidenza RAI decisionista o in un qualche accidente che tolga a Vespa almeno la metà dello spazio che malamente occupa.

Nell’illustrazione Almirante alla Sapienza, sulle scale del Rettorato,  si compiace della spedizione punitiva

Che barba, che noia

Che barba, che noia

Tra il Cioni di pattuglia –  che abbiamo preso il graffitaro –  e il Renzi additato futuro leader nazionale – che vuol cambiare la costituzione e il welfare – ci sarà pure dell’Altro in questo partito (che non c’è) e nella città di Firenze, messi in scena da Annozero giovedì scorso.

Certo abbiamo potuto vedere  la Casa del Popolo semideserta quando si parla di politica e affollata nei pomeriggi dedicati al liscio – dopo Giuseppe Bertolucci il fatto sembrava non essere più un segreto  ma tant’è, la visione della tombola, ci è stata riproposta come inequivocabile  segno dei tempi –

E ci hanno pure  mostrato gli abitanti di un quartiere malmesso e degradato, fortemente determinati all’ astensione punitiva di gruppi dirigenti e/o governanti pervicaci e sordi. Ma fondamentalmente c’è lui, il vincitore delle primarie, il nuovo, il giovane, l’Obama italiano, tutto maglioncini pastellini occhiali e ciuffo, in perfetta rispondenza col curriculum demo-margheritino classico, dal passaggio negli scout a quello in  Comunione e Liberazione  dove – non viene detto ma tanto sarà così – ha imparato il mestiere, che miglior Scuola d’Impresa di quella, crediate, non fu mai vista.

C’è da dire però che a forza di correre dietro a questa benedetta comunicazione politica può capitare che ci si dimentichi facilmente proprio del contendere, cioè della Politica. E infatti ad Annozero più che parlare di malfunzionamenti non si fa. Le ricette non sono mai interessanti. Meglio il Cioni a caccia di writers e il Renzi a rincorrere i macellai e gli chef illustri per piazzette e  mercati rionali.

Ma al di là delle definizioni sempre pronte – e sempre quelle – a lasciare di stucco, volendo passare dalla narrazione ai fatti, invece sono proprio i 100 punti per Firenze. Quelli su cui Renzi ha costruito la sua vittoria alle primarie, unitamente al resto del corredo : lo staff, il portavoce i ciclisti con la pettorina, i suoi volontari insomma e quel gran correre  in lungo e in largo per la città a promuovere se stesso. Dimenticavo Internet. Siti in stile .Obamiano beninteso.

Cosa aggiungere allora su quei cento punti programmatici, sedicenti innovativi, titolati ad effetto  – Segui la multa, Ripartire dalla Zeta, Paline parlanti e così via – ? Di sicuro che a questi giovani – o vecchi – aspiranti amministratori non farebbe male viaggiare un po’ di più, una qualsiasi capitale europea da chiunque governata – ma va bene anche Istambul mica c’è bisogno per forza della Ville Lumière – per capire intorno a quali Idee  cresce e si evolve una città, come viene recuperato il vecchio ed allocato il nuovo, come si riqualifica un’area e chi, al di là degli esecutori materiali  a smuovere la benedetta economia, dovrebbero essere i fruitori. A vantaggio di chi, si rivoltano le città come calzini. In funzione di quali politiche.

Invece niente : semplifichiamo, razionalizziamo tagliamo, ricuciamo compagini amministrative, cacciamo i politici e mettiamo i tecnici, istituiamo – parola magica – le Holding. Ma per fare cosa? Non certo per istituire serie commissioni di verifica dei contratti e degli appalti o modalità di affidamento che ne aumentino la trasparenza. L’innovazione alle volte più che nell’informatizzazione si nasconde tra le pieghe insospettabili di buone procedure.

Nè c’è ombra di politiche sociali, se si eccettuano scarni e  generici riferimenti buoni ad Abbiategrasso come a  Grottaferrata. Non ci sono  centri antiviolenza, consultori, programmi di integrazione scolastica, tavoli interreligiosi, politiche per l’infanzia. Di colpo sono spariti da Firenze i poveri, gl’immigrati, le donne e i bambini. In compenso ci sono molti navigatori satellitari e quel tanto di tecnologia che fa nuovo in avanzata. E a parte aprire i bar di notte e fare il Cinema d’Estate, il deserto.

