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Categoria: La fabbrica del cinema

All day and all of the night

All day and all of the night

Richard Curtis brillante sceneggiatore di Quattro matrimoni ed un funerale e di Notting Hill, nonchè regista di Love Actually, mette mano a questo The Boat that rocked – da noi I love Radio Rock –  con la verve consueta ed un discreto talento per il racconto corale metropolitano. Dunque Londra, amatissima – e si vede –  città  che abilmente piazza sullo sfondo di tutte le sue storie, rendendone la presenza, elemento indispensabile allo svolgimento.

Non è di cup of tea, ne’ di torri dell’orologio, ne’ di cambi della guardia che si tratta, piuttosto del saper cogliere in alcuni elementi della quotidianità,  strade qualsiasi o portoncini colorati o ringhiere o panchine o bricchi o barattoli di marmellata, i tratti inequivocabili del carattere londinese. Questo film è girato prevalentamente su di una nave, quantunque ogni tanto  sbarchi a terra e si trasferisca in città, ma più acutamente  londinese di così non potrebbe essere.

Siamo nel 1966,  negli anni ruggenti del pop britannico governati dal cipiglio odioso dei conservatori di stampo reazionario. Età dell’oro del motown, di Martha and the Vandellas, dei Kinks e dei Procol Harum che la BBC trasmetteva un paio d’ore a settimana, mentre una pletora di emittenti allestite su pescherecci incrociava  al largo del Mare del Nord, ad una distanza tale da non incorrere nelle sanzioni che la severa legge inglese imponeva ai trasgressori di orari e concessioni.

Maghi delle frequenze in Fm e folli dj  governavano questi vascelli pirata a bordo dei quali per i venticinque milioni e passa di ascoltatori, le trasmissioni non finivano mai.

Antesignana della flotta che ne seguì l’esempio in tempi rapidissimi,fu Radio Caroline scatenata, libertaria e pazzesca emittente di cui questo film racconta le vicissitudini .

 Perseguitata dal feroce “MinistrotuttounprogrammaKenneth Branagh – We have their testicles in our hands, Twatt, and it feels good – e teatro di esperienze di vita in comune – tutti uomini più una cuoca, ma non mancano visitatrici e visitatori ad animare il già delirante ménage – iniziazioni ed educazioni sentimentali, celebrazioni nuziali tra goliardia e voglia di inventarsi il futuro,  la nave fila liscia come il film mentre di tutto quanto accade, la musica segna puntualmente  il ritmo .

Quaranta sono i brani della colonna sonora ruffiana e tutta protesa ad una inevitabile operazione nostalgia da I can see for miles  a Eleonore dei Turtles a Stay with me baby di Duffy a Dancing in the street a Nights in white satin dei Moody Blues.

Tutta roba, per chi scrive, da scuola elementare, infanzia o giù di lì,  ma non per questo meno evocativa, della gran meraviglia che suscitava l’ascolto di quella musica, così diversa da tutte le altre, così sovvertitrice di ordini, usi e rapporti. E di una città, in cui attualmente magari si incontrano le stesse facce che trovi sotto casa, ma che allora era decisamente un altro mondo.


The Boat That Rocked è un film di Richard Curtis. Con Philip Seymour Hoffman, Bill Nighy, Rhys Ifans, Nick Frost, Kenneth Branagh, Tom Sturridge, Chris O’Dowd, Rhys Darby, Katherine Parkinson, Talulah Riley, Ralph Brown, Sinead Matthews, Emma Thompson, Gemma Arterton, January Jones, Tom Wisdom, Jack Davenport. Genere Commedia, colore 135 minuti. – Produzione Gran Bretagna, Germania 2009. – Distribuzione Universal Pictures

Like a directress

Like a directress

Che Madonna potesse avere un talento innato per la regia, come racconta in diverse interviste  Eugene Hütz, mitragliante leader della Gogol Bordello, band esercente con profitto il genere gipsy, qualcuno dice rock, qualcuno dice punk e interprete del film Filth and Wisdom , non si fa fatica a crederlo. Basterebbe guardare le sue clip e le inverosimili  mise en scène dei suoi concerti, per capire come Louise Veronica Ciccone abbia un’ attitudine particolare per qualsiasi forma di spettacolo

E per il cinema. Attrice intensa da Cercasi Susan disperatamente a – soprattutto ! – Evita – a Sai che c’è di nuovo, annovera tra le sue performances, un unico scivolone, quando insieme all’ex marito s’è messa in testa il remake di Travolti da un insolito destino, film bruttarello già di partenza e come se non bastasse, d’impossibile rifacimento  con storia e personaggi troppo local  per essere esportati altrove.

