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Categoria: La fabbrica del cinema

Don’t clean up…

Don’t clean up…

 

La più grave sospensione dei diritti della storia repubblicana, secondo Amnesty, si consumò nelle strade di Genova durante il G8 del 2001.  I fatti documentati da numerose troupe televisive,cinematografiche – Maselli, Scola, Monicelli, Pontecorvo, Pietrangeli, R.Tognazzi, Salvatores F.Comencini, Labate   ed altri – e dalle telecamere digitali di parecchi manifestanti, sono noti, poiché di quel girato non solo si  fecero film documentari, reportage visti in tutto il mondo ma parte di esso costituì materiale per le indagini e prove nei processi che seguirono.

 

 

L’inaudita gestione dell’ordine pubblico,la violenza gratuita ed i soprusi che caratterizzarono quelle giornate culminarono nella notte tra 21  e il   22 con l’irruzione da parte di reparti di polizia nella scuola Diaz,uno dei luoghi di raduno degli aderenti al Social Forum.Qui avvenne l’incredibile : persone inermi colte nel sonno e malmenate brutalmente furono prelevate a forza e tradotte nella caserma di Bolzaneto dove nei giorni successivi continuò lo scempio senza che nessuno,famiglie avvocati, deputati della repubblica potessero qualcosa per impedire gli abusi.

 

 

Vicari racconta questi episodi  in cui  rappresentanti dello Stato e tutori dell’ordine raggiunsero  livelli di sadismo inimmaginabili e lo fa ponendosi alla giusta distanza attraverso un’operazione filologica accurata che tiene conto delle carte processuali e pur senza costruire particolari teoremi non smette mai d’interrogarsi e di interrogare gli spettatori. Mostrare e non dimostrare è uno dei tratti del cinema maturo,laddove sono sufficienti le sequenze delle forze dell’ordine che introducono molotov nella scuola per capire che senso avesse l’intera operazione.

 

 

Un film duro e necessario che seppure lascia fuori campo quel che accadde nelle strade, di quei giorni è in grado di trasmettere il senso d’insicurezza dato dallo stravolgimento dei ruoli :  poliziotti che dovrebbero garantire il diritto di chi manifesta pacificamente che invece ne compromettono l’incolumità attraverso un’infame strategia esito di addestramenti irresponsabili.Ovvio che un simile racconto dovesse generare polemiche vuoi per quello che secondo alcuni testimoni manca vuoi per il momento di autocoscienza che il racconto regala al poliziotto interpretato da Santamaria.Gli amanti dei buoni tutti qua e i cattivi tutti là,sono sempre in agguato.

 

 

Così Agnoletto del Social Forum e Maccari del Coisp si sono subito lamentati. Secondo il primo Diaz è un’operazione commerciale piena di colpevoli omissioni – segue elenco dettagliato – e per il secondo il film è addirittura pericoloso rischiando la visione di fomentare nuove violenze. La solita zuppa,insomma, è servita.

 

Leggendo articolo e comunicato mi sono venuti in mente  film – politici e non – che non si preoccupano di trattare minuziosamente i fatti ma ne riescono egualmente a trasmettere il senso in modo così compiuto che i singoli episodi diventano elementi marginali anche quando non lo sono del tutto.E – so anche perchè – ho pensato a Gillo Pontecorvo che in quei giorni era in strada con Arriflex e operatore a documentare l’ultima battaglia.

 

 

 

Diaz (Diaz – Don’t Clean Up This Blood) è un film a colori di genere drammatico della durata di 120 min. diretto da Daniele Vicari e interpretato da Claudio SantamariaJennifer UlrichElio Germano,David JacopiniRalph AmoussouFabrizio RangioneRenato ScarpaMattia SbragiaAntonio GerardiPaolo Calabresi.
E’ anche noto con gli altri titoli “Diaz – Non pulire questo sangue”.
Prodotto nel 2012 in Italia e distribuito in Italia da Fandango

La meglio verità

La meglio verità

 

 

La rassegna stampa di Romanzo di una strage è un mucchietto di fogli alto giusto giusto dieci centimetri,  vi sono contenuti lunghi articoli di critici, intellettuali, storici,testimoni di quel tempo.Ma si parla pochissimo di cinema.