Non so se Matteo Renzi abbia la stoffa del leader nazionale, fin qui s’è visto solo uno stile disinvolto ed autocompiaciuto, da narcisetto in diretta. E siccome molto mi fido del giudizio di quelli della tombola, l’allusione alla smania di protagonismo e ad una marcata attenzione a fattori marginali, per quanto scontata, un po’ m’impensierisce.

Ma non perchè l’accostamento – inappropriato – con Enrico Berlinguer, proposto dalla scaletta, rimanda a fasi in cui il nuovo si ricercava , senza che fosse identificato necessariamente attraverso l’adozione di criteri generazionali, ma per il grosso potere che oramai ha assunto la forma rispetto ai contenuti : Matteo Renzi con i suoi cento punti, non dimentichiamolo, ha vinto le primarie e ad un certo punto bisognerà sin sperare che sia lui a vincere le elezioni e a governare Firenze.

Non ci fosse stato Staino a segnalare il punto di debolezza di una candidatura esclusivamente da dare in pasto alla comunicazione, pur nell’ingenerosità della definizione – pollo da batteria – si sarebbe potuto pensare, al solito,  di tenersi il vecchio, se questo è il nuovo. E invece bisognerà continuare a cercare. Ma per carità : possibilmente lontano da Renzi.

Nell’illustrazione il Nettuno di Piazza della Signoria

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

A Franco Califano maestro di vita e di poesia autore di versi alati del tipo la macchina a lavare ed era ora/ decidi di far colpo quella sera, sul tedio e l’inevitabile  consunzione delle relazioni amorose, oppure Pasquale l’infermiere, m’hai capito/ quello che j’amancava mezzo dito, sul dubbio di paternità al cospetto della compagna friccicarella, la Giunta Capitolina ha affidato la celebrazione ufficiale dell’8 marzo. Concerto Recital al Parco della Caffarella.

Il sindaco deve aver pensato bene di ricorrere ad un artista organico che oltretutto di donne se ne intende, visto che  ieri l’altro a Roma 3, Facoltà di Giurisprudenza,  mentre era ospite di Azione Universitaria, lo stesso Califano – detto Er Califfo  qualora non fossero chiare le inclinazioni –  ha sgranato il consueto rosario:  
Quante donne? Da 1600 a 1700.
Le femministe mi danno del maschilista? Cazzi loro.
Le donne abbondanti sono meglio di quelle risicate .E un filo di cellulite fa libidine.

Contenti loro. Resta il dubbio del possibile ambito culturale o accademico in cui si è svolta una simile conferenza, ma stai a guardà il capello, come è stato pure spiegato, nel corso dell’iniziativa: basta col nozionismo, l’Università come Palestra di Vita, evviva la Poesia.( tutto maiuscolo)

Evviva. Anche se l’aula di Diritto Penale sembra la meno adatta a tenere a battesimo la Nuova Didattica. Non nozionistica bensì Poetica. Mancavano solo  le pallette colorate dell’incursione futurista e il repertorio si sarebbe potuto dire completo.

Sull’8 marzo i dubbi si moltiplicherebbero pure, ma arriva sempre il momento in cui si rimane senza parole. Oppure come dice Michele Serra oggi su Repubblica, meno male che c’è Alemanno che ci tiene allegri con le sue trovate.

Per questo chi non vuole che la festa sia mortificata con la solita paccottiglia xenofobico – securitaria, c’è il corteo del 7 marzo ore 15 dal Colosseo a Campo de’ Fiori, promosso dall’assemblea cittadina delle donne di venerdì 20 Febbraio 2009 cioè da AFFI e Casa Internazionale delle Donne  

A ognuno i propri percorsi. A cominciare dalla toponomastica.

Se ci faceva impressione istituzionalizzare la giornata col Centro Sinistra, figuriamoci con la Destra. Se non li conoscete…etc etc. E noi di Roma li conosciamo molto bene.

