La – non meno noiosa – lettura femminista della dominatrice vendicativa
Gli aspetti più triti e rifritti di un comune rapporto di potere (avendo cura però di conservarne, il versante ironico)
Il (troppo) facile erotismo di fruste e bondage.
Il tutto per concentrarsi sull’ invincibile tripletta sceneggiatura – regia – recitazione e sull’ingrato compito di far entrare un lavoro teatrale di successo in un film, impresa già sperimentata dall’inesauribile talento di Roman Polanski all’epoca di Carnage, laddove si dimostra che alla fissità di una scena teatrale – unico ambiente, anche in questo caso – si può porre rimedio con una macchina da presa da montagne russe, affilata e persecutoria.Tanto per rimanere in tema.
L’affiche già parla chiaro : una décolleté nera infrange col tacco una lente degli occhiali dell’intello metropolitano che qui s’incarna in Thomas, esausto regista teatrale al termine di un’ infruttuosa giornata di audizioni alla ricerca di Vanda, protagonista de la Vénus à lafourrure di Sacher Masoch.
Il tacco a spillo invece appartiene ad una ragazza dall’eloquio – e non solo quello – piuttosto coatto che contro ogni resistenza e stanchezza di Thomas piomba sulla scena e quella parte assolutamente vuole, bell’e pronta com’è col suo armamentario di abbigliamenti ed idonei necessaires (fruste, chewing-gum in eterna masticazione, slang ed esilaranti battute mentre completa l’opera di convincimento sistemando le luci di scena, da navigata professionista).
Ce ne sarebbe di che ricondurre alla ragione il più incrollabile dei narcisismi e infatti così accade.Il resto del film è giocato su repentini e continui cambi d’umore e di ruoli dei due attori tenuti sotto controllo da una regia implacabile che nulla lascia al caso.
Inviti a dimenticare assolti, non resta che tenersi strette un paio di chiavi di lettura paradossali,fantasiose e vagamente grottesche, l’una riguarda l’impossibilità di definire con esattezza il ruolo di vittima e quello di carnefice,l’altra l’inutilità di una tendenza che vuol interpretare tutto in termini moralistici.
Seigner divinamente adatta. Almaric perfetto nel film che chiudeva Cannes numero 66 ingiustamente ignorato da esausti addetti con la valigia al piede.Da non perdere.
Out of the blue E così mentre a Parigi la polizia sgomberava la piazza dagli ultimi partecipanti alla manif pour tous contro i matrimoni gay, a Cannes una giuria presieduta da Steven Spielberg – a torto ritenuto troppo bacchettone per apprezzare film dalle tematiche forti – incoronava l’incantevole Vie d’Adéle chapitre 1 et 2 lunghissimo metraggio d’amore lesbico diretto dal franco tunisino Abdellatif Kechiche.Ce ne sarebbe di che far impazzire una per una le sigle d’adesione alla sconcertante adunata della Destra francese con tutta questa celebrazione di amori irregolari e naturalizzazioni di immigrati.Ma se è vero che l’amore vince su tutto dovrebbe vincere pure sull’ottusità,l’egoismo, l’arretratezza e l’insensatezza degli stendardi celtici in orgogliosa parata a les Invalides. Ergo:palma meritata per questa storia d’amore normale raccontata con toni poetico-realistici di grande impatto e gran mestiere :
Je m’en allais avec un cœur à qui il manquait quelque chose, et qui ne savait pas ce que c’était.Il senso è tutto qui nella frase da La vie de Marianne di Marivaux che si sta commentando a scuola all’inizio del film.La domanda dell’insegante Mais qu’est-ce que cela peut bien vouloir dire, qu’il “manque quelque chose au cœur” ? Rimane sospesa.La risposta va ricercata probabilmente nelle tre ore successive in cui dominano la curiosità e la passione di innumerevoli prime volte scrutate da una macchina da presa talmente vicina da insinuare in qualcuno il sospetto di voyerismo (ma va?) da parte di Kechiche. Invece Abdetallif sa dove fermarsi, avrebbe potuto sfruttare meglio il rapporto non precisamente idilliaco con e tra le due attrici o i di loro – dicono – imbarazzi,invece la concitazione che ne è derivata è assai normal e aggraziata soprattutto assai simile a quella di qualsiasi rapporto amoroso.E se al cuore di Adele mancava di essere se stesso, alle nostre attese mancava il film autenticamente differente in un cartellone di lavori buoni e ottimi ma decisamente più convenzionali.
