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Categoria: Se ne sono andati

Adieu petite enervé ( ma plus belle histoire…)

Adieu petite enervé ( ma plus belle histoire…)

Youkio Mishima dopo averlo incontrato a Tokio disse di lui che aveva nervi d’acciaio ma è possibile che alludesse alla capacità di Yves di affrontare il suo male de vivre con consapevolezza e dignità. Adesso che se n’è andato il più intellettuale dei coutourier francesi, fioriranno le biografie sulle origine algerine, sull’infanzia violata, su quella partenza per fare il militare in Algeria che gli costò un’interruzione della carriera e  l’ospedale psichiatrico. Al di là della nutrita annedottica, di lui restano naturalmente le ricche collezioni al numero 1 di rue Léonce Reynaud,  sede della Fondazione Pierre Bergé – Yves Saint Laurent, dove tra cascate di accessori ( spille, cappelli, orecchini) e gli schizzi della collezione disegnata per Dior e per se stesso,  è possibile ammirare i bozzetti per Belle de Jour (1966 ) per l’Aquila a due teste di Cocteau (1978) e Subway di Luc Besson (1986) oltre che i costumi per gli spettacoli di Roland Petit per Zizi Jeanmaire e quelli per Nureyev e Margot Fonteyn .

 

Il segreto del successo di Yves Saint Laurent, però  è racchiuso nei costumi che Catherine Deneuve indossò – guarda caso –  in Belle de Jour di Buñuel :  l’abilità di appropriarsi degli stessi strumenti della borghesia per distruggerne gli elementi di conservatorismo.  Difficilmente ci si può rendere conto, fino a che punto Trapèze potesse essere nel 1958,  una collezione che rivoluzionava ogni dato acquisito dalla moda e ogni imperativo sui canoni estetici femminili. Via la giacchetta o l’abito strizzato  al punto vita dal quale partivano le gonne a corolla , emblema del new look de Christian Dior, del quale giovanissimo Yves Saint Laurent aveva ereditato la direzione della Maison. Largo a giacchine destrutturate, a scatola, sopra gonne dritte ma morbide mai fasciate,ovvero al foureau che prende forma e vita solo quand’è indossato. Sembra che il corpo un po’ si voglia nascondere, ma è un abile trucco che anni dopo sarà demistificato con l’ingresso in grande stile del nude look, con le sahariane,con lo smoking tuxedo per donna che  negli anni 70 stravolgerà il concetto di abito da sera . E poi ancora bluse, caban e, vero simbolo dell’epoca  : la giacca da marinaio. Tutto in lui fu anticipazione reinvenzione interpretazione e celebrazione dell’esprit du temps. A lui si deve quello stile androgino che molto sapeva di futuro quanto ad inclinazioni, usi e costumi. Yves aveva smesso di lavorare da qualche anno, il motivo, sempre lo stesso, quello per il quale altri suoi colleghi avevano abbandonato. Un po’ le metodologie artigianali che mal si conciliano con  regole di mercato  che oltretutto lasciano poco spazio alla creatività, un po’ per il gusto che cambia che tira a ciò che appare anche se di  serie e che non lascia più spazio per l’accuratezza, il perfezionismo, la meticolosità nella confezione. Di Yves Saint Laurent, mi piace ricordare la sistemazione de le  Jardin Majorelle di Marrakesh, immerso nel blu indaco, nei profumi dell’Atlante o del deserto che di notte si tinge di acciaio azzurrognolo e Ma plus belle histoire d’amour di Barbara, che Catherine Deneuve dedicò a Yves nella sua serata d’addio, l’ultima sfilata.

Giglia

Giglia

Ho imparato tre cose. Dal PCI  che NOI è più importante di IO. Quando sento qualcuno parlare sempre di sé,ho una reazione allergica.Da mio marito che bisogna guardare al futuro,alle cose che ancora vanno fatte,a ciò che deve ancora succedere.Dal movimento delle donne  che bisogna partire dalla propria esperienza,che questa è una risorsa insostituibile.

Giglia Tedesco

Giglia Tedesco ha seduto nell´aula del Senato dal 1968 fino al 1994, occupandosi in particolare di Giustizia e di Diritto di Famiglia: è stata infatti relatrice per la legge 194 e per la Riforma dell´Adozione.E’ morta venerdì pomeriggio disponendo che la cosa non facesse notizia e che le esequie si svolgessero in forma privata.

