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Categoria: Cannes 2008

Made in Israel

Made in Israel

Nel momento in cui i conflitti sparsi per il mondo ci vengono rappresentati  soprattutto attraverso la diffusione di migliaia di immagini, un Cinema che racconti la guerra potrebbe assumere un significato di tutta  marginalità Così non è, anche se la visione spesso impietosa di corpi martoriati, soldati all’attacco, o gli skyline di città lontane illuminate a giorno dalle esplosioni o le popolazioni in fuga con i loro poveri bagagli e i figli tra le braccia, dovrebbero parlare alle coscienza più di molte parole e di molte fiction.

Tuttavia esposti come siamo ad indistinto e casuale bersagliamento mediatico, il rischio assuefazione da immagini  embedded o da una riproduzione per eccesso che  privi le stesse  della capacità d’ impatto o di ribellione, esiste. Dunque noi dovremmo essere grati a quel cinema che lungi  dall’assillo delle risposte o delle spiegazioni o della tesi da dimostrare, costantemente impegnato in una sorta di ricerca di modalità in cui l’immagine ritrovi la sua potenza e la sua natura politica. Qui di seguito due distinti esempi di cinema israeliano di eccellenza in cui quella ricerca ha dato esiti di grande efficacia, ingaggiando una sfida alla realtà che non è solo la sua narrazione.


Stile graphic novel ma anche  manga e pop art in elegante abbinamento, per questo Valzer con Bashir, cartoon dell’israeliano Ari Folman. Presentato a Cannes 2008 proprio il giorno dell’anniversario nella nascita dello Stato d’Israele, festeggiato, quest’ultimo, da visita ufficiale di George Bush a Tel aviv e incursione aerea israeliana su Khan Yunis  –  stessa località in cui qualche giorno fa tre soldati israeliani caddero vittime del fuoco amico – seguita da rituale lancio di Katiuscia da Gaza, con buona pace di Frattini & Co che va ancora cercando, in questo groviglio di eventi, chi ha cominciato.

Film che sarà (casualmente ) nelle sale da domani e che affronta uno dei capitoli più dolorosi della questione   mediorientale. Anno 1982, guerra nel Libano, falangisti cristiani per vendicare l’omicidio di Bashir Gemayel, neo presidente libanese, massacrano oltre tremila palestinesi trai quali anziani, donne e bambini, nei campi di Sabra e Chatila con la complicità dell’esercito israeliano.

In Israele si è soldati oltre il raggiungimento dell’età matura, tuttavia i riservisti possono anticipare il congedo, Folman ne fa richiesta. L’iter burocratico  prevede il colloquio con uno psichiatra. Folman, diciannovenne, era di stanza a Beirut nei giorni del massacro, ma di quel periodo non conserva ricordi  nitidi, solo è  perseguitato da  incubi ricorrenti

E’ un’esperienza comune ad altri ex commilitoni,  come quello della  muta terrificante di cani che corre in città e che travolge ogni cosa finchè si ferma minacciosa sotto le finestre di un ragazzo che è poi la sequenza di apertura del film. Lo psichiatra spiegherà che il meccanismo di rimozione è comune in molti ex soldati. Di qui, dal vuoto,  l’esigenza di rimettere insieme  il puzzle attraverso memorie rimosse, trasformate in sogni o deliri. Un percorso cognitivo, al quale parteciperanno ex commilitoni o testimoni diretti convocati da Folman tramite un annuncio su internet. Ho ricevuto più di cento telefonate : dopo tanti anni le persone  avevano voglia di raccontare la verità.

Una galleria di interviste e di racconti, da quello dell’ufficiale che consuma pornografia a quella del soldato che si produce in una danza sparando all’impazzata sullo sfondo di una gigantografia di Bashir Gemayel. Poi ci sono i compagni di allora, giovanissimi, terrorizzati, sui tank  impreparati a trovarsi in mezzo alla macelleria di ragazzini e di intere famiglie.Non ci sono esitazioni  nel definire la guerra insensata e inutile come pure l’invasione del Libano che non portò a niente, attraverso il racconto dell’abbrutimento degli uomini in divisa giovanissimi, inebetiti e incoscienti, catapultati in mezzo alle pallottole dei cecchini.