Era dunque nelle cose che lei, diva fin nel midollo, manager accorta di se stessa, ma soprattutto artista incantevole e pignola,  qualsiasi cosa faccia – cantare, ballare, scrivere, recitare, adottare bambini africani – mettesse a profitto tutti questi talenti messi insieme e si cimentasse nella regia.

Presentato ad una Berlinale delirante, passato per Torino film festival e distribuito dalla Sacher, Filth and Wisdom arriva nelle sale italiane accompagnato dal bollino di qualità di Nanni Moretti. E già non è poco.

A seguire, intorno al film che nel frattempo è divenuto Sacro e Profano si sono addensati pareri contrastanti e prevedibili  malignità. Sorvoliamo. La verità è che quest’operina  è davvero bella ed eccentrica, percorsa da divertente ironia, con tocchi  delicati pur nel contesto spericolato ed irriverente.

Madonna insomma  ce la mette tutta,  riuscendo nell’impresa di tenere a bada certe sue tendenze artistiche al troppo che stroppia  – il troppo Kitch, il troppo pop, la provocazione troppo facile e l’inveterata abitudine al marketing – concedendosi la libertà di un lavoro dal taglio indipendente, molto concentrato su di una storia movimentata ed infine romantica :

    Tre personaggi alle prese con le proprie aspirazioni nella Londra  del degrado suburbano, il loro sbarcare il lunario in settori diametralmente opposti a quelli ambiti, senza però lasciarsi sfiorare da qualsivoglia angoscia da abbrutimento – e dico poco –   sottooccupazionale e se tristezza talvolta affiora , appartiene al passato di ognuno, mai al presente. 

Uno canta in un gruppo Underground, ma si mantiene prostituendosi, percuote col frustino clienti masochisti, fingendosi un cavaliere o giocando alla scuola,  un’altra studia danza classica ma lavora in un locale di lap dance e un’altra ancora, vorrebbe andare volontaria in Africa e invece le toccano una farmacia e le avances del proprietario indiano, infelicemente sposato  e con tanto di invadente tribù al seguito.

Insieme condividono un appartamento che ha come vicino di casa un poeta cieco innamorato di AK il fustigatore che non trova di meglio da fare che sottrargli versi per metterci su le sue musiche.

Sacro e profano dunque, come in ogni esistenza ovvero come le facce di un’ unica medaglia. Qui però pur nell’apparente discesa agl’inferi, primeggiano sensibilità, allegria e pulizia interiore, com’è di chi ha sogni e combatte perchè ci crede.

Onore al merito di Eugene Hütz, faccia da schiaffi (anzi da cinema), grido di battaglia Think globally fuck locally – come lo scriverei volentieri sui muri – delle sue doti di attore della sua colonna sonora e della sua versione di Isla Bonita (canzone del cuore, ebbene sì)

Sacro e profano è un film di Madonna. Con Eugene Hutz, Holly Weston, Vicky McClure, Richard E. Grant, Inder Manocha, Elliot Levey, Francesca Kingdon, Clare Wilkie, Olegar Fedoro, Ade, Elena Buda, Stephen Graham. Genere Commedia, colore 80 minuti. – Produzione Gran Bretagna 2007. – Distribuzione Sacher

Das Weiße Band

Das Weiße Band

Non ci sarebbe niente di male se fosse vero, come del resto sembrerebbe,  che i premi assegnati a Cannes 2009, portano il forte imprinting Huppert. I presidenti, in definitiva si nominano appositamente perchè si assumano responsabilità e non per coordinare un lavoro con spirito esclusivamente notarile. ( chi prossimamente, in sede di selezione o in giuria, dovesse ritenere inelegante il dover difendere gl’interessi delle opere d’arte del proprio paese, impari la lezione Huppert)

Meno bene però è andata quando per spiegare il senso di una scelta evidentemente non assunta all’unanimità,  la stessa Huppert ha sostenuto  che Michael Haneke, come tutti i grandi artisti, o lo si ama o lo si detesta. Sciocchezza colossale, ci sono opere, è vero, che suscitano sentimenti contrastanti ma senza che questo sia di per sè un inequivocaile sintomo di grande qualità artistica. Mentre valeva la pena, proprio  trattandosi di Haneke, di porre accenti meno banalizzanti, magari sulla visione disperante di un’ umanità perversa e senza riscatto di cui l’intera cinematografia di quest’autore è pervasa, ma soprattutto sul modo con il quale tutto civiene reso in termini di immagini.

 Un pastore protestante, per esempio,  chiama i suoi due figli  nello studio per infliggere loro l’ennesima punizione. Michael Haneke ha fatto sistemare la macchina da presa nel corridoio prospiciente la stanza, quasi sulla porta, l’obiettivo seguirà l’azione ma in nessun caso varcherà quella soglia.