Guardare, Inquadrare,Filmare

Guardare, Inquadrare,Filmare

Hai visto l’Eclisse?Io ci ho dormito.Una bella pennichella.Bel regista Antonioni.C’ha una Flaminia Zagato.Una volta sulla Fettuccia di Terracina m’ha fatto allungà il collo.

Michelangelo Antonioni non ha mai perdonato a Dino Risi questa battuta tratta dal film Il Sorpasso, dal canto suo Risi ha sempre risposto che quell’espressione era strettamente funzionale alla sceneggiatura :serviva a meglio definire la superficialità  del personaggio interpretato da Gassman . Al di là delle antiche ruggini (ogni film di Antonioni era puntualmente celebrato dalla critica, quelli di Risi, un po’ meno) il sentimento del Comune Spettatore rispetto ai film di Antonioni, era proprio quello descritto nel Sorpasso.Michelangelo Antonioni che raccontava i silenzi e l’incomunicabilità – come si diceva allora – in pellicole di una lentezza estenuante non faceva film molto popolari.Ne’ dal tratto fortemente sperimentale del suo cinema, ci si sarebbe potuto attendere di più.Ma le diciassette macchine da presa che nel 1970 filmarono l’esplosione dei simboli del benessere e del consumismo con sottofondo di musica dei Pink Floyd in Zabriskie Point, scrissero egualmente una pagina memorabile della storia del cinema anticipando di parecchio i contenuti,le idee e i drammi del futuro.Antonioni mancava da molto tempo,il suo ultimo film   – Al di là delle nuvole – nato da un consorzio artistico incredibile con Wim Wenders e Tonino Guerra è del 1995 ed è dedicato alla rinuncia dello sguardo che s’interroga su cosa c’è al di là delle nuvole dopo aver tentato invano di portare in scena la vera immagine della realtà assoluta.La cronaca di un tormento ed insieme un saggio in forma di fiction su cosa significhi guardare,inquadrare,filmare.

 

La lanterna magica

La lanterna magica

Ingmar Bergman set 1957

Bergman metteva in riga i miei migliori (e scomposti) istinti di spettatrice.I suoi film non lasciavano molto spazio alla fantasia, ne’ alla riflessione, ne’ alla fuga .Faceva, diceva, esprimeva tutto lui .Ogni volta – che rabbia – era sufficiente sedersi e guardare.E ogni volta l’intreccio consueto: immagini e dialogo in perfetta alchimia, risultavano esaustivi. Cos’ altro si sarebbe potuto aggiungere a Sinfonia d’autunno a Fanny e Alexander al Settimo sigillo a Scene da un matrimonio o al Posto delle fragole? Proprio nulla . Per questo nonostante il sentimento di profondo rispetto e la consapevolezza di essere al cospetto di autentiche opere dell’ingegno,io Bergman non l’ho mai davvero amato.Però non ho perso un suo film, ne’ una sua produzione televisiva,ne’, quando è stato possibile,una sua opera teatrale.Capitava a me ciò che spesso accade con quelle persone che si stimano moltissimo .ma alle quali ,per pudore, non si riesce a dare del tu.

Nell’illustrazione Ingmar Bergman sul set di Settimo Sigillo

Benvenuta nella gabbia delle scimmie

Benvenuta nella gabbia delle scimmie

Kurt57388285_7644912ca4Faccio lo scrittore dal 1949.Sono un autodidatta.Non ho teorie sulla scrittura che potrebbero essere di aiuto agli altri.Quando scrivo divento semplicemente  ciò che sembra che io debba diventare.Sono alto sei piedi e due pollici e peso circa duecento libbre e non sono molto coordinato,se non quando nuoto.Tutta quella carne presa a prestito scrive.

 Kurt Vonnegut Prefazione (ed autopresentazione) alla raccolta Benvenuta nella gabbia delle scimmie

La stupidità della burocrazia e l’ottuso sadismo del potere hanno trasformato il mondo in un incubo contro cui si battono eroi da operetta.Si tratta di  uno dei più riusciti intrecci di Vonnegut che nella dimensione del racconto breve metteva più che mai a profitto le sue migliori qualità di creatore  di trame insolitamente affascinanti, ricche di digressioni ironiche e solo apparentemente assurde.Dei suoi molti romanzi di mi piace ricordare questa raccolta e la sua gustosissima appendice Come scrivere con stile