 

Ari Folman sceglie il disegno, l’animazione come strumenti attraverso i quali realtà  e delirio si possono rimescolare con assoluta efficacia. Immagini crude e dolorose quando è di scena la guerra, puro piacere visivo quando la rappresentazione richiama l’inconscio, il sogno. Solo così il regista  può esprimersi pienamente e nel contempo tener fede al proprio cinema di riferimento : uno spirito d’indagine alla Rashomon, la citazione esplicita di Apocalipse Now nella sequenza della spiaggia e del surfista col mitra.

Ma tutto ciò è premessa della sequenza finale affidata questa volta alle immagini verità introdotte da una bambina disegnata come un angelo dormiente tra le macerie : la visione disumana dei corpi martoriati, le urla di dolore : il sangue di Sabra e Chatila non si può reinventare con immagini, ne’ ci sono parole adatte a descriverlo. Quel vero così atroce è il mio giudizio su quel che è accaduto.

Colpisce moltissimo, il personale doloroso sforzo di fare i conti col proprio passato di soldato, del regista. Quantunque alla verità storica su Sabra e Chatila manchi qualche elemento in più in ordine alla responsabilità diretta di Ariel Sharon nelle operazioni di distruzione dei campi, esiste in questo film la consapevolezza che gli psichiatri possono sostenere l’impegno a convivere con sensi di colpa individuali. Le responsabilità storiche rimangono. Tanto basta.

L’uscita nelle sale come già detto, è casuale rispetto agli avvenimenti di questi giorni, ma, fa notare Ari Folman, film del genere rischiano di essere sempre attuali, visto che tra i nostri governanti non c’è nessun rispetto ne’ pietà per la morte di altre persone.


Valzer con Bashir è un film di Ari Folman del 2008. Prodotto in Francia, Germania, Israele, USA. Durata: 90 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red a partire dal 09.01.2009.

 

 

Z32  invece, film del dissidente Avi Mograbi autore di opere fortemente critiche e di attacchi  diretti alla politica di Israele, almeno per ora, non è in programmazione nelle sale, ne’ si prevede a breve. Presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, racconta la storia della rappresaglia organizzata per vendicare l’uccisione di sei militari israeliani. Esecutori sono giovanissimi soldati delle unità speciali, sottoposti per mesi ad un duro addestramento il nucleo del quale è  uccidere l’arabo senza interrogarsi troppo L’ordine infatti è di colpire alla cieca.

Mograbi utilizza i materiali degli archivi di Shovrim Shtika –  Rompere il silenzio – l’associazione di ex-soldati che raccoglie le testimonianze di chi ha prestato servizio nei Territori occupati – Z32 è la sigla di alcune tra esse che riguardano, appunto, quella missione di vendetta.

Anche qui come per valzer si avvicendano interviste filmate dei protagonisti che però hanno il volto sfumato, per non essere riconosciuti. Ma nonostante simili siano i racconti, le rimozioni, la ricerca del perdono o l’indifferenza nei confronti del nemico, il taglio diventa altro nel momento in cui Mograbi coglie l’occasione per riflettere sulla responsabilità dell’artista nei confronti del racconto. Non si tratta dunque soltanto del conflitto tra Israele e Palestina, l’impegno costante del cinema di Mograbi, di allontanarsi dall’iconografia classica della guerra in medioriente, lo conduce al di là di Israele, a compiere un  indagine approfondita su che cosa vuol dire essere soldato.

 Non c’è dunque nessuna differenza tra i racconti di questi ragazzi  e i comportamenti dei soldati americani in Iraq , che neppure si sono preoccupati di celarsi nell’anonimato, esibendo anzi, le proprie prodezze e diffondendole in Internet, o di tanti altri eserciti in conflitti e occupazioni sparsi per il mondo. La differenza semmai concerne la reazione della collettività nella sua capacità di prendere le distanze di non uniformarsi alla visione univoca del nemico come terrorista in ogni caso. E dunque sul ruolo dell’informazione e delle immagini.