Haneke ha fissato lì la sua giusta distanza, quella dalla quale non si mostra ne’ si dimostra niente altro, se non che il Peggio che deve venire, incombe dietro quella porta. Il suo cinema dunque racconta la storie lasciando ognuno libero di formarsi un ‘opinione. Non l’autore quindi  è l’artefice intorno al quale ruota la vicenda ma lo spettatore.

Implacabile diario di epoca pre bellica (prima guerra mondiale) in un villaggio della Germania del Nord, in cui i più deboli – i bambini, le donne ma anche gli handicappati – sono sottoposti ad una tale serie di vessazioni da parte dei notabili – non a caso esponenti del potere religioso, politico etc – da lasciar intuire che le violenze fisiche e psicologiche subite, siano da parte di quello stuolo di ragazzetti biondi con gli occhi azzurri, destinate tristemente a replicarsi, vent’anni dopo, su altri deboli, altri bambini, altri diversi.

Una certa educazione e cultura in senso assolutista porta a degenerazioni altrettanto assolutiste, al terrorismo, al fanatismo religioso, al nazismo, anche se questo mio film non è un lavoro solo sui fascismi. Ha annotato il regista a margine della proiezione.

Troppo scontato il riferimento a Bergman per l bianco e nero o per lo schiudersi dei mostri ma in effetti questo è solo e soltanto un film molto Hanekeiano.

Das Weiße Band è Un film di Michael Haneke. Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner, Josef Bierbichler, Marisa Growaldt, Janina Fautz, Michael Kranz, Jadea Mercedes Diaz, Steffi Kühnert, Sebastian Hülk, Michael Schenk, Leonie Benesch, Leonard Proxauf, Theo Trebs. Genere Drammatico, b/n 144 minuti. – Produzione Austria, Francia, Germania 2009. – Distribuzione Lucky Red

Où es tu?

Où es tu?

Dedicato ad Andrej Tarkoski  – ma zeppo di riferimenti letterari e pittorici :  Munch, Bosch, Strindberg, Freud, Nietzsche – ecco qui il film che ha fatto più incetta di insulti e definizioni senz’appello – scandaloso e provocatorio – le più frequenti. A queste ultime tuttavia si potrebbe anche non attribuire connotazioni del tutto  negative, atteso che Lars Von Trier filma da sempre con violenta sincerità e gran maestria i demoni della propria depressione E non solo della propria, sembra,  quantomeno a giudicare da certe curiose reazioni della sala

Vedi momenti di fou- rire . Presumibilmente non dovuti a comicità involontaria.

Dunque, a meno di non essere appassionati della ( pur rispettabile) formula  A B C  messaggio e finale a piacere, raccogliamo tutte le provocazioni che Von Trier dissemina sul percorso, prima tra tutte, quella rappresentata dalla ossessiva paura della sessualità femminile, vera origine del sentimento misogino che spesso gli viene addebitato dalla critica.

A seguire  quella data dalla messa in scena del conflitto tra i sessi come contrasto tra razionalità e pulsioni,  sapere e istinto, follia ed equilibrio in una sorta di resa dei conti di cui il sadismo è l’ingrediente fondamentale. Sarà anche demoniaco tutto ciò,  ma di sicuro non estraneo all’essenza delle cose.

 Vorrei invitarvi a gettare uno sguardo furtivo dietro la tenda, uno sguardo sull’universo oscuro della mia immaginazione, sulla natura delle mie paure, sulla natura dell’Anticristo.  Si legge nelle belle note di regia.

Strutturata in quattro capitoli, la storia si apre e si chiude con un brano di Händel :

Lascia ch’io pianga mia cruda sorte
E che sospiri la liberta

Tema centrale dunque è il dolore di una coppia alla prova più dura della perdita di un figlio che cade dalla finestra mentre i genitori fanno l’amore in preda ad un tale raptus erotico, da non accorgersi del pericolo.

Rimasti soli – dei due si ignora il nome –  si trasferiscono in una baita del livido Eden Forest, un bosco percorso da fenomeni inquietanti. Ma nel tentativo di uscire dal tunnel di follia che li ha condotti ai confini della realtà, intraprendono una sorta di via crucis tra espiazione, e sensi di colpa in cui tutto può accadere. E infatti accade.

Bellissime le immagini e gli effetti speciali, particolarmente la sequenza iniziale al ralenti col montaggio che passa  in continuazione dall’inteccio amoroso alla caduta del bambino e viceversa,  alludendo a terrificanti associazioni :  amore e morte, innocenza e dannazione, piacere e sofferenza. I temi cari a Von Trier sono tutti racchiusi in queste due ore di coinvolgente – e per stessa ammissione del regista –  autoterapeutica visione .