Qualcuno meritevole di interesse:
L’invité envahissant – Sorrentino, secondo i Cahiers, cui non è piaciuta La Grande Bellezza – cala l’asso del talento italiano in concorso con un film sulla Capitale, tormento ed estasi di provinciali in cerca di successo. Intanto non manca di lamentare la scarsa considerazione che il nostro cinema ha in patria il che è vero, anche quando le storie che vengono raccontate sono,a dispetto dei rilievi di localismo, in grado di varcare le frontiere ed essere comprese in paesi dalle culture più disparate e lontane.Chi avrebbe mai detto che il Divo sarebbe stato apprezzato in luoghi in cui Andreotti era un emerito sconosciuto?
Fellini e Scola certo, ma per essere un film già visto ci vorrebbero realtà e contesti identici a quelli raccontati dalla Dolce vita o dalla Terrazza. Così non è più. Molto tempo è passato e anche la vacuità o le illusioni perdute non sono più le stesse.Resta la Grande Bellezza che deconcentra, scombina i progetti e qualche volta, come nel caso del turista giapponese sulla terrazza de Gianicolo, uccide.E all’indefinito felliniano si sostituisce una grande esattezza d’immagini e atmosfere. Rappel letterari e del grande cinema ma remoti e distanti e comunque per guardare questo film bisognerebbe lasciarli lì sullo sfondo e a tratti dimenticarsene. (Per una volta tanto chissene frega dei Cahiers)
Ultimo tango sul TigriThe movie business is the worst girlfriend in the world. You are seduced and abandoned over and overagain.
Metti un film erotico e d’azione da ambientare in Iraq e la ricerca di un produttore che finanzi l’impresa, con la coppia Toback & Baldwin in pellegrinaggio – l’anno scorso a Cannes – da tycoon – veri – della produzione internazionale che tirano sul prezzo fregandosene dell’arte o che in cambio dei milioni richiesti pretendono di dire la loro mettendosi sotto ai tacchi l’indipendenza dell’artista. Esilarante con note tragicomiche il tutto a confermare la riflessione di Orson Welles “trascorrere il 95% del tempo a cercare soldi per fare film, il 5% a fare film. Così non si può vivere” mentre venerati maestri – Scorsese, Bertolucci, Coppola,Polanski etc – confessano tra peripezie finanziarie e poetiche il senso di un’esperienza amorosa – fare cinema lo è, per molti – spesso umiliante. Seduced and abandoned : Sicuramente non vedremo Ultimotango sul Tigri ma speriamo di ri-vedere questo incredibile documentario.
Dietro al candelabro ovvero dietro mise en scene mirabolanti non c’è solo lo stile di vita – in ogni direzione – eccessivo ma l’inevitabile fragilità di una coppia gay, lui pop star virtuosa del pianoforte e l’altro aspirante veterinario, negli anni 70, epoca in cui era improponibile dichiarare ai quattro venti la propria omosessualità e le morti per AIDS venivano spacciate con morti per anemia.Tutto sembra troppo in questo film trionfo del kitch gay classico ma niente stroppia nonostante il delirio di swaroski,piume, specchi, parrucche e ritocchi dal chirurgo plastico ovvero niente degenera nel ridicolo.Come possano Soderbergh, Douglas, Dammon aver compiuto il miracolo di non scadere nel grottesco è un mistero.Storia vera di Liberace, esordiente a vent’anni con la Chicago Symphony Orchestra, protagonista televisivo del The Liberace Show e successivamente idolo di spettacoli a Las Vegas.Film televisivo prodotto dalla HBO e in programma negli Stati Uniti tra qualche giorno.Nessun distributore italiano al momento.