La foto l’ha scattata Pennarossa e loro sono le donne della Casa Internazionale di Roma

Nel titolo un verso – tra i più raffinati – della canzone del maestro di vita e poesia titolata – bontà sua – " me nnamoro de te"

Alla fine ha vinto Maria

Alla fine ha vinto Maria

Il fatto è che il Festival è come Pasqua e Natale, puoi pure fare l’albero postmoderno o mettere l’uovo in braccio alla sorpresa ma quando arrivano i parenti  a colazione, ti rendi conto che è inutile : la festa comandata è inemendabile, manco la stricnina nella minestra o la sventagliata di kalashnikov al posto del dessert, potrebbero qualcosa Non a caso anche lì funziona la tautologia…Natale è Natale esattamente come  Sanremo è Sanremo

Le modalità festivaliere in genere si alternano : un anno ‘o famo strano e quello dopo chiamiamo Pippo Baudo. Una tantum, cioè quando proprio  gli ascolti rischiano il crollo per sopraggiunta saturazione e serve un salvataggio, viene convocato con rullo di tamburi e sei puntate propedeutiche da Vespa, il terzista per eccellenza: Paolo Bonolis. Quello capace di mettere insieme l’avanguardia, il pop, il canto gregoriano  e la romanza, accontentando così più o meno tutti. 

E infatti quest’anno  facevi prima a dire chi mancava e soprattutto cosa,  tra il sesso direttivo – ancorché senza amore –  nella terza  (o forse quarta?) età, il melting pot, i rifiuti di Napoli,  l’intero pacchetto sicurezza –  ronde escluse – stipato nei refrain di Masini e  Luca che era gay e adesso sta con lei. Roba che se Grillini non gli avesse dato una mano, Povia sarebbe tornato a casa subito, lui e tutta la sua tornata di ta tse bao edificanti. Gran pigia pigia anche tra cast e ospiti : Allevi e Bacharach, con gli scrittori famosi che inviano la missiva, gli attori che la leggono, l’étoile,  Mina che canta in contumacia una romanza da tenore, inquietanti reunion del trapassato  remoto, l’ultima rockstar, la penultima rivelazione pop, il più grande batterista, il doppio premio Oscar, gl’indossatori lasagnoni al posto delle vallette sceme, le playmates vitaminizzate e un collegamento col Palazzo di Vetro.  Persino Benigni in nome della discontinuità ha rinunziato a Dante e all’amore universale per tornare a quel po’ di satira politica che le circostanze consentono. Poi legge Wilde, Grillini applaude in piedi prima d’intervenire sulla felicità della coppia omosessuale di lunga durata. Nessuna audacia. Preparate i fazzoletti. Ovvio che in tutto questo minestrone qualcosa che ti piace, alla fine, la trovi per forza.  Soprattutto se la contropragrammazione Mediaset è stata particolarmente generosa col Festival, mentre si fa strada il sospetto che questo lievissimo calcar la mano sulla kermesse anarco situazionista serva in realtà a mimetizzare l’inconsistenza delle canzoni in gara.

Tolti Pravo e Tricarico, il resto è un po’ convenzionale. Non voglio dire sgradevole, ma insomma, tutta qui la canzone italiana ? Meglio le nuove proposte, si sbattono di più, steccano meno e tra parole e musica riescono ad essere più originali, ma li fanno cantare a notte fonda e tutto si perde.

E poi ci sono loro. Laurenti, spalla ben sincronizzata e Bonolis esponente di spicco della patafisica televisiva, uno che all’ennesima polemica sul cospicuo cachet, risponde strillando al tentativo di delegittimazione, manco fosse il Quirinale. Signore indiscusso del congiuntivo ben messo e dell’eloquio spropositatamente forbito, parla per ore senza dire niente, però….che dialettica ..chiosa Al Bano, sospirando.

Per l’ultima serata ci siamo superati, abbiamo avuto i metalmeccanici, il presidente albanese sorridente dal palco, il divo Cassel, la divina Lennox, una ricercatrice precaria incinta e la De Filippi in veste di presentatrice. Quest’ultima  a riprova del fatto che quel muro – tra RAI e Mediaset – è stato abbattuto. Parola di Bonolis. Stamo tutti qua. Lui lo annuncia trionfante e a metà del Paese si gela il sangue. Alla fine vince Marco Carta della scuderia di Amici. Anche l’ultima barriera è stata infranta.Volemose bene e tiramo a campà.

