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Categoria: Downing street

Dumping

Dumping

Tra le mani i cartelli – tanto per chiedere conto a Gordon Brown  di qualche improvvida dichiarazione – mentre sopra le teste sventola la bandiera del sindacato. Non è un film di Ken Loach con la musica dei Clash. E’ la crisi . Se ognuno difende la sua produzione e i suoi lavoratori, il risultato sarà che per essere più competitivi occorre costar di meno.

Dunque è’ anche la guerra dei poveri. Non per niente fuori campo, lì ad  Immingham nel North Lincolnshire, c’è un gruppo di operai italiani che fa gestacci. Qualche giornale italiano l’ha sin pubblicata. La Lega dichiara : presto succederà anche in Veneto.

E allora? Quali provvedimenti qui da noi ? Ah beh. Noi siamo ottimisti.

Corri Gordon, corri…

Corri Gordon, corri…

 

Siccome tutta la sinistra è come il mondo, cioè  paese, anche in Inghilterra l’elettorato delle municipali punisce il governo centrale infliggendo ai laburisti una sconfitta pesante ancorché annunciata dai sondaggi – almeno lì funzionano – e dai malumori diffusi .Del resto la stella di Gordon Brown, subentrato ad un Tony Blair ai minimi storici del gradimento, è durata quel tanto che è bastato a farlo desistere dal proposito iniziale indire  elezioni nazionali. Forse un errore – peraltro suggerito da nuovi sondaggi, nuovamente in discesa verso l’autunno dopo l’impennata primaverile –  del quale si è avvantaggiata l’opposizione guidata dall’arrembante David Cameron che non ha esitato per questo a definire Brown titubante  – Ditherer. Il resto ricalca un percorso già noto: attese deluse – Gordon Brown ministro del tesoro è stato l’artefice più importante del successo di Blair  – rispetto ad un deciso programma riformatore, quantunque una ridefinizione delle fasce fiscali abbia favorito i più poveri, (ma scontentato tanti altri), il tasso di criminalità si mantenga basso e l’economia britannica navighi in acque migliori di tanti altri paesi. Eppure oggi Brown è meno popolare del Blair dei tempi peggiori. Gordon Brown è sulla terra per ricordare al popolo britannico quanto fosse in gamba Tony Blair, avvertiva Lord Desai, Pari laburista del Regno, ancor prima che i dati elettorali  sancissero la disfatta, il che la dice tutta sul sovrapprezzo di  veleni all’interno del partito, tant’è che al Ditherer dell’opposizione, si sono aggiunte altre delicatezze , una per tutte il fatto che Brown sia come il porridge – la tradizionale pappina d’avena britannica –  se confrontato allo scoppiettante Blair identificato nientedimeno che con lo ..champagne. E in effetti l’immagine pacata e anche vagamente depressa – ma io rimango un’estimatrice delle qualità politiche di Gordon Brown – stride nel confronto con il Tony Blair sempre dinamico, sorridente e pieno di energia propositiva. E’ possibile che nel mondo in cui si conduce la politica contemporanea, l’amore per il cambiamento connaturato nei media, giunga  a mostrare Cameron, bravissimo comunicatore, come un’alternativa possibile anche se il messaggio politico è piuttosto debole ed incerto. I Labour hanno ancora due anni per recuperare consensi, sarà interessante osservare in che modo vorranno gestire la risalita anche se Anthony Giddens osserva come sia oramai divenuto fisiologico il fatto che i partiti di centrosinistra in Europa, fatichino a far passare programmi riformatori, incapaci oramai di coinvolgere l’elettorato in riforme del welfare o dei sistemi pensionistici e dei mercati del lavoro ed individua in questa carenza la causa dell’insuccesso. C’è da aggiungere l’eterna questione riguardante le paure connesse all’immigrazione, alla criminalità, al terrorismo, al venir meno dell’identità nazionale e alla facilità che la Destra ha di agire sullo sconcerto proponendo forme di nazionalismo xenofobico dall’apparenza più “rassicurante” delle difficilmente interiorizzabili politiche inclusive del centro sinistra. Oltre che nuovi leader probabilmente occorre una nuova sintesi per questi partiti e non sarebbe male che tali riflessioni travalicassero la dimensione nazionale per svilupparsi all’interno dei raggruppamenti europei. Nel frattempo  non ci si può che dolere della caduta di Ken il rosso, l’eccezionale sindaco di Londra che ha migliorato i trasporti, combattuto con successo la criminalità e guidato la città vivacizzandone le attività culturali. Dopo un decennio lascia il posto ad un uomo di destra meglio noto per le sue presenze in televisione che per la sua progettualità. E dire che che Ken tutto ha fuori che l’aria stanca o depressa.

Flash Gordon

Flash Gordon

Ieri l’altro all’ONU ,  Gordon Brown ,ben interpretando il sentimento degl’inglesi in materia di politica estera,ha garantito il mantenimento degl’impegni  assunti con il governo iracheno ma ha anche aggiunto che saranno i Commons, il Parlamento Britannico e i vertici militari a decidere se e quando ritirare le truppe dall’Iraq.Un’inversione di tendenza,un segnale di autonomia dagli USA, rispetto al più acquiesciente  Tony Blair, che la stampa non ha mancato di commentare come segnale di importante cambiamento.E se è pur vero che Brown deve fare i conti con un forte calo di consensi dei laburisti sul fronte interno, nonchè prepararsi a dialogare con diversa amministrazione negli Stati Uniti,va detto che l’intervento in Iraq non ha mai registrato il suo pieno appoggio e che l’eventuale decisione di ritirare i 5.500 soldati inglesi in autunno, sarebbe un bel colpo assestato alla politica di Bush già fiaccata dai consensi al minimo storico e dalle pressioni del Congresso.Nessuna rottura con gli USA ma una discreta critica all’unilateralismo e al considerare l’Iraq terreno di scontro essenziale per la lotta al terrorismo.A me Gordon Brown piace molto , mi sembra l’esponente di una nuova modalità di far politica e anche se non è nuovo affatto  a cariche istituzionali  ( e ad errori, come alcune privatizzazioni ) i suoi obiettivi,in genere ambiziosi, sono stati perseguiti con rigore,serietà e preparazione….nella foto Gordon in metropolitana, qualche giorno prima di diventare primo ministro.