E pur nella dichiarata consapevolezza da parte di ciascuno dei limiti  di un film che in quanto fiction  – differentemente  dal saggio o dal documentario – non fonda  strettamente il proprio valore artistico sulla  tesi che ha scelto d’interpretare (e non di ricostruire),la volontà di confutarne sistematicamente l’attendibilità sembra più forte di qualunque altra considerazione.

 

Segno evidente che dopo oltre quarant’anni, cinque istruttorie, dieci processi, l’apposizione del segreto militare,cinquecentomila documenti archiviati, una sentenza del 2005 che riconosce colpevoli ma non più processabili  i fascisti Freda e Ventura (perché precedentemente assolti in via definitiva) e infine la vergogna dei parenti delle vittime condannati al pagamento delle spese processuali, quel buco là sopra rappresenta uno strappo che nessuna verità processuale è stata in grado di sanare.

 

Piazza Fontana – 12 dicembre 1969 ore 16,37 – la verità esiste, recita la tagline

 

La verità esiste e noi non possiamo più dire io so ma non ho le prove.Per questo ci sono intollerabili talune  riproposizioni : dalla tesi degli opposti estremismi per il tramite della doppia bomba, a quella dell’adombrata implicazione di Pietro Valpreda, fino al fatto che  Giuseppe Pinelli fosse a conoscenza del piano eversivo.Non si può fare a meno, mentre scorrono quelle  immagini, di pensare ai depistaggi, alle sofferenze, al tempo perduto,alla volontà precisa degli uomini dello Stato di non arrivare mai alla verità. Intollerabile lo ripeto. Anche se ben sappiamo che tutto ciò viene raccontato in un romanzo.

 

 

E in chiave di romanzo, forse l’unica forma narrativa che può sopportare una materia tanto dolorosa e cospicua,il film può funzionare e sin assolvere la sua funzione civile che, nel caso, non è raccontare la meglio verità ma provocare utili riflessioni. Ciò che in effetti sta accadendo.

 

La sceneggiatura concerne il tempo che va dal pomeriggio dell’esplosione alla banca fino all’omicidio del commissario Calabresi,  anni percepiti  come disgraziato prologo di quelli  che seguiranno. Filo conduttore : i destini incrociati di tre personaggi, tre vittime oltre le diciassette dell’esplosione : Calabresi, Pinelli e Aldo Moro. Il tutto realizzato con la coerenza e il mestiere che contraddistinguono regista e sceneggiatori in una trama fittissima  che si avvale di attori di gran talento.

 

In tutto questo va precisato con chiarezza che  per quante omissioni, (forse) rimozioni e storture non possiamo fare a meno di registrare,nulla delle vere responsabilità è taciuto : dai neonazisti veneti coperti e manovrati dai Servizi,alle connivenze USA, al tentativo di golpe,il tutto a determinare un contesto storico,sotto questo aspetto, preciso.Il taglio statalistico della strage emerge in tutta la sua tragedia.

 

 

 

Non so se questo film sarà in grado di portare a conoscenza dei fatti  i giovani cui Marco Tullio Giordana sembra destinare il suo lavoro. Forse se si esce dall’idea di una trattazione sistematica – pur necessaria – e ci si sposta su quanto da stimolo possa funzionare un film che attraverso le immagini parla all’inconscio assai più delle parole, ci si accorgerà che l’interesse suscitato è più consistente di quanto possa sembrare.Per parte nostra, qualunque siano le tesi insinuate, sostenute, adombrate, conclamate da film presenti e futuri sulla Strage continueremo a sostenere l’unica Verità che conti e cioè che senz’ombra di dubbio, Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli erano innocenti.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Romanzo di una strage è un film a colori di genere drammatico della durata di 129 min. diretto da Marco Tullio Giordana e interpretato daValerio MastandreaPierfrancesco FavinoMichela Cescon,Laura ChiattiFabrizio GifuniLuigi Lo CascioGiorgio Colangeli,Omero AntonuttiThomas TrabacchiGiorgio Tirabassi.