L’intento, la missione dell’intero spettacolo insomma, alla fine, ci viene svelato : sarebbe quello di mostrare, attraverso la musica, il Paese, anticipando così le inevitabili considerazioni del sociologo ritardatario, domani. Ma quel che riesce a venire fuori di prepotenza è solo lo stereotipo,  una macchietta tragicomica più finta e assurda di Papaveri e Papere. Del resto qui da noi, successo o fa rima con eccesso, o non è.

Che s’ha da fà. E pensare che il servizio pubblico potrebbe tranquillamente fregarsene dell’Auditel, lasciando gli altri da soli a scannarsi per gli ascolti. Si avrebbe un po’ più di qualità e competizioni meno avvilenti.

Anche se c’è da dire che queste prove ansiogene dello strafare di Bonolis  hanno il pregio di sfuggire spesso di mano e quando accade, regalano momenti esilaranti. Come la modella in body painting che tenta il colpaccio salendo sul palco, ma viene portata via in mezzo a due gendarmi stile Pinocchio,  mentre il bravo presentatore in tuxedo luccicante, raccomanda Piano per carità…non ha fatto niente, era …arrivata in pace.

Nella foto Tricarico, subito eliminato

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Non è la cattiveria invocata dal Ministro degl’Interni Maroni,  semmai peggio : malafede, confusione, opportunismo che genera provvedimenti dalle ricadute incalcolabili, tra medici delatori, rischio epidemie, badanti divenute fuorilegge, albo dei clochard, ronde e battaglioni, senza che ciò serva a risolvere uno solo dei problemi che ci si propone di affrontare.  Il tutto al solo scopo di alimentare la fabbrica dei consensi. 

E questo è ancora niente. Dopo la defatigante corvè securitaria, la beffa estrema di scaricare sul Presidente della Repubblica, che altri comportamenti istituzionali, rispetto al decreto che vieta la sospensione dell’ alimentazione forzata ai pazienti in stato vegetativo irreversibile, non avrebbe potuto tenere, ogni responsabilità sul caso Englaro. A costo di scatenare una catena di conflitti istituzionali senza precedenti, si procede egualmente con il proposito di licenziare una leggina. Un’esibizione di forza inaudita per il nostro assetto, accompagnata da dichiarazioni minacciose sulla volontà di cambiare la Costituzione e riformare la Giustizia. Una conferenza stampa memorabile disegna il ruolino di marcia. E c’è persino chi  benedice loro, le insegne.

A nulla valgono, le difese immunitarie dell’organismo collettivo – Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura – tutto vogliono disarmare. E vogliono vincere. Anche se il prezzo è la sopravvivenza in stato vegetativo di una povera creatura, poiché la posta in gioco è ben altra. 

I caudatari sono già all’opera sulla carta stampata e in televisione : un paese moderno non può essere oberato da quest’eccesso di contrappesi. Il progresso esige decisionismo. Il decreto dunque è  stato trasformato in proposta di Legge da sottoporre all’ Aula – o in Commissione, vedremo –  per un’ approvazione a tamburo battente. Del resto bisogna far presto, non c’è tempo per soluzioni condivise. Favorevoli ? Tot, Contrari ? Tot, Astenuti? Tot. le Camere approvano. Così si fa.

Cosa ci vogliono indurre a sperare con l’avvio di questa corsa contro il tempo ? Che Eluana Englaro muoia prima che il legislatore abbia compiuto l’opera? Bisognerà mantenere i nervi saldi, una delle caratteristiche precipue di questo dibattito dissennato è ritrovarsi, seppur su terreni contrapposti, a condividere con l’interlocutore inimmaginabili livelli di perversione. Questo avviene quando si smarrisce la strada maestra del rispetto delle regole. E delle persone. Ovvero quando si vogliono scardinare equilibri su cui è fondata la democrazia e la convivenza civile. Una china che questo governo, in ogni sua manifestazione, sembra preferire ad ogni altra.

Nell’Illustrazione la Stella della Repubblica, la foto l’ha scattata mrtambourine ed io l’ho parzialmente riprodotta