Film dal languente Festival di Roma – dove gli unici sussulti sono dati dalle visite dei contestatori – offerto in patinata confezione, come da budget milionario, e con interpreti tra i più applauditi, in Germania e non solo – Martine Gedek e Bruno Ganz, tanto per dire – Sceneggiatori, Bernd Eichinger e lo stesso regista Uli Edel, tedesco ma residente a Los Angeles, autore di Christiane F e Last exit in Brooklyn , nonchè di miniserie televisive di successo. Falsariga, quella di un libro Der Baader Meinhof Komplex di Stefan Austen, collaboratore, insieme alla stessa Ulriche Meinhoff della rivista politica Konkret, storico e giornalista di Der Spiegel, testo molto celebrato per precisione ed attendibilità.
Il proposito è quello di raccontare la vicenda della Rote Armee Fraktion, la formazione guidata da Andreas Baader e Ulriche Meinhof, attraverso il decennio che va dal 1967 al 1977. Cioè dalla nascita del movimento studentesco, fino al rapimento e all’esecuzione di Hans Martin Schleyer.
Preoccupazione dichiarata degli sceneggiatori, quella di rendere comprensibile il film a tutti, evitando nel contempo possibili coinvolgimenti emotivi e pericolosi transfert. Di qui una curiosa e funambolica operazione di rimaneggiamento, da una parte la modifica dei linguaggi per adattarli a quelli dei giorni nostri, dall’altra, la scoloritura dei personaggi, dei quali s’ignora la psicologia, preferendo concentrarsi su versanti e atteggiamenti di assoluta marginalità.
La Baader Meinhoff così ridotta diventa poco più di una banda di ingenui, farneticanti sognatori, cool e spaventosi ad un tempo, passati dai movimenti antimperialisti tedeschi alla lotta armata, non si capisce bene attraverso quali considerazioni. Percorso classico nella rappresentazione del tempo in cui le battaglie, secondo lo stereotipo narrativo, nascevano sacrosante e votate alla costruzione di una società migliore, per poi degenerare attraverso il ricorso alla violenza, in catene di orrendi delitti, quasi fosse fisiologica ed ineluttabile quell’evoluzione.
Quando invece è risultato chiaro, che scelte radicali, consapevolmente responsabili di atrocità, non possono non maturare in contesti che la pura enunciazione dei fatti non è sufficiente a definire. E sono proprio questi contesti che, nonostante la puntualità del susseguirsi cronologico degli avvenimenti, mancano al racconto. Vuoi perchè sfigurati per renderli accessibili, vuoi per evidente omissione, nella dichiarata pretesa di rincorrere un’ impossibile obiettività.
Dunque la premessa degli autori di aver voluto realizzare un’opera dei fatti e non delle opinioni, rivela un fondo di ambiguità. Più onesto sarebbe stato enunciare una propria esplicita visione delle cose, esponendola così alle critiche, alla discussione, ovvero lasciare che interrogativi si ponessero : su come si dipanarono i rapporti con Fatah, sulla morte per presunto suicidio di Baader e Ensslin nel carcere di Stammheim, su quella di Holger Meins, e della stessa Ulriche Meinhoff.
Domande pertinenti, che però condurrebbero dirette all’analisi della società tedesca di quel tempo, ma appurando, ovvero smentendo, fatti quali la durissima repressione, la permanenza negli apparati statali di uomini del’ex regime di Hitler e le nemmeno troppo presunte, infiltrazioni neo naziste in RAF, finanziatrici peraltro di addestramenti militari in Giordania nei campi dei feddayn. Tanto più che il film mostra Ulriche Meinhof in quei campi e che tali personaggi sono ancora vivi e vegeti e qualcuno finanche figura tra gli esponenti di spicco del partito neonazista svizzero.
Gli autori hanno preferito sfornare un prodotto di sicuro successo, in cui non mancano sensazioni forti date da scene ad alto tasso adrenalinico di scontri e sparatorie, con qualche ricostruzione di fatti, come l’attentato a Rudi Dutschke e l’uccisione dello studente Benno Ohnesorg durante le cariche avvenute in occasione della visita dello scià Reza Pahlevi a Berlino.
Ma se ci si allontana dal porsi questioni, buoni, cattivi, inseguiti e inseguitori vittime e carnefici – tutto diventa chiaro ! – sono immediatamente riconoscibili . Solo così alla fine il Bene può trionfare. Epurata da ogni elemento controverso e priva di dramma, l’operazione può risultare più pericolosa di un’ insensata apologia del terrorismo. Siamo solo a qualche passo dalla fiction, un prodotto fruibile comodamente da casa, chiacchierando con gli amici. Non a caso in Germania la RAF, mitizzata e resa paradossalmente inoffensiva, dalle troppe rimozioni, è tornata in auge, ispira linee di moda e cosmetici per giovani rivoluzionari , perchè come avverte in esergo il sito più “cool"
History repeat itself first a tragedy then as fashion
La banda Baader Meinhof è un film di Uli Edel. Con Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek, Nadja Uhl, Jan Josef Liefers, Stipe Erceg, Hannah Herzsprung, Heino Ferch. Genere Drammatico, colore 149 minuti. – Produzione Germania 2008. – Distribuzione Bim