Il film non mostra le azioni di guerra, è girato in interni  mentre si avvale dell’unico esterno la ricerca e la ricognizione del luogo dove si sono svolti i fatti. I ragazzi non lo sanno, non ci pensavamo a dove eravamo diretti, mai, eravamo troppo stanchi, sui pullman si dormiva dicono. Mograbi lo trova. Nessuna traccia di violenza, soldati, armi. Una donna anziana attraversa il campo. Durante l’azione di rappresaglia nessuno si è  chiesto chi fossero le vittime e da quali famiglie provenissero. Erano poliziotti palestinesi, un vecchio disarmato. La rappresaglia, che brutti ricordi, la praticavano anche i nazifascisti durante la guerra, è stata messa in atto nella ex-Jugoslavia, in Vietnam… Se mi vedono e esco da Israele magari mi arrestano per crimini di guerra chiosa un ragazzo.

 

Z32 è un film di Avi Mograbi. Genere Documentario, 81 minuti. – Produzione Francia, Israele 2008.

 

 

 

 

 

Il negativo della pellicola

Il negativo della pellicola

 

Manco si fosse trattato del componimento di uno scolaro, a Cannes, la critica criticante non badò a spese. E fu così che dopo la visione di  PalermoShooting,  : fumoso, velleitario, noioso, confuso e saccente. Eppure basterebbe  che la stessa meticolosità con la quale talvolta i critici si industriano a trovare del buono in  lavori di poco conto, fosse investita nel vedere i film solo  quello, niente – si fa per dire – più. Un’ operazione indispensabile, prioritaria rispetto all’abituale rincorrere quadrature in schemi narrativi ellittici, ovvero l’individuare i generi, o l’interpretare misteri che misteriosi non sono affatto. Il che si rivela vieppiù inutile, se applicato al modo di fare cinema di Wenders che intenzionalmente conduce a perdersi in luoghi spazio-temporali mai visitati, più percorsi mentali che veri e propri tragitti.

Insomma, certe forzature esegetiche richiamano l’idea della Morte al Lavoro assai più  di quanto  faccia Wenders nel suo racconto. Che in fin dei conti, ruota intorno ad un dipinto – Il trionfo della Morte  – custodito in palazzo Abatellis a Palermo – raccontando  il regista, prima di tutto, con altre immagini, quell’immagine. Chi ce lo ha detto? Wenders stesso, in millanta interviste. Atteniamoci dunque ai fatti o quantomeno approfittiamo del filo conduttore che ci viene generosamente offerto:

Miracolosamente sfuggito ad un incidente stradale, un fotografo di successo, roso da insostenibili malesseri, arriva a Palermo da Düsseldorf e vede in uno scatto, le proprie persecutorie ossessioni, incarnate da un arciere incappucciato. Il dialogo che ne seguirà,  imprevedibilmente sereno e senza paura, sarà rivelatore dell’intero impianto. E tra realtà e visione, resurrezione e morte possiamo goderci l’elegante fotografia, una splendida colonna sonora e le belle immagini dei sogni e dei fantasmi risolte in digitale.

Detto questo però è importante puntualizzare che anche se faccio un largo uso delle nuove tecnologie, l’importante è che la loro funzione resti quella di guardare e capire la realtà. Mi fa orrore pensare che fra qualche anno nessuno ricorderà più cosa sia un negativo. Credo di non esagerare nel dire che questa è una delle rivoluzioni più radicali del nostro tempo, perché con il digitale è mutato anche il nostro approccio alla morte e alla mortalità. Ormai percepiamo ogni cosa come immortale e abbiamo perso completamente coscienza del nostro essere mortali. Personalmente ho visto la morte due volte da vicino e ho provato una sensazione di attesa. La morte è un punto di vista privilegiato per guardare la propria vita, l’unico che consente di farlo in modo radicale. È questo il messaggio del film: rivedere la propria vita. Spero che le frecce del mio affresco “colpiscano”anche voi.

