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Categoria: La fabbrica del cinema

For one brief shining moment there was Camelot

For one brief shining moment there was Camelot

Voglio che vedano quello che hanno fatto a John disse rifiutando il cambio d’abito per il giuramento di Lyndon Johnson sull’aereo presidenziale che la riportava a quella che non sarebbe più stata la sua casa.

Oggi quel tailleur rosa con i revers blu navy – confezionato in America, in omaggio ad una tradizione patriottica ma con stoffa, passamaneria, bottoni Chanel –  macchiato del sangue di John Fitzgerald  è ripiegato sottovuoto in una scatola presso l’Archivio Nazionale.Per volere di Caroline Kennedy, potrà essere mostrato al pubblico solo tra una sessantina d’anni, nel frattempo è affidato alle cure scrupolose di addetti che verificano costantemente il clima della stanza onde preservare l’integrità della stoffa.

Status symbol dell’epoca – e di molte altre a seguire –  quell’abito insanguinato, parla di Jackie come nessun altro suo celebrato accessorio o giardino di rose o restyling della Casa Bianca. Utile comprimario in un film che non è precisamente un biopic ma il racconto dei quattro giorni successivi al funerale di JFK , una sorta di puzzle di piani narrativi e spezzoni d’epoca composto e ricomposto in cui convergono stati d’animo diversi e contrastanti a formare un ritratto incisivo e veritiero.

Nel film sono così mescolati  il senso della perdita, il dolore, la violenza subita, lo smarrimento assieme ad una ferma volontà di consegnare alla Storia un’immagine di JFK perfetta ed eroica da destinare all’immortalità. Come in Camelot – mito dei Kennedy – la favola che non può tornare ma che tutti ricordano.

Dunque la pretesa di Jackie di un funerale grandioso, solenne uguale a  quello allestito per Abramo Lincoln  o la successiva intervista con Theodore White  che lei stessa richiese a Life. Scelta non casuale quella di un magazine molto popolare e di un giornalista affidabile la cui ammirazione per JFK era nota fin dalla campagna presidenziale.

Qualcuno dice che la politica spettacolo sia cominciata proprio durante la presidenza Kennedy   a partire dal documentario White House Tour  in cui Jackie nel ruolo  della first lady ovvero della perfetta padrona di casa aveva mostrato gli  importanti e costosi restauri fatti eseguire da John dopo l’Insediamento:  Jackie stessa aveva seguito i lavori ammodernando dov’era necessario o recuperando opere d’arte e mobili d’epoca, imprimendo insomma a quegli ambienti il segno del  suo gusto impeccabile.

La trasmissione del documentario fu seguita da 80 milioni di telespettatori il 14 febbraio 1962 sulle reti CBS, NBC e ABC e successivamente venduto in una cinquantina di paesi. Un evento televisivo di straordinaria portata, inedito per l’epoca. Fino a quel momento la giovane coppia si era fatta ritrarre in mille atteggiamenti quotidiani e non, sempre perfetta, elegante, sorridente. Ora entrava direttamente nelle case degli americani. Jackie aveva da tempo  intuito  l’importanza dell’immagine e ne sfruttava ogni possibilità.

Quando John muore Jackie è già un’icona di stile, è quello che tutte vorrebbero essere.

Tutto questo, il film di Pablo Larrain mostra puntualmente grazie allo script di Noah Oppenheim, presidente di NBC News,  più giornalista che sceneggiatore dunque,  in grado di descrivere le dinamiche della politica e dei media forse meglio che quelle dei sentimenti. Il che non riesce comunque a compromettere la ricostruzione del mito di Camelot,  caro a John e a Jackie, che del film è il vero motore.

A tratti l’ammirazione (di tutti:  dalla Portman al regista passando per lo sceneggiatore ) sembra debordare ed è lì che il rischio  melò o santino si fa più concreto. Ma sono attimi, l’effetto Jackie, tutt’ora vivo, non è fondato sul niente infiocchettato da donna solo elegante ma  su autentica intelligenza  unita a grande abilità. In definitiva era lui,il presidente, per sua stessa ammissione, che accompagnava lei nelle visite ufficiali. E se lui sarà ricordato per il buono che ha fatto e non per altro, ciò  lo si deve soltanto a Lei.

 

Each evening, from December to December

Before you drift to sleep upon your cot

Think back on all the tales that you remember

Of Camelot

Jackie è un film di Pablo Larrain. Un film con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt, Richard E. Grant.Cast completo Titolo originale: Jackie. Genere BiograficoUSA, Cile, 2016, durata 91 minuti. Distribuito da Lucky Red.

