Sfogliato da
Categoria: Cannes 2011

Diciassette (senza più censura)

Diciassette (senza più censura)

 

 

 

Oltrepassare indenni  la linea d’ombra può, per  le 17 filles della Semaine de la Critique di Cannes e di Torino filmfestival,  essere impegnativo ma non tanto quanto  è stato superare l’esame della commissione di censura che ne aveva, in un primo momento, vietato la visione ai minori di 14 anni con il pretesto del classico spinello – marginale ed irrilevante, in una storia di liceali – possibile corruttore di adolescenti.

In realtà i motivi erano i soliti : l’identificazione con i modelli proposti avrebbe potuto ispirare determinati comportamenti in ragazze troppo giovani.Istigazione alla gravidanza insomma.Ridicolo.Come fu ridicolo, in altre circostanze,  credere che storie di  terrorismo, malavita o altro potessero indurre gli spettatori di qualsiasi età  a costituire bande armate appena usciti dalla sala.

 

Fortunatamente per noi, un po’ l’indignazione generale, un po’ la discesa in campo del fronte laico cinematografico anti-abortista – si riconoscono per l’abuso di due aggettivi : fresco e allegro – già attivissimo nella celebrazione di lavori che mostrano la scelta dell’aborto per quel che è – sempre dolorosa,sempre difficile –  ha indotto la commissione a togliere il divieto.

 

In realtà la vicenda di queste diciassette adolescenti  di Lorient che decidono di darsi un progetto di vita in un contesto che quanto a prospettive offre quasi niente, mostra semplicemente che l’autodeterminazione  non ha colori,  facce, paradigmi. Ergo: queste ragazze fresche e allegre – ma si può?- sono giovani donne che hanno compiuto una scelta assumendosene le ricadute.Laddove è apprezzabile non tanto la scelta di per sé ma la libertà di scegliere.

 

Storia – realmente accaduta negli Stati Uniti – di diciassette ragazze che fecero l’impresa  decidendo di rimanere incinte e di crescere i propri bambini tutte insieme. E soprattutto  di quanto può accadere nel momento in cui, una simile determinazione cogliendo in contropiede un ambiente sostanzialmente immobile, rende tutto e tutti inadeguati : genitori,insegnanti sociologi e immancabile televisione che realizza  l’inchiesta.

 

Voce narrante – di una coetanea  che non ha seguito le altre – a rendere il tutto con il giusto distacco ma macchine da presa curiose e indiscrete nell’annotazione puntuale dei particolari : si filmano gli ambienti ma anche i corpi che cambiano in un flusso e riflusso continuo che racconta la dinamica del gruppo con esattezza.

Epilogo congruo e malinconico q.b dato il tentativo di costruire un’utopia collettiva con i mezzi che si hanno a disposizione.Bella prova delle esordienti sorelle Coulin alla regia.Giovani attrici bravissime a coronare degnamente  il tutto.

 

 

 

17 ragazze (17 filles) del 2011, diretto daDelphine CoulinMuriel Coulin e interpretato da Louise Grinberg,Juliette DarcheRoxane DuranEsther GarrelYara Pilartz,Solène RigotNoémie LvovskyFlorence Thomassin. Francia 2011 Distributore Teodora

Zitto zitto….(ma il primo attore è un cane)

Zitto zitto….(ma il primo attore è un cane)

Pare che la voce di John Gilbert,  alterata  da primitive tecniche di registrazione, si adattasse più a Topolino che al capitano Kovacs, allo stesso modo, la calata tipicamente popolare di Brooklyn, stroncò la carriera a Constance Talmadge,  specializzata in ruoli da lady più o meno sophisticated ma, in ogni caso, residente all’altro capo del Ponte.


Negli incubi più riusciti di qualunque divo del muto, il cinema si metteva a parlare e le platee ammutolivano. Ce lo racconta  l’aura tragica di Norma Desmond  o con toni meno melodrammatici, la trasformazione che Don e Cosmo infliggono ad  un tal Cavalier che, in omaggio al nuovo corso, da dueling dovette diventare dancing .


l passaggio dal muto al sonoro, in effetti, non fu indolore, né mancarono polemiche e celebri  impuntature – mai e poi mai! –  con premonizioni di prossima fine dell’Arte (a vantaggio di quello che oggi si chiama mercato e allora più elegantemente  profitto). Il cinema muto, all’epoca tutt’altro che declinante, sfornava capolavori del tipo  La Foule, The Enemy, Sunrise: A Song of Two Humans o The Docks of New York e sembrava non aver bisogno di particolari cambiamenti. Men che meno di una rivoluzione.