Wim Wenders

 

 

 

Palermo Shooting è un film di Wim Wenders. Con Campino, Giovanna Mezzogiorno, Dennis Hopper, Olivia Asiedu-Poku, Letizia Battaglia, Harry Blain, Sebastian Blomberg, Inga Busch, Alessandro Dieli, Melika Foroutan, Irina Gerdt, Gerhard Gutberlet, Francesco Guzzo, Wolfgang Michael, Anna Orso, Jana Pallaske, Lou Reed, Udo Samel, Axel Sichrovsky, Giovanni Sollima. Genere Drammatico, colore 124 minuti. – Produzione Germania 2008. – Distribuzione Bim –

 

 

Necessariamente insostenibile

Necessariamente insostenibile

Il bambino che credeva  vittima di un rapimento e che le viene restituito non è suo figlio. La polizia di Los Angeles, spregiudicata e corrotta, vuole risolvere le indagini a tutti i costi e  insiste fino a rinchiudere in manicomio lei, Christine Collins –  la madre del piccolo – dopo averla  bollata come persona difficile  e questo   solo perchè si oppone alla versione degl’investigatori. Sarà sottoposta a terapie violente ed umilianti, somministrate senza particolari formalità, così come consentito dalla legge di allora. 

Il caso specifico non sarà risolto, ma indagando sul mistero della scomparsa del bambino, si scopriranno gli omicidi seriali di un pedofilo che sarà poi mandato a morte, come una sorta di colpevole predestinato però, dunque senza che in tutto questo si possa rinvenire  la benchè minima idea di giustizia.

Tratto da una storia vera, resa la sceneggiatura  ancor più aderente alla realtà da un’indagine accurata su materiali d’epoca – ma la verità è la virtù più importante del pianeta, ama dire  Eastwood – questo film si colloca sulla direttrice tracciata da una produzione che con Mystic River, Un mondo perfetto etc,  nell’analisi impietosa della società americana, racconta  i passaggi dolorosi della  perdita d’innocenza di quel  paese. Mischiando i generi, senza tralasciare l’ horror e finanche lo splatter,  in un crescendo di atrocità  che comunque preludono alla sconfitta, Eastwood scrive un altro capitolo sulla fine del Sogno Americano. Un film straziante, di indispensabile violenza in ogni suo passaggio. Particolarmente  nel racconto dell’esecuzione del pedofilo.

Di quale pace parlate? – si chiede Eastwood – Dopo uno spettacolo simile, quale tranquillità sperate di ritrovare? È per questo che ho voluto filmare questa scena con il più grande realismo, il rumore del collo che si spezza quando il corpo oscilla nel vuoto, i piedi che si agitano al momento dell’agonia… è insopportabile da vedere, ed è questo l’effetto che cercavo.

Impeccabile Malcovich nella parte del predicatore radiofonico che sosterrà, la battaglia di Christine. Toccante Angelina Jolie e, manco a dirlo, straordinario, lucido, indipendente tessitore, Clint Eastwood. Nessuna Palma a Cannes ( altre ingiustizie)  ma meritatissimo premio alla carriera, per il regista.

Changelling è un film di Clint Eastwood. Con Angelina Jolie, John Malkovich, Jeffrey Donovan, Colm Feore, Jason Butler Harner, Amy Ryan, Michael Kelly, Devon Gearhart, Kelly Lynn Warren, Gattlin Griffith, Michelle Martin, Frank Wood, Devon Conti, J.P. Bumstead, Debra Christofferson, Russell Edge, Peter Gerety, Pamela Dunlap. Genere Drammatico, colore 140 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Universal Pictures

Il trucco è …

Il trucco è …

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Ultimo film della trilogia europea, anche se  questa volta non sono  le cupezze dei delitti senza castigo o del sesso in funzione della scalata sociale, bensì lo spirito della pochade combinato con quello della commedia libertina, a dominare la scena.

Così, prima del rientro negli USA, Woody Allen  ci offre una visione della vecchia Europa come continente a parte, sui generis, rispetto all’America delle persone normali, degli Umani, divertendosi non poco  a giocare sulla falsariga dei derivanti stereotipi culturali. Americans abroad concreti e noiosetti a confronto con iberici calienti e dunque tutto quel che consegue in termini  di spregiudicatezze vacanziere, baci saffici e menàge a variabile  definizione geometrica.