Arduo da vedere il lato oscuro è

Arduo da vedere il lato oscuro è

La piccoletta sullo sgabello osserva da dietro le quinte la mamma che ringrazia il pubblico dopo un’esibizione. Sotto al caschetto, allora detto alla bebè come del resto le scarpine e il cappotto, si intravede un’espressione compiaciuta. Anni dopo, quella ragazzina scriverà che seguire le orme materne è stato interessante.

Interessante è un aggettivo curioso se applicato alla lunga teoria di stati d’animo contrastanti che accompagnarono episodi non sempre lieti.

E infatti  la piccoletta non ci sta alla rappresentazione della madre ingombrante con relativa figlia  fragile, sceneggiatura del resto fin troppo risaputa, da quelle parti come altrove. Così, divenuta a sua volta attrice e autrice, risolverà con ironia quel che sembrava destinato ad essere uno script hollywoodiano come un altro.Ironia pagata a caro prezzo, certo, ma tant’è. Straordinaria Carrie.

E ora che anche a Debbie  è stato presentato il conto finale,  la natura di quel legame è presto detta. Come una buona sceneggiatura che si svela a poco a poco. Madri ingombranti e figlie fragili e viceversa, qualunque sia la combinazione …arduo da vedere il lato oscuro è.

Doña Sonia : saudade e ironia della sorte

Doña Sonia : saudade e ironia della sorte

 

Lungomare di Recife sfigurato da una speculazione edilizia invasiva, un palazzetto azzurro elegante e un po’ fané  circondato da una selva di brutti grattacieli resiste grazie alla caparbia determinazione dell’unica inquilina rimasta. L’assedio cui è sottoposta Clara ha le fattezze di cospicui assegni dell’Immobiliare che  vorrebbe rimpiazzare la piccola costruzione chiamata Aquarius con il solito mostro a non so quanti piani ma anche di amici, parenti, figli che insistono perché accetti l’offerta.

Ma qui non si tratta di quattrini, quella casa  luminosa con vista sull’oceano custodisce memorie e oggetti di un passato e di un presente  che rappresentano  la sua Storia. E a quella proprio non può rinunciare.

Meraviglioso elogio dell’età forte vissuta rivendicando per sé ogni diritto e della capacità di non arrendersi, di non lasciarsi – che siano malattie terribili , lutti, o speculatori –  travolgere dagli eventi. Il regista Kieber Mendoça Filho  traccia il ritratto affettuoso e dettagliato  di una donna matura che non rifiuta la modernità ma che non scende a patti con tutto ciò che ha portato il mondo all’attuale rovina.

Cannes 2016 : Sonia Braga si avvia verso la proiezione di Aquarius  volteggiando sul red carpet, la sua stola di voile rosso come l’abito  compie mille volute simulando un incendio. Extrasistole a grappoli dei presenti folgorati dall’ attrice ultrassessantenne che se ne infischia del tempo. E’ lei Clara. Che non avrebbe potuto trovare interprete più appassionata.

Come se non bastasse il  falò,  sulla montée l’intero cast di Aquarius inscena la protesta contro l’impeachment della presidentessa Dilma Roussef con cartelli che denunciano di fronte alla stampa internazionale  il tentativo di golpe.

In patria il film non sarà gradito al ministro della cultura Marcelo Calero che definirà quelle proteste puerili. Ma 

Le Monde  di qualche giorno fa riferisce la notizia di dimissioni rese dallo stesso Calero che ha confessato di non poterne più delle pressioni di un esponente importante  del governo intenzionato a lasciar costruire un grosso complesso immobiliare a Salvador de Bahia.

Ironia della sorte e una minuscola soddisfazione per Clara- Sonia e per tutta la troupe

 

 

 

Aquarius è un film di Kleber Mendonça Filho. con Sonia Braga, Maeve Jinkings, Irandhir Santos, Humberto Carrão, Fernando Teixeira Drammatico,  durata 140 min. – Brasile 2016. – Teodora Film

 

Cominciamo da qui.. (era di maggio)

Cominciamo da qui.. (era di maggio)

 

Cannes 2016 Ken AfpB375D-081-kCvB-U150795754757npE-620x349@Gazzetta-Web_articolo…e  cioè  dalla Palma 2016 vinta a fronte di un cartellone ricco di  ragguardevoli presenze da Ken Loach che amiamo e  non solo per devozione alla Causa. Perché come dice lui un altro mondo è necessario e il suo essere ex nuovo cinema inglese, il suo fare film de sinistra buoni anche per spettatori de destra, il suo appassionato esaltare il popolo contro i potenti pone in second’ordine la rinuncia ad una narrazione sofisticata, complessa magari pure un tantino criptica. Come si conviene ad ogni autentico prodotto da festival.