Prodotto nel 2012 in Italia e distribuito in Italia da 01 Distribution

Diciassette (senza più censura)

Diciassette (senza più censura)

 

 

 

Oltrepassare indenni  la linea d’ombra può, per  le 17 filles della Semaine de la Critique di Cannes e di Torino filmfestival,  essere impegnativo ma non tanto quanto  è stato superare l’esame della commissione di censura che ne aveva, in un primo momento, vietato la visione ai minori di 14 anni con il pretesto del classico spinello – marginale ed irrilevante, in una storia di liceali – possibile corruttore di adolescenti.

In realtà i motivi erano i soliti : l’identificazione con i modelli proposti avrebbe potuto ispirare determinati comportamenti in ragazze troppo giovani.Istigazione alla gravidanza insomma.Ridicolo.Come fu ridicolo, in altre circostanze,  credere che storie di  terrorismo, malavita o altro potessero indurre gli spettatori di qualsiasi età  a costituire bande armate appena usciti dalla sala.

 

Fortunatamente per noi, un po’ l’indignazione generale, un po’ la discesa in campo del fronte laico cinematografico anti-abortista – si riconoscono per l’abuso di due aggettivi : fresco e allegro – già attivissimo nella celebrazione di lavori che mostrano la scelta dell’aborto per quel che è – sempre dolorosa,sempre difficile –  ha indotto la commissione a togliere il divieto.

 

In realtà la vicenda di queste diciassette adolescenti  di Lorient che decidono di darsi un progetto di vita in un contesto che quanto a prospettive offre quasi niente, mostra semplicemente che l’autodeterminazione  non ha colori,  facce, paradigmi. Ergo: queste ragazze fresche e allegre – ma si può?- sono giovani donne che hanno compiuto una scelta assumendosene le ricadute.Laddove è apprezzabile non tanto la scelta di per sé ma la libertà di scegliere.

 

Storia – realmente accaduta negli Stati Uniti – di diciassette ragazze che fecero l’impresa  decidendo di rimanere incinte e di crescere i propri bambini tutte insieme. E soprattutto  di quanto può accadere nel momento in cui, una simile determinazione cogliendo in contropiede un ambiente sostanzialmente immobile, rende tutto e tutti inadeguati : genitori,insegnanti sociologi e immancabile televisione che realizza  l’inchiesta.

 

Voce narrante – di una coetanea  che non ha seguito le altre – a rendere il tutto con il giusto distacco ma macchine da presa curiose e indiscrete nell’annotazione puntuale dei particolari : si filmano gli ambienti ma anche i corpi che cambiano in un flusso e riflusso continuo che racconta la dinamica del gruppo con esattezza.

Epilogo congruo e malinconico q.b dato il tentativo di costruire un’utopia collettiva con i mezzi che si hanno a disposizione.Bella prova delle esordienti sorelle Coulin alla regia.Giovani attrici bravissime a coronare degnamente  il tutto.

 

 

 

17 ragazze (17 filles) del 2011, diretto daDelphine CoulinMuriel Coulin e interpretato da Louise Grinberg,Juliette DarcheRoxane DuranEsther GarrelYara Pilartz,Solène RigotNoémie LvovskyFlorence Thomassin. Francia 2011 Distributore Teodora

Sometimes in order to heal… a few people have to get hurt.

Sometimes in order to heal… a few people have to get hurt.

…o a scelta Everyone gets old. Not everyone grows up, vedete voi.

 

Ritorno a casa – scopo impossibile riappropriazione di un passato da it girl del liceo – di Mavis Gary, autrice, sotto mentite spoglie (e prossimamente disoccupata), di romanzi per adolescenti,  collezionista di numerosi disastri, detestabilmente convinta che nella sicura riconquista del fidanzato di allora – oramai accasato e padre felice – risieda un recupero di serenità.


 

Continua, dopo Bridesmaids e The bad teacher, la – peraltro molto istruttiva –  saga cinematografica delle ragazze con le idee confuse che tra depressione, pratiche autodistruttive e rifiuto di crescere, vivono un rapporto alterato con la realtà. Donne quindi, che provvedono a farsi del male senz’altro contributo che il proprio e malconce al punto di ritenere la sofferenza che ne deriva, indispensabile in un percorso di pretesa guarigione.E poichè senza presa d’atto di se stesse e dello stato delle cose, non c’è riscatto possibile,ulteriormente destinate ad un prosieguo di malessere.

 

A  Jason Reitman  e a Diablo Cody,  rispettivamente regista e sceneggiatrice di questo Young Adult – oltre che del diversissimo Juno –  non mancava che l’incontro con Charlize Theron, maniacale interprete della classica  stronza psicotica e puttana – come viene definita Mavis dalle amiche di allora, astiose e non meno stronze –  alle prese con l’ennesimo disastro.Tutti e tre perfetti nel trasformare un personaggio e una vicenda di per sé insopportabili in un racconto tragicomico di sorprendente efficacia.

 


 

 

Young Adult è un film a colori di genere commedia, drammatico della durata di 94 min. diretto da Jason Reitman e interpretato da Charlize TheronPatton OswaltPatrick WilsonElizabeth ReaserCollette WolfeJill EikenberryRichard BekinsMary Beth HurtKate NowlinJenny Dare Paulin.
Prodotto nel 2011 in USA – uscita originale: 16 dicembre 2011 (USA) – e distribuito in Italia da Universal Pictures il giorno 09 marzo 2012.

Ah Tao,domestica in Hong Kong

Ah Tao,domestica in Hong Kong

 

 

 

 

Una vita trascorsa a prendersi cura degli altri forse è meno semplice di quanto il titolo voglia dare ad intendere,anche se  meticolosità, leggerezza, ritualità ed eleganza dei gesti quotidiani, non parlano mai della inevitabile fatica di servire in casa, crescendo più generazioni di una stessa famiglia.

 

L’arco di tempo passato al servizio dei Lee è quasi pari a quello dell’esistenza dell’ anziana domestica Tao ma qui se ne racconta solo l’epilogo, esaltando i valori di fedeltà, abnegazione,riconoscenza e solidarietà : un patrimonio troppo importante per non essere trasmesso alle persone che ha accudito.

 

A riannodare la trama di un passato cui soltanto si accenna ed un presente melanconico di vecchiaia e malattia, provvedono  in egual misura  il talento della regista Ann  Nui  e le capacità dell’interprete principale Deanie Ip  che attraverso uno stile asciutto essenziale e una recitazione che toglie piuttosto che  aggiungere riescono a rendere la vicenda con i toni commossi che le sono congeniali senza,però,mai  scadere mai nel sentimentalismo .

Resta inteso che insieme alla storia della dignitosa domestica costretta dall’età e dai malanni in una casa di riposo, ci vengono mostrati i tratti inequivocabili di un mondo che cambia e sembra del tutto incomunicabile con la compostezza di chi è abituato a rendersi utile per un senso del dovere che, scopriremo, è più prossimo a sentimenti articolati e profondi di quanto non lo sia il semplice servire

 

Siano lodati i festival – Venezia, nel caso – per lo spazio offerto alla cinematografia asiatica la cui visione accorcia le distanze tra un mondo e l’altro e sfata preconcetti. Coppa Volpi, alla protagonista Deannie Yip, irriconoscibile al momento della premiazione per i suoi lunghi e sofisticati guanti di pelle nera ma che di Tao conserva tutta l’aristocratica capacità di stare al mondo delle persone generose e riconoscenti.

 

 

 

A Simple Life (Tao Jie) del 2011, diretto daAnn Hui e interpretato da Andy LauDeannie YipQin HailuWang FuliEman LamAnthony Wong Chau-SangHui Bik KeeHui So Ying.