La crisi (del cinema francese) ha tenuto banco negli articoli della vigilia assieme all’annuncio ufficiale dell’ ingresso in recessione del Paese e ad un primo bilancio della presidenza Hollande. A dire il vero, il cinema francese con i suoi numerosi film in sciovinistico dispiego tra competizione ufficiale,Quinzaine e Semaine sembra godere – insieme all’immancabile cinema americano – ottima salute.Sei film ai quali aggiungere coproduzioni e partecipazioni.Come se non bastasse qualcuno ha addirittura avuto il coraggio di lamentare l’assenza di Besson, Riad Sattouf e Tavernier .Quanto al festival, venti milioni di budget di cui dieci tra contributo statale e regionale, garantiscono buona organizzazione e perfetta tenuta – spari sui talk fronte mare e furti di parure milionarie sotto il naso della gendarmerie, compresi – Il resto lo fa una selezione di rassicuranti habitués – Soderbergh, Coppola, Polanski Coen Sorrentino – che però non rinunzia ad incursioni nei territori – tradizionalmente veneziani, ahia – del cinema asiatico,africano messicano.
Ma… sostiene Frémaux,fascinoso délégué genéral, che Cannes est un bien collectif – come l’acqua, il territorio e i monumenti? – ancorato alla propria storia e progettato per accogliere il nuovo, in cui ognuno può costruire anno dopo anno pietra dopo pietra il suo festival, et….c’est pourquoi ce festival est notre festival.(adoro queste omelie di presentazione)
Leo, le magnifique. Se l’è dovuta vedere con Warner Baxter, Alan Ladd e Robert Redford, miti pur sempre, anche se non propriamente indimenticabili nel rendere le mille implicazioni e sfumature di Jay Gatsby, emblema che più emblema non si potrebbe dei roaries twenties e del sogno americano : nascita ascesa e fine rovinosa, raccontata attraverso la vicenda di un romantico parvenu come da piuccheperfetto romanzo di Francis Scott Fitzgerald. E’ andata.Ma Leo è diventato talmente bravo che chi fa film con lui deve regolarsi : sceneggiatura, regia, musiche, costumi, su tutto domina e niente sembra mai all’altezza. Il grande Gatsby, classico blockbuster di rango per aperture di festival blasonati, non è piaciuto alla critica criticante nonostante Di Caprio e una certa lodevole e rispettosa ricerca filologica,non è piaciuto il fracasso e il gran dispiego di mezzi, non è piaciuta la soluzione peraltro indovinata di sostituire il jazz con l’hip hop affidando la colonna sonora a Jay-Z, e signora (Beyoncé) più Kanye West, will.i.am, Jack White, Fergie e Florence and The Machine.Una bella ibridazione garantisce dalla noia dell’ennesimo remake ma vallo a raccontare ai puristi e ai cultori dell’ambientamento.
Enfants gâtés, Jeunesse Brulée,problem kids etcetc Escludendo sociologie didascalie e ampi spiegoni sul percome un’adolescente parigina si prostituisca dopo aver fatto i compiti o una banda di ragazzini di Los Angeles s’introduca nelle ville di dive e divini per violarne la privacy appropriandosi degli oggetti più desiderabili, i film sull’adolescenza disperata e problematica hanno cambiato – fortunatamente per gli spettatori – faccia. Ergo si osservano col il dovuto distacco le imprese di questi ragazzini interpretati da attori belli bravi e cinegenici evitando di chiamare in causa famiglie anaffettive, consumismi e società dello spettacolo brutte cattive e colpevoli. Oltre le visioni non si va, non lo fa Coppola col suo Bling Ring ne’ Ozon con Jeune e Jolie. Volendo potrebbe farlo lo spettatore ovvero approfittando del suo status privilegiato godersi in entrambe le circostanze epiloghi inattesi.
Messico senza nuvole. E se a Parigi e Los Angeles attraversare la zona d’ombra è un’impresa più che mai disperante, figuriamoci a Guanajuato Messico dove Amat Escalante ambienta il suo Heli storia di Estela la dodicenne innamorata di un giovane poliziotto che accettando di nascondere il pacco di cocaina sequestrata,salvacondotto verso un futuro meno squallido e miserevole di quel che gli è toccato in sorte, destina se stessa e il proprio fidanzato ad un epilogo cruento.Tra polizia corrotta e malavita spietata finisce in ordalia di sangue e torture rese con insostenibile ma non gratuito realismo.