Tutto questo e molto altro ancora racconta The Artist, arrivato a Cannes –  ultimo minuto di una selezione piuttosto ricca dell’infaticabile Frémaux – a mostrarci come un’ idea originale che generi un prodotto di buona fattura,  possa mettere d’accordo tutti : critica – ovviamente non quella più intransigente che pretendeva maggior rispetto filologico (ma erano due o forse tre) – pubblico, e – col senno di adesso –  selezionatori all’Oscar .


Dunque un film di felice intrattenimento, realizzato come noi immaginiamo dovesse essere un film muto (Murnau non può tornare,impossibile riproporne lo stile, facciamocene una ragione magari organizzando sontuose rassegne in suo onore), in bianco e nero, con lieve accelerazione delle immagini, recitazione intensa e a tratti vagamente gigionesca  a raccontare una storia romantica e commovente, irta di situazioni,  gags, peripezie e sventati (dal cane Uggie , premiato con apposita palma d’oro per la categoria Dog) suicidi, nonché smagliante lieto fine.


Cosa desiderare di più alla soglia della Grande Depressione ( la loro, la nostra) se non di seguire passo passo la vicenda di un divo caparbiamente ostile al nuovo che avanza, di una starlette in rapida ascesa – e mentre sale lei, precipita lui, sì anche questo è risaputo – di un divertente cagnolino che ne ricorda molti altri d’epoca,  godendoci il tip tap forse imperfetto ma scatenato e coinvolgente con l’aggiunta di un bellissimo cameo di Malcom Mc Dowell ?


Il film è valsa la palma (a sorpresa) del miglior attore a Jean Dujardin , bravo lui e proficuo il sodalizio con l’impronunziabile regista  Michel Hazanavicius, già sperimentato nella brillante serie OSS 117,l’antiBond francese.Come dire : la parodia nel DNA.

(Il copione parlato consta di un’ unica battuta, fatta di un unica parola. Che poi è anche l’unica che conti : Action!


The Artist è un film in bianco e nero di genere romantico della durata di 100 min. diretto da Michel Hazanavicius e interpretato da Jean DujardinBérénice BejoJohn GoodmanJames Cromwell,Penelope Ann MillerMissi PyleMalcolm McDowellBeth Grant,Joel Murray, Beau Nelson.
Prodotto nel 2011 in Francia – uscita originale: 12 ottobre 2011 (Fr
ancia) – e distribuito in Italia da Bim Distribuzione .

Passa la bellezza (che non è tutto)

Passa la bellezza (che non è tutto)

Von Triers  –  più promo che provo – diventò  persona non grata per il cumulo di sciocchezze rilasciate alla conferenza stampa di Melancholia. Tuttavia  Cannes che, per dirla con Lelouch, è festival delle opere e non dei registi, ha mantenuto il film  in gara e così il premio della migliore attrice se l’è potuto aggiudicare Kirsten Dunst, brava e credibile nel ruolo della sposa in bianco, isterica q.b. e maniaco depressiva come non mai (unica  possibile rivale in materia di palme e nevrosi  avrebbe potuto essere  Tilda Swinton, mamma del giovane assassino in We need to talk about Kevin).


A seguire,in parziale ossequio all’esprit du temps, ovvero alle tematiche care al Concorso –  pedofilia, prostituzione, infanzia abbandonata, mamme cattive e padri padroni – seppur con toni meno disperanti, la palma del miglior film se l’è portata a casa  il demiurgico ed imprendibile ( c’è, non c’è, è nascosto tra il pubblico) Terrence Malick con il suo The Tree of life,film atteso già l’anno scorso a Cannes – e su cui sperava anche Venezia – infine giunto sulla Côte , tagliuzzato e rimaneggiato cento volte da un esercito di montatori.(ne ha fatto,le spese Sean Penn che s’è visto ridurre la parte)


Così nel momento in cui i criteri di attribuzione dei premi sfuggono tanto vistosamente, un minimo di  monday morning  quarterbaking, diventa d’obbligo.