Toccante interpretazione di Charlotte Gainsbourg

Antichrist è un film di Lars von Trier. Con Willem Dafoe, Charlotte Gainsbourg. Genere Drammatico  colore 100 minuti. – Produzione Danimarca, Germania, Francia, Italia, Svezia, Polonia 2009. – Distribuzione Lucky Red

Perchè non vinceremo (pur avendo un grandissimo film)

Perchè non vinceremo (pur avendo un grandissimo film)

Preceduto da polemiche  strumentali e denigratorie, tutte nazionali, sull’ attendibilità storica del racconto – ma solo per quanto riguarda il matrimonio tra la Dalser e Mussolini del quale mancherebbe l’Atto, il resto è tutto incontrovertibilmente accaduto – e da interrogativi martellanti sui riferimenti all’attualità, tra parallelismi sull’uso dei media di quel regime ed eventualmente di questo, o sul rapporto tra donne e potere, allora come oraVincere, ultimo film di Marco Bellocchio arriva alla proiezione per la Stampa spappolato a dovere, cioè a dire già  passato per il tavolo settorio di quanti mal tollerano l’idea che Mussolini non fosse poi quel bonaccione che alla sera suonava il violino per far addormentare i figli. 

Ovvero di chi ha ricercato nel film riferimenti grossolani e banali con l’attualità magari temendone l’esito.

E passi che nel caso dei detrattori si fosse trattato, della solita compagine, inclusi nipotissima e storici indulgenti col ventennio, che fa capo a Bruno Vespa. Quello che è incredibile è invece l’apporto determinante che la stampa nazionale più prestigiosa ha profuso nel compiere l’opera.

Prima reazione : tiepida. Di conseguenza primi articoli sui quotidiani, scivolosi ed ondivaghi. Convince a metà, troppi inserti con filmati d’epoca etc etc etc, ma non sarà la politica che affloscia l’opera?

Non fosse stato per il pubblico della proiezione ufficiale che ha applaudito in piedi per diciotto minuti di fila  (cronometrati) e per l’entusiasmo de Le Monde, di Variety, di Screen International ma soprattutto per le dichiarazioni  risentintite dello stesso Bellocchio  – Siamo stati pugnalati alla schiena dalla stampa italiana – ci si sarebbe guardati  bene dal far marcia indietro, aggiustando il tiro sui giornali di ieri. Vedi Repubblica,  Corriere della Sera ed altri.

Qui non si tratta di difendere ad oltranza il prodotto nazionale anche nel caso in cui si riveli una  classica Ciofeca, così per puro sciovinismo, ma di vincere resistenze di altra natura. Qualcuno ha detto che è stata la fretta di consegnare l’articolo al giornale ad aver suggerito giudizi sommari . Altri più onesti hanno ammesso: può essere che rivedendo il filmato del discorso di Mussolini ad Ancona , in cui appare oggi come un irresistibile buffone, ci si vergogni pensando che mai un uomo fu tanto amato da un intero popolo malgrado la sua tragica ridicolaggine e che purtroppo questi innamoramenti si ripetono? ( Natalia Aspesi Repubblica )

Ma guarda un po’. Allora Bellocchio ha fatto proprio centro e mostrando quel che è stato il fascismo, attraverso la metafora dell’annientamento di una donna e di un ragazzo , ci ha messo di fronte con violenza ad una realtà in cui ci è insopportabile identificarci e che forse vorremmo rimuovere.

Vincere non è un documentario storico – come non lo è stato Buon giorno notte – pur essendo un’ opera di grande attendibilità, fondata su fatti realmente accaduti. E’ la tragica storia di Ida Dalser e di suo figlio, raccontata in forma di melodramma classico,  lirico, forte, strutturato che non cede mai a sentimentalismi. Una modalità lontana dalle sceneggiature piene di eventi cui siamo abituati. E’ la rappresentazione di un conflitto col potere dai connotati universali, un racconto fuori tempo che si mescola benissimo con i Film Luce e le citazioni cinematografiche d’epoca – Antamoro, Chaplin, Pastrone – che vi sono contenute.

Una sfida artistica per trovare non tanto la storia ma soprattutto il modo giusto per raccontarla.

Che peccato non averci creduto, aver sciupato un’occasione per proporre questo film bello, raffinato, coinvolgente, come fosse un film politico come un altro. E lo è di sicuro, alla fine,  salvo che le considerazioni suggerite non hanno immediatezza, passano per le retrovie, tirandosi dietro ben altro che i parallelismi, le somglianze, i pezzi di carta che mancano e quelli che ci sono. Un film, come è stato detto dagli americani, da togliere il respiro.

Vincere è un film di Marco Bellocchio. Con Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Michela Cescon, Pier Giorgio Bellocchio, Corrado Invernizzi, Paolo Pierobon, Bruno Cariello, Francesca Picozza, Simona Nobili, Vanessa Scalera. Genere Drammatico, colore 128 minuti. – Produzione Italia, Francia 2009. –