Trionfi la giustizia proletaria A Touch of SinQuattro episodi sanguinolenti con esplosioni di collera vendicatrice avverso neocapitalismo brutale che in Cina privatizza la miniera del villaggio, spinge a disperata immigrazione interna, introduce nefandezze quali prostituzione e corruttela. Quattro giustizieri di quattro regioni differenti reagiscono alla disgregazione e alle fratture sociali a colpi di arma da fuoco,pugnali e mazze da baseball.Girato da par suo da Jia Zhang-ke, tocco tarantiniano e tradizionale lentezza asiatica : un mix di estremo interesse
Arrivano i nostri. Aspettando La grande bellezza – che già si celebra con stelle e palle alla faccia dei divieti di scriverne prima della prémiere – alla Semaine de la critique ha esordito, dopo qualche anno di assenza del cinema italiano, Salvo il bel lavoro di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia. Salvo ha il gran pregio di raccontare in stile western una storia di amore e di mafia non convenzionale, di avvalersi di interpreti perfetti – Saleh Bakri eSara Serraiocco – e di avere Daniele Ciprì alla fotografia. Happy End non zuccheroso : l’amore riscatta e vince sulla violenza.Qualche volta.
Gran sorpresa Valeria Golino alla regia che porta nella sezione un Certain Regard – divenuta,non si sa se per caso o meno, il gineceo del festival – Miele, un film grossolanamente definito sull’eutanasia e che invece rivela un coraggioso punto di vista sul senso della vita.Facile appassionarsi al tema della buona morte per chi malato non ha più speranze.meno quando la morte viene invocata da chi, pur sano, della vita non sa più che farsene.Il cinema italiano ha certamente bisogno di finanziamenti ma soprattutto di coraggio.
Green carpet (Oh Marion, messaggio subliminale agli estimatori) Avvertono deliziose riviste francesi di gossip (ti raccontano che Steven Spielberg ha insistito per pagare da sé la suite al piano terra, per claustrofobia da ascensore, del Martinez , che mamma e papà Di Caprio se la spassano tra feste e banchetti etc) soggiorna all’l’Hôtel du Cap da giovedì scorso anche se il suo film (treeeeeeeès attendu) The immigrant ,è in programma per venerdì prossimo, per presenziare ad iniziative sul consumo più responsabile – Green Carpet Challenge si chiama la tornata di feste per celebrare la produzione di vestiti scarpe e borsette che saranno pure sostenibili dal punto di vista ecologico ma non sempre da quello estetico – organizzata dal gioielliere Chopard e ad un défilé Dior a Monaco.(daje con lo sponsor)
Wet carpet. Piove (come al solito) e fa un freddo manco fosse il Sundance. E tutti a lamentarsi del meteo e del branzino che era meglio l’anno scorso…
Continua….
(nell’illustrazione il Carlton incartato quest’anno dalla pubblicità del grande Gatsby con notevole avventore en déshabillé à la fenêtre)
( si, lo so che è presto per aprire il tag ma tanto per ingannare il tempo con qualcosa di lieto)
L’affiche in questione è quella di Cannes 2013 che rende omaggio all’inossidabile sodalizio artistico – coniugal – etero – amoroso tra Joanne Woodward e Paul Newman qui ritratti durante le riprese del film di Melville Shavelson Anew kind of love ( da noi diventò Il mio amore con Samantha ).
Sfondo cinetico a cura dell’agenzia parigina Bronxpour faire tourner les têtes attraverso l’illusione del movimento circolare che rafforza l’effetto cinematografico e ricorda, secondo i romantici curatori del sito ufficiale di Cannes 2013 , le tourbillon de l’amour, mentre la vision de ces deux amoureux pris de vertige et perdant tout repère appelle à vivre le cinéma comme un désir sans fin (i francesi, si sa).
Svelato ogni mistero sull’affiche, resterebbe aperto il caso del calzino corto. Ovvero di come un indumento altrimenti raccapricciante possa passare inosservato se chi lo indossa è un maschio bello, bravo e sexy (il sussulto ormonale,si sa).
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