Parte dei mugugni che hanno accompagnato questo premio 2016 – che comunque nessuno ha avuto il coraggio di definire immeritato – era proprio dovuta  al racconto piano – non piatto – e forse prevedibile del rapporto di solidarietà tra un anziano carpentiere e una  madre nubile, disoccupati ed entrambi  privi di mezzi  per poter far fronte all’indigenza e alla pesantezza degli ingranaggi burocratici che presiedono quel che resta di un welfare sopravvissuto a tagli, privatizzazioni  e crisi.

Ecco. Quando si ha qualcosa di  importante da mostrare è necessario che il racconto proceda con naturalezza :  la materia, complicata di per sé, non ha bisogno di ulteriori artifici.

I Daniel Blake è uscito ad ottobre ed è tutt’ora nelle sale. Ma cos’ha di tanto speciale questa storia da indurre più di un commentatore a riannodarne i fili con quanto sta accadendo nel mondo?

Intanto i protagonisti : vivi e veri giustamente arrabbiati ma non inclini a trasformare il risentimento in generico  intento punitivo verso non meglio identificati poteri forti o classi dirigenti o élite. Loach – generoso di spiegazioni ai margini della proiezione di Cannes, in conferenza stampa e persino nel discorso di premiazione – individua con precisione i soggetti in campo, le responsabilità e, senza avere la pretesa di farsi portavoce di un (altrettanto non meglio identificato) popolo, suggerisce possibili  vie d’uscita per esempio chiedendo  alla sinistra di fare la sinistra recuperando i propri valori peculiari, uno tra tutti la Solidarietà.

Sembra poco. Sembra romantico, sembra sentimentale, sembra retorico e, in epoca di cinismo spacciato per senso della realtà e di  irrisione per ironia, sembra anacronistico. Soprattutto se lo vai  a raccontare  a quelli  che stanno relegando il significato del termine Solidarietà nel calderone del politicamente corretto,indispensabile supporto culturale tornato  in grande spolvero ad accompagnare – come ti sbagli – i recenti successi elettorali della peggiore destra, ovvero per fornire avalli a vaneggiamenti  di muri, espulsioni e respingimenti a vario titolo.

La Solidarietà – vale per tutti gli Sconsolati Cercatori  di differenze tra schieramenti – è invece un Valore dirimente ogni dubbio tra la natura della destra e quella della sinistra, costituisce di per sé un criterio guida cui uniformare programmi di governo ed è una buona chiave – sempre a proposito di Cercatori,speriamo un po’ meno sconsolati – per una ripartenza.

Era di maggio, vigilia del referendum inglese sulla permanenza in Europa e Ken Loach non ebbe dubbi nel sostenere pubblicamente il remain : sarà anche criticabile e perfida  quest’Europa  del rigore e del neoliberismo  ma rimanere avrebbe significato darsi la possibilità di cambiare le cose  da dentroHa detto proprio così : da dentro

Poi, contro ogni previsione, è andata come è andata. Sapienti e analisti ci hanno raccontato la storia (anche vera) di una sinistra chiusa in se stessa ed inadeguata a rappresentare sogni e bisogni, aspirazioni e necessità e via  divagando di popoli in rivolta contro élite, caste e classi dirigenti di qualunque risma. Era di maggio e  da allora quel diluvio di parole non ci ha più abbandonato.

Così mentre qualcuno aveva già cominciato ad insinuare che populismo non è poi un termine così negativo (pure?), è tornato a  soccorrerci Ken Loach con la visione esatta di come stanno le cose. Un poco di respiro nel blob ritrito del di tutta l’erba un fascio.

Saranno anche obsoleti e dunque inadeguati alcuni strumenti con i quali ci ostiniamo a leggere la Realtà ma ogni analisi che non poggia  su adeguati distinguo porta diritta ad un’ indigesta, inservibile  marmellata :  il popolo non è una massa  che si esprime con una sola voce come pure  le classi dirigenti non sono tutte uguali. Con simili premesse, l’idea di buttare tutto all’aria, naturale esito di ogni populistico programma,  lungi dall’essere autenticamente rivoluzionaria, involve in progetti reazionari.Gli esempi non mancano.

Credo che la filiera delle sconfitte non sia completata, armiamoci di pazienza : altre ne arriveranno ma varrà ogni volta  la pena di riflettere su quanto indicato dal vecchio regista inglese.Che amiamo.E non solo per devozione alla Causa.

 

 

I, Daniel Blake è un film di Ken Loach. Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate RunnerDrammatico, durata 100 min. – Gran Bretagna, Francia 2016. –