 Ma niente paura, non sarà certo l’rruzione di Javier Bardem nel ruolo dell’Oggetto del Desiderio o dell’esplosiva Penelope Cruz,  ne’ la paventata ipotesi di  una delle fantasie erotiche più frequenti dell’immaginario maschile, a cambiare il corso delle cose. Alla fine ognuno tornerà a casa più o meno come se nulla fosse accaduto. Sarà pure l’amore ai tempi dell’Indecisione ma poi il relativo ondivagare si sa benissimo che piega è destinato ad assumere.

Dialogo fitto, serrato che qualcuno ha definito invadente, come pure è stato detto della voce fuori campo. Ma è Allen, il suo cinema è sempre un po’ verboso, quand’è così, è difficile tenere la barra dritta, senza sconfinare nel territorio del didascalico. E poi… dopo tanto dostojestizzare, infine si torna a sorridere sulle turbolenze del rapporto uomo donna. Anche se la Johansson continua – bravissima e prediletta dalla macchina da presa – a interpretare il ruolo di alter ego di Woody Allen qualunque sia – altro che musa – la storia che si sta rappresentando.

 Decisivo e generoso il contributo di Penelope Cruz e Javer Bardem, i veri Beni Culturali, da apprezzare insieme a Gaudì, Mirò, il Rioja e alle note della canzone Barcelona. Del resto il film è stato finanziato dagli spagnoli, anche con l’intenzione di valorizzare la città insieme alla clausola che il nome della stessa,  comparisse nel titolo. Verificati gli accordi,  non ci resta che prendere atto dell’ imperdibile quanto necessaria,  lezione  di Juan Antonio  (Bardem ) : Il trucco è godersi la vita senza cercare un senso.

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Vicky Cristina Barcellona, è un film di Woody Allen. Con Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson, Kevin Dunn, Chris Messina, Julio Perillán, Manel Barceló, Josep Maria Domènech. Genere Commedia, colore 90 minuti. – Produzione USA, Spagna 2008. – Distribuzione Medusa

Gelmini, vai al cinema

Gelmini, vai al cinema

Troppe riforme e troppo improntate a criteri economicistici, senza un Progetto o un’Idea di Scuola,  ma buttate lì a caso, generano caos, consegnando gl’insegnanti, privi di mezzi adeguati , alla solitudine e alle difficoltà del dover affrontare un mondo in continua evoluzione. Intorno all’ipotesi che le classi siano probabilmente l’ultimo punto di osservazione delle dinamiche legate alla mixité e che la scuola in genere, sia un luogo in cui si concentrano attenzioni politiche e meccanismi autoritari, si sviluppa questo Entre les murs – qui da noi tradotto con l’insignificante La Classe  –  vincitore , a buon diritto, della Palma d’oro a Cannes 2008. Girato in un vero liceo parigino del 20 Arrondissment, con autentici  studenti, inseriti in un gruppo di lavoro, adottando il regista, il metodo del laboratorio teatrale(canovaccio e sessioni d’improvvisazione), Entre les murs è un film sul Valore dell’ Insegnare e dell’Apprendere e della relazione che ne deriva fatta di scambio, crescita e ricerca collettiva Vivace come la macchina da presa che si muove entre les murs, con grande disinvoltura ma soprattutto capace di cogliere l’essenza del reale senza retorica, enfasi o sbavature di sorta.Tutto merito del taglio – ne’ fiction ne’ documentario –  che si è scelto . Tratto dall’omonimo libro di Françoise Begaudeau – che nel film recita il ruolo dell’insegnante – diretto da Laurent Cantet – il regista di Ressurces Humaines – un film da vedere pensando a quali effetti possano avere la disattenzione e i dettati gelminiani, in contesti scolastici oramai, sempre più  multietnici.

 

 La classe (Entre le murs) è un film di Laurent Cantet. Con François Bégaudeau, Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja Rachedi, Juliette Demaille, Dalla Doucouré. Genere Drammatico, colore 128 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Mikado