La bellezza formale – elemento che con differenti esiti riguarda anche Bonello con l’ignorato Apollonide e i Dardenne premiati con le Gamin au vélo –  ovvero l’ossessione estetizzante sembrerebbe aver dominato le scelte. Come metro sarebbe ineccepibile, ma allora Von Triers – nazi o non nazi – avrebbe meritato la Palma.


Quanto al miglior attore, cosa avrà mai avuto  lo strabuzzante Jean Dujardin protagonista di The Artist più di Piccoli di Penn o di Brad Pitt?


Tutto farebbe pensare ad un gruppo di giurati in disaccordo e ad una sorta di mediazione al ribasso.Peccato perché l’edizione 64 sarà ricordata per la presenza, in gran numero, di bei film tra Concorso e sezioni minori  (Le nevi del Kilimangiaro di Guédiguian,  Le Havre di Aki Kaurismaki, Pater di Alain Cavalier, Hara-kiri di Takakashi Miike)



Da ultimo nessun riconoscimento  per Moretti –  vendite all’estero, a parte – Rohrwacher  e Sorrentino, autori dei film più originali. E’ andata dunque come sempre o quasi :  con la solita palma alla carriera, tardiva quanto risarcitoria. E’ toccata quest’anno a Bernardo Bertolucci che l’ha girata agl’italiani resistenti ( seppur  esausti).


Une autre affiche ?

Une autre affiche ?

L’effetto cartolina c’è, ma era nel conto. Vale per Parigi come è stato per Barcellona, Londra, Venezia e New York . Si sa che delle città che ama, Allen idealizzerebbe, se lo dovesse mostrare,  anche il degrado. Ergo :  a quel molestatore di Robert Guédiguian, che  ieri l’altro si domandava –  ..à quoi pense Allen quand il regarde notre beau pays : Est-ce qu’il pense aux smicards français ? Aux chômeurs français ? – si potrebbe rispondere che salari minimi e disoccupati oramai non caratterizzano alcun luogo (essendo ovunque) né la loro presenza allontana il rischio di altre cartoline. E poi lo scontato, il risaputo, nel caso di Midnight in Paris  si ferma all’ Americano a Parigi, il resto non è certo quel che si direbbe un film prevedibile.



E dire che di materiale a rischio ce n’era parecchio tra nostalgie  dell’ âge d’or – gli anni venti – nella ville lumière, gomito a gomito con i miti dello sceneggiatore – malgré soi –  industriale (e, come ti sbagli, desideroso di scrivere romanzi) e cioè : i redivivi Francis Scott Fitzgerald (con delirante signora), Salvador Dalì,  Ernest Hemingway, Gertrude Stein, Pablo Picasso e, immancabilmente, Cole Porter. Invece Allen maneggia ogni santino, smonta ogni cliché del presente e del passato , con delicatezza ed ironia irresistibili. Del giro artistico è  persino un giovanissimo e sbalordito  Buñuel cui suggerire un passaggio de l’Ange exterminateur.Esilarante.




Dunque si ride (e questo senza che  smicard e schômeurs français abbiano ragione di aversene a male per la mancata citazione) mentre è ricorrente il tema del passato che a torto si idealizza (alibi o fuga, non importa). Meglio vivere il presente, raccomanda Allen, meglio crescere.

Non a caso, sempre a proposito di presente, Allen dimostra di avere le idee chiarissime quando  a gentile domanda sulla situazione politica italiana, risponde educatamente  che Italia e Francia sembrano paesi governati dai fratelli Marx. Che dire di più? ( Chissà Carla)



Midnight in Paris è un film di Woody Allen del 2011, con Owen Wilson,Marion CotillardRachel McAdamsCarla BruniKathy BatesMichael Sheen,Léa SeydouxKurt FullerGad ElmalehMimi Kennedy. Prodotto in USA. Durata: 100 minuti. Distribuito in Italia da Medusa