Il giorno di Gordon

Il giorno di Gordon

Gordon Brown

Gordon Brown non ha nessuna delle qualità esteriori del leader : non è un grande comunicatore,non è simpatico e a dirla tutta,non è nemmeno cordiale.Come se non bastasse, è caparbiamente convinto, in barba alle  preoccupazioni che la stampa internazionale instilla nei suoi collaboratori, di essere nel giusto e che l’opinione pubblica dovrebbe interessarsi più alle sue idee che al suo carattere. Non a torto, poichè del carattere e delle capacità strategiche di Gordon è lastricato il suo percorso politico.Noto a Bruxelles e nel mondo come prestigioso rappresentante della Gran Bretagna nei negoziati internazionali ha messo a segno una serie d’imprese – dall’ottenimento della concessione alla Banca d’Inghilterra del potere di fissare liberamente  i tassi d’interesse all’elaborazione di una strategia per evitare che la Gran Bretagna adottasse subito l’euro, alla capacità di assicurare crescita costante,bassi livelli d’inflazione e alto tasso d’occupazione che altro non sono se non l’esito di una indubbia e rigorosa preparazione filtrata da notevoli capacità personali.Altro che affabilità.Tuttavia a Gordon toccherà un compito probabilmente più arduo quello di fronteggiare i Tories guidati da  David Cameron, in totale  rimonta,gli stessi cioè che in occasione delle elezioni amministrative e del rinnovo dei parlamenti di Scozia e Galles hanno conquistato il 40% dei consensi contro il 27 ottenuto dai Labour.Il rischio vero è che Cameron si aggiudichi anche le elezioni del 2010.Gordon Brown dovrà affrontare obbligatoriamente il nodo della guerra in Iraq e del rapporto  con Washington oltre alla questione morale e alle inchieste giudiziarie sul finanziamento del partito.C’è poi il non piccolo problema di riconquistare l’opinione pubblica riallacciando i contatti tra politica e cittadini.E’ possibile che la sua figura di burbero benefico sia un antidoto necessario alla diffidenza crescente che ha accompagnato gli ultimi due anni della gestione Blair e che ha riguardato anche le manifestazioni di affettuoso entusiasmo dell’ex Premier  nei confronti di Bush.Il ritorno del tradizionale riserbo britannico,sotto questo aspetto,non potrà non essere colto come un segnale di discontinuità.

Bye Bye Blair

Bye Bye Blair

Blair lascia la Gran Bretagna meglio di come l’ha trovata nel 1997.In dieci anni le tasse sono aumentate, è vero, ma gl’Inglesi sono diventati più ricchi, più ragazzi prendono il diploma e vanno all’università e grazie ad una politica sociale accorta (salario minimo, esenzione fiscale per i più poveri)  le difficoltà economiche delle fasce più deboli, si sono attenuate. Una legge riconosce le unioni tra omosessuali e lo Human rights act recepisce la normativa europea sui Diritti Fondamentali. Se si considerano poi i successi ottenuti sul piano dell’autogoverno di Galles, Scozia e Irlanda del Nord, si può tranquillamente affermare che con Blair l’Inghilterra è diventata un notevole esempio di apertura. Nessun premier più di lui ha sensibilizzato i cittadini sul tema dei cambiamenti climatici e della povertà in Africa. Eppure la gestione del suo secondo mandato all’insegna della riforma del settore pubblico ma anche dell’11 settembre e dell’incondizionato sostegno all’invasione in Iraq,non ha convinto gl’inglesi che hanno inflitto ai labour una cocente sconfitta alle amministrative del 3 maggio. Il leader politico europeo più brillante che nel 1997 procedeva in sintonia con il paese del quale era alla guida, ha perso terreno. Colpa dei servizi pubblici che ha tentato di migliorare riuscendovi solo in parte e con gran dispendio di denaro e dei pessimi risultati nei campi della sanità e dell’istruzione. Colpa di una  guerra che è costata alla Gran Bretagna molte  vittime rivelandosi  dannosa sul piano internazionale ma anche di un modo di essere fedeli alleati di Bush, del non aver saputo insistere affinché Rumsfeld fosse rimosso, perché la prigione di Guantanamo venisse chiusa. Colpa delle bugie sulle armi di sterminio di massa che Blair ha raccontato al popolo inglese a giustificare l’empito interventista. Eppure né il suo successore Brown né eventualmente il suo avversario Cameron, hanno intenzione di modificare troppo la politica estera ed è altrettanto improbabile che entrambi vogliano smantellare l’impianto delle riforme che Blair ha avviato. Non più tardi di un mese fa, The Economist affidava il giudizio dell’operato del Primo Ministro ai Posteri anzi, come avvertiva la copertina, alla Storia la quale lo giudicherà sicuramente meglio di come appare oggi. In attesa Tony potrà dare prova di sé come mediatore in Palestina, il suo